
"La testa fra le nuvole è un omaggio alla letteratura, alla forza del sogno e della fantasia. Ed è un omaggio alla letteratura che mi ha formata più di tutte le altre, quella della cosiddetta Mitteleuropa. Ruben è il nipote di Karl Rossman di "America", il cugino del protagonista di "Ho servito il re d'Inghilterra". Lo svagato, l'irregolare, lo Schlemihl che si aggira stupito e maldestro nella realtà degli uomini grandi, degli uomini che non scorgono l'insensatezza della vita. Ruben è anche una parte del mio carattere che, con la saggezza degli anni, ho imparato a mascherare abbastanza bene ma che è sempre presente, che mi fa sempre scendere dalla parte sbagliata e imboccare con sicurezza le porte dei gabinetti, convinta che siano l'uscita sulle scale e conversare amabilmente, nelle cene importanti, con la cameriera convinta che sia la padrona di casa." (Susanna Tamaro)
Negli ultimi anni della sua vita Jorge Luis Borges si dedica a indimenticabili dialoghi radiofonici con lo scrittore Osvaldo Ferrari. Queste conversazioni non nascono espressamente come interviste, ma dal piacere condiviso di trattare e discutere su temi vari, nonostante la differenza di età. I dialoghi vengono poi raccolti in tre volumi tra il 1985 e il 1987; una selezione appare nel 1992 in Argentina e in Spagna, e viene poi tradotta in Francia, Italia, Portogallo, Svizzera e Germania. Quest'ultimo volume è pubblicato per la prima volta in Argentina in occasione del centenario della nascita dell'autore e raccoglie dialoghi inediti fino a quel momento. Si tratta del libro definitivo delle "conversazioni", e si concentra (tranne quella iniziale, che è la prima dei tre anni di collaborazione) sui temi tipici di Borges: la letteratura fantastica, la fantascienza, il tempo, il caso, Gesù Cristo e il cinema; o sulla propria opera letteraria o quella di altri autori, come James Joyce, Oscar Wilde, Adolfo Bioy Casares e Robert Louis Stevenson...
Niko vive a Copenhagen con la sorella maggiore Sos da quando la mamma, popstar famosissima, e il padre postino sono scomparsi in un incidente stradale. Niko vive alla giornata: è imbranato con le ragazze di cui si innamora, scombinato a scuola e nella vita, insofferente verso chi lo ama, rissoso quando si riunisce con l'amico e coetaneo Jeppe e insieme danno la caccia a qualche malcapitato compagno di strada. Niko vive ma la sua vita non sembra avere alcuno spiraglio e l'amore di sua sorella non potrà più essergli sufficiente. Tutto sembra precipitare, quando si intrufola in casa sua un ragazzone hippy, sordo alle proteste e ai colpi di Niko, che dice di chiamarsi Gesù Cristo e di essere venuto a fare di lui un ragazzo migliore. Niko non sa (e non saprà mai) se quello strano tipo è veramente Gesù o un pazzo mitomane ma inizia a dargli retta e a seguire un decalogo per uscire fuori dal suo tunnel. Primo comandamento: lasciare Copenaghen e tornare nel paese dove sua mamma è nata; poi si vedrà. "Il mio amico Gesù" è il racconto feroce e tenero di un viaggio forzato verso la felicità di un giovane che non l'avrebbe mai potuta toccare. E che importa, infine, se il sedicente Gesù sia tale veramente o un ragazzotto pieno di fantasia?
Questo volume contiene l'ultima parte delle interviste radiofoniche concesse dal Socrate argentino al suo connazionale Osvaldo Ferrari. Ritorna l'ormai familiare tono di elegante divagazione, proprio di questo pronipote di anglosassoni che, paradossalmente, si è tentati di prendere per uno scrittore inglese che si esprime in spagnolo. E col tono si ripropongono i temi, le frequentazioni, le curiosità, le passioni intellettuali, estetiche e morali di uno scrittore per più versi singolare, anzi unico nel Novecento. Chi è Borges? Possiamo riferire a lui l'immagine ch'egli traccia di Shakespeare, come di uno che sia insieme tutti e nessuno: l'immagine dello scrittore che si annulla nell'opera. La sua cultura, insieme ironica ed eccitata, paradossale e commossa, che nessuna presunta verità intimidisce, è sempre pronta a far posto al sentimento della dignità dell'uomo e della sua interezza. Perché, se il gioco a cui mira Borges può sembrare a volte gratuito, non si può dimenticare l'esempio di uno stoico scetticismo che, rifiutando la pura negazione, affida al potere della parola quel che d'illusione segreta è da salvare e tramandare.
Una pazza, una mitomane: nessuno al Quai sembra avere dubbi. La compunta, esile vecchietta in abito grigio, cappello e guanti bianchi, che vuole ad ogni costo essere ricevuta da Maigret - perché solo lui può aiutarla: questione di vita o di morte -, deve avere qualche rotella fuori posto. Oltretutto la storia che Léontine racconta a uno sconcertato Lapointe è quanto meno bizzarra, anche per chi ne ha viste di tutti i colori. Pare che da un po' di tempo nel suo appartamento di quai de la Mégisserie, dove vive sola dopo la scomparsa del secondo marito, gli oggetti cambino posto, e che qualcuno la segua. Fantasie, è chiaro: la vecchiaia e la solitudine giocano brutti scherzi. Eppure, quando una sera la "vecchia pazza" - come la chiamano al Quai - lo abborda per strada, Maigret è assalito dai dubbi: quella donna sprigiona una straordinaria energia e i suoi occhi esprimono bontà, e una sorta di meravigliato, seducente candore. Che la sua strampalata storia sia vera? I dubbi di Maigret si tramutano in certezza allorché Léontine viene crudelmente assassinata: qualcuno l'ha soffocata con un tessuto rosso, di cui le sono rimasti in bocca dei fili. Un delitto inspiegabile, incomprensibile. Léontine aveva pochi gioielli, e teneva in casa una modesta somma di denaro. Cosa cercava, allora, l'assassino? Per quanto incredibile possa sembrare, è evidente che l'appartamento affacciato sulla Senna cela un segreto, un segreto tanto tremendo da giustificare il sacrificio di un essere umano.
Nel 1941, subito dopo essersi affermato, il noir rivolse le sue armi contro se stesso - con questo libro, che alla ferocia del genere assomma quella, anche più implacabile, del mèlo. Fino alla sua uscita, le dark lady di innumerevoli romanzi (e di altrettanti film) usavano la seduzione per condurre qualsiasi maschio capitasse loro a tiro a forme di distruzione spesso molto peggiori della morte. Ma qui Cain - che di quelle storie aveva già scritto uno degli archetipi più potenti e imitati, "Il postino suona sempre due volte" - va molto oltre. Con le sue letali sorelle Mildred Pierce ha in comune il carattere, la capacità di andare dritta allo scopo - peraltro rispettabile, e cioè raggiungere un qualche benessere nell'America della Grande Depressione - e un fondato scetticismo nei confronti del genere maschile. Sul quale infatti trionfa, salendo uno alla volta tutti i gradini di un successo insperato, per una casalinga californiana malamente abbandonata dal marito. E in effetti niente sembrerebbe poter fermare l'ascesa di Mildred: niente, se non la sua immagine rovesciata, sua figlia Veda, la creatura forse più demoniaca di tutta la narrativa nera.
Nora e Nino, cugini che fino a quel monto non si sono mai frequentati, tano amici per la pelle durante un'estate in Versilia. Nora, già adolescente, ha quattro anni più di Nino e sembra esattamente il suo opposto: brillante, estroversa, spericolata, bellissima. Eppure da quell'estate qualcosa continua a legare profondamente i due cugini anche negli anni a venire. Intanto il tempo passa e le vicende delle loro rispettive famiglie, sullo sfondo dell'Italia degli anni Cinquanta e Sessanta, si sviluppano in modi imprevedibili e bizzarri tra gelosie, tradimenti, morti e successi economici. Nora e Nino si perdono e si ritrovano, cambiano radicalmente - lui da ragazzino anonimo diventa un giovane uomo enigmatico e impenetrabile, affascinato solo dai giochi di prestigio che ha iniziato a praticare con una certa bravura, mentre lei, animata da un sentimento di libertà e dalla voglia di scoprire il mondo, si trasferisce non ancora ventenne a Londra e quindi in America sognando di diventare una scrittrice. I due ragazzi si riconoscono sempre, nonostante ogni differenza, nonostante lei ora abbia un marito e lui non riesca ancora a trovare la propria strada nella vita.
Perry e Gail, lui insegnante idealista a Oxford, lei avvocato rampante: una coppia di fidanzati inglesi in vacanza nello scenario da sogno di Antigua, nei Caraibi. E un russo di nome Dima, rozzo eppure magnetico, che possiede una tenuta sull'isola. Un incontro destinato ad avere conseguenze inimmaginabili per i due giovani, quando il russo chiede a Perry di giocare a tennis con lui è solo una normale partita quella che si svolge alle sette di mattina davanti agli occhi stralunati di Gail e alla più strana accozzaglia di persone che le si sia mai parata davanti? Chi è veramente questo russo carismatico che ostenta amicizia e giovialità nei confronti della giovane coppia? E, soprattutto, cosa vuole da loro? L'esito della partita di tennis andrà ben oltre il risultato. Ha inizio un'avventura che vede i due fidanzati coinvolti dai servizi segreti inglesi e dal "riciclatore numero uno al mondo" di denaro, dapprima chiusi in un asfissiante seminterrato, poi spettatori della finale del Torneo del Roland Garros a Parigi e infine catapultati in uno chalet sulle Alpi svizzere. La posta in gioco è alta: volti nuovi della mafia russa cercano una propria "rispettabilità ufficiale" nei mercati di tutto il mondo, intrecciando i loro affari con quelli delle multinazionali e inevitabilmente con le politiche degli Stati sovrani. John le Carré reinventa il romanzo di spionaggio, strappandolo alle sue definizioni classiche.
"Pensava soltanto a quello. Riportare la sua vita a quel punto. Nel punto dove si era interrotta. Si trattava di unire due lembi di terra, due lembi di tempo. In mezzo c'era il mare. Si metteva i fichi aperti sugli occhi per ricordarsi quel sapore di dolce e di grumi. Vedeva rosso attraverso quei semi. Cercava il cuore del suo mondo lasciato". Farid e Jamila fuggono da una guerra che corre più veloce di loro. Angelina insegna a Vito che ogni patria può essere terra di tempesta, lei che è stata araba fino a undici anni. Sono due figli, due madri, due mondi. A guardarlo dalla riva, il mare che li divide è un tappeto volante, oppure una lastra di cristallo che si richiude sopra le cose. Ma sulla terra resta l'impronta di ogni passaggio, partenza o ritorno che la scrittura, come argilla fresca, conserva e restituisce. Un romanzo di promesse e di abbandoni, forte e luminoso come una favola.
È il 1644 in Inghilterra. La guerra civile tra i seguaci del re Carlo I e i sostenitori del Parlamento infuria, e divide contee, contrade e famiglie, distruggendo antichi patti e legami secolari. Judith Marsh, figlia di Lord William, nobile fanciulla innamorata e incinta di John Mainwaring, è costretta ad abbandonare il suo illustre casato e a rifugiarsi in un villaggio di umili contadini. Per Lord William, schierato anima e corpo dalla parte del re, una figlia che reca in grembo un Mainwaring, un discendente del conte di Rosswood che ha osato abbracciare la causa dei ribelli del Parlamento, sarebbe, infatti, un autentico disonore. Privata dei suoi averi, del suo rango e persino del suo nome, lontana da John, perso da qualche parte nella guerra contro i realisti, in una misera stanza umida della casa dei paesani cui si è presentata come Judith St. Clare, la figlia dei Marsh, antichissima famiglia di origine normanna, partorisce la sua creatura. Judith fa appena in tempo a udire il pianto della sua bambina e a decidere di chiamarla Amber, che, tra bacinelle di peltro, vasetti di unguenti e cordicelle scure, esala il suo ultimo respiro. Amber St. Clare cresce così da sola, in uno sperduto villaggio di contadini. Sarebbe probabilmente destinata a vivere lì il resto dei suoi giorni se, a diciassette anni, non emanasse dalla sua figura una rigogliosa e aristocratica esuberanza e una bellezza senza pari. Postfazione di Barbara Taylor Bradford.
Max detesta il Natale e quest'anno, per la prima volta in vita sua, è fermamente intenzionato a lasciarselo alle spalle e a fuggire in un paradiso esotico. Purtroppo, però, ha fatto i conti senza Kurt, il suo cane. Kurt è stato un investimento sbagliato: passa la maggior parte del tempo a dormire e, quando si muove, tutt'al più lo fa per sbaglio. A chi affidarlo durante la vacanza? All'inizio Katrin non ha nulla a che spartire né con l'uno né con l'altro. Alla soglia dei trent'anni deve, suo malgrado, sopportare genitori che devono, loro malgrado, sopportare il fatto che lei non abbia ancora trovato l'uomo giusto. Con l'avvicinarsi del Natale e della tradizionale riunione di famiglia, la pazienza di tutti giunge al limite. Di colpo, però, ecco che all'orizzonte spunta Kurt. A Katrin non piacciono granché gli animali, ma a suo padre ancora meno. L'inserzione di Max per un dog-sitter è un'occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Così in un attimo lei architetta un piano formidabile. Mentre in città la temperatura continua a scendere e la prima neve ammanta di bianco le strade, le vite di Max, Katrin e Kurt si intrecciano inesorabilmente, in un crescendo di sorprese, trovate geniali e battute memorabili. Una nuova e intensa storia d'amore, con il giusto mix di leggerezza e serietà e due indimenticabili protagonisti. Anzi, tre: fare i conti senza Kurt è davvero impossibile.
Sylvia, diciassette anni appena compiuti, viene investita nel pieno della notte dalla Porsche di un calciatore argentino ventenne del quale finirà per innamorarsi. Lorenzo, il padre di Sylvia, abbandonato dalla moglie, disoccupato, tenta di ricostruirsi una vita assassinando il suo vecchio socio d'affari. Leandro, padre di Lorenzo e nonno di Sylvia, uomo mediocre e pianista mancato, ora pensionato (la moglie Aurora è in ospedale in punto di morte), si gioca pensione e reputazione frequentando un bordello di periferia. Tre protagonisti, una sola famiglia, una sola città. Madrid. Tre vite, tre biografie, tre prospettive: Trueba esplora le possibilità esistenziali del sentimento in un mondo in cui nulla è più ciò che sembra. Ognuno cerca di conquistare a modo suo un'identità vincente, ma in verità "bisogna saper perdere". "Saper perdere" è uno spaccato della Madrid contemporanea, che rivela fino in fondo l'ansia dell'uomo di fronte alla felicità: un oggetto quanto mai indefinito e impossibile da comprendere al di fuori della barriera della propria intimità.