
Forse nessuno torna da una guerra. Forse anche il ritorno a casa, per chi è stato bravo o fortunato a sufficienza, non è altro che un cambiare fronte, ingaggiare una nuova battaglia; forse non è altro che l'inizio di una nuova missione. La prima storia, che dà titolo al libro, è proprio questo: il ritorno a casa di un reduce. In Iraq ha fatto delle cose terribili: il ricordo di quando, la notte, andavano a caccia di cani che altrimenti avrebbero mangiato i cadaveri ai bordi delle strade non è nemmeno la piú atroce, tra le memorie che lo perseguitano. A casa, in mezzo a gente che non ha idea di dove sia Falluja, ritrova la fidanzata - tra loro una nuova, sconosciuta distanza e il vecchio cane. Ma l'animale è malato, non gli resta molto da vivere. Il marine ha ancora l'M16: a casa come al fronte dovrà uccidere un cane. In "Dopo l'azione" protagonista è il trauma, la traccia lasciata dalla violenza commessa che si attacca al carnefice e lo perseguita: e come un fantasma, una possessione, si trasmette di uomo in uomo. Quelle che racconta Klay sono storie che possiedono l'accecante lucore della verità. Sono storie che rivelano la complessa combinazione di burocrazia, noia, cameratismo e violenza che compongono la vita quotidiana di un soldato in guerra; e la solitudine, il rimorso, la disperazione che accompagnano ogni uomo nella vita in tempo di pace.
Fin dagli esordi il racconto è stato una delle forme preferite da Niccolò Ammaniti. Questo libro ne raccoglie sedici, una piccola summa introdotta dall'autore stesso. Storie che nascono "da una semplice (e spesso inverosimile) ipotesi", da domande che si affacciano sull'assurdo. E ci portano in territori dove non esistono confini tra normalità e follia, tra quotidiano e fantastico. Dove a trascinare il lettore è un ritmo irregolare e perfetto. Perché entrare nel mondo di Ammaniti è come fare un giro sulle montagne russe: ci si muove per scarti imprevisti, rallentamenti inattesi e cadute precipitose.
Dietro un ciuffo di capelli neri e vestiti altrettanto scuri, Vani nasconde un viso da ragazzina e una innata antipatia verso il resto del mondo. Eppure proprio la vita degli altri è il suo pane quotidiano. Perché Vani ha un dono speciale: coglie l'essenza di una persona da piccoli indizi e riesce a pensare e reagire come avrebbe fatto lei. Un'empatia profonda e un intuito raffinato sono le sue caratteristiche. E di queste caratteristiche ha fatto il suo mestiere: Vani è una ghostwriter per un'importante casa editrice. Scrive libri per altri. L'autore le consegna la sua idea, e lei riempie le pagine delle stesse parole che lui avrebbe utilizzato. Un lavoro svolto nell'ombra. E a Vani sta bene cosi. Anzi, preferisce non incontrare gli scrittori per cui lavora. Fino al giorno in cui il suo editore non la obbliga a fare due chiacchiere con Riccardo, autore di successo in preda a una crisi di ispirazione. I due si capiscono al volo e tra loro nasce una sintonia inaspettata fatta di citazioni tratte da Hemingway, Fitzgerald, Steinbeck. Una sintonia che Vani non credeva più possibile con nessuno. Per questo sa di doversi proteggere, perché, dopo aver creato insieme un libro che diventa un fenomeno editoriale senza paragoni, Riccardo sembra essersi dimenticato di lei. E quando il destino fa incrociare di nuovo le loro strade, Vani scopre che le relazioni, come i libri, spesso nascondono retroscena insospettabili.
Due storie parallele a circa mezzo secolo di distanza sono destinate ad incrociarsi. Da una parte un giovane seminarista, Rolando, figlio di contadini emiliani, vive i drammi della seconda guerra mondiale lungo la Linea Gotica. I nazisti occupano il suo seminario, determinandone la chiusura, mentre i partigiani comunisti vogliono eliminarlo per mettere a tacere la sua ardente testimonianza di fede. Non c'è posto per lui nel progetto ideologico di chi vuole fare della fine della guerra l'inizio della rivoluzione proletaria. Per questo Rolando viene rapito, fatto prigioniero, spogliato dell'abito talare, condannato innocente a morte. Dall'altra parte in una giovane famiglia milanese irrompe inaspettata la malattia dell'unica figlia, Marta, ancora bambina. Un urto improvviso e violento che, nella sofferenza, rimette in gioco i genitori e lentamente ricompone il loro amore e la loro unità, che si stava sgretolando. Dopo un lungo percorso di ansie, speranze e delusioni il terribile morbo, però, sembra avere il sopravvento. Nella scena finale i due racconti convergono, improvvisamente, nella stanza di un ospedale, dove la bambina è in coma. Ma la morte non ha l'ultima parola. Nello scrivere questo romanzo l'autore si è ispirato, dopo un lungo lavoro di ricerca, alla storia vera del seminarista martire Rolando Rivi, per il quale si sta concludendo la causa di beatificazione presso la romana Congregazione delle Cause dei Santi.
Londra, 1920. La Grande Guerra è finita da due anni, ma ha lasciato cicatrici indelebili, nei corpi e nell'anima. Nei cinque giorni che precedono l'anniversario dell'armistizio, la città si prepara a una grande cerimonia per rendere omaggio al Milite Ignoto: è l'emblema di tutti i caduti, ma per ogni donna - madre, moglie o sorella che sia - quel soldato ha un nome ben preciso. Ada non si rassegna alla lettera che le annunciava la morte del figlio in battaglia. A lei sembra di vederlo tutti i giorni, a ogni angolo di strada, ed è convinta che sia ancora vivo. A Evelyn, le trincee hanno strappato il suo unico, grande amore. Ora, come per punirsi di essergli sopravvissuta, si costringe a lavorare all'Ufficio pensioni, a contatto con i reduci. Nemmeno la presenza del fratello riesce a darle conforto: da quando è tornato dal fronte, non è più lo stesso. Hettie ci è cresciuta, nell'atmosfera opprimente della guerra. Adesso che ha diciannove anni, freme dal desiderio di scrollarsela di dosso, di iniziare a vivere. Fa l'insegnante di ballo al Palais de Danse per sei pence a valzer, e lì, una sera, incontra un uomo ricco e affascinante, da cui si sente attratta e al tempo stesso impaurita: c'è qualcosa di inafferrabile in lui. Ada, Evelyn e Hettie non si conoscono, ma un filo sottile le unisce a loro insaputa: una verità che lega gli uomini della loro vita, un segreto inconfessabile che risale al tempo della guerra.
Due donne, due destini, un incidente in comune: l'amore. Per Calista, di buona famiglia irlandese, arriva molto presto, a diciassette anni, ha il volto di Alexandros, trentenne cipriota bellissimo e sicuro di sé, e la conduce a una nuova vita in un Paese straniero. Per Pilar, figlia di contadini spagnoli, l'amore invece è un vortice imprevisto che in un attimo ribalta un progetto inseguito per dieci anni: lasciarsi alle spalle la miseria e l'ignoranza per diventare un'altra. Calista dovrà imparare nel modo più difficile a essere moglie e madre, mentre il suo matrimonio naufraga sugli scogli della violenza e dell'inganno, e su Cipro si addensa l'ombra di un colpo di Stato. Pilar, rimasta sola in una Madrid indifferente, sarà costretta alla più dura delle rinunce, e a un viaggio in quel passato che ha rinnegato. Finché un'estate le storie delle due donne convergono nel fragore di un evento senza scampo: un omicidio che ha radici più antiche di quanto possano immaginare.
Un riconoscimento postumo: ecco quello che si annuncia per questo testo di Arthur Schnitzler, da lui scritto a trentadue anni e finora inedito. E una fama tardiva, ironicamente, sembra toccare in sorte all'attempato protagonista, Eduard Saxberger. Borghese abitudinario, impiegato modello, assiduo frequentatore del solito caffè, Saxberger durante la solitaria giovinezza aveva accarezzato qualche ambizione letteraria e pubblicato una raccolta di poesie dall'inflazionato titolo di Wanderungen, "Passeggiate". Ma il tempo trascorso, o la tacita presa di coscienza della propria mediocrità, gli ha fatto quasi dimenticare quella prova giovanile. Se non che, con una copia del libro tra le mani, si presenta al "vecchio poeta" un giovane che si dichiara suo estimatore e, insieme alla vivace cerchia di amici, tutti sedicenti artisti, lo convince a tornare alla ribalta. Saxberger non resiste alla narcisistica tentazione e, a dispetto della sua totale estraneità alla bohème della "Giovane Vienna", accetta di farsi chiamare "maestro", di tenere letture pubbliche, di partecipare a dibattiti, di cimentarsi nella creazione di nuovi versi. Divertita denuncia della fatuità del mondo letterario dell'epoca, ritratto di grande finezza psicologica dei dubbi e delle paure che accompagnano la tensione creativa, questo testo colpisce e conquista per la sua straordinaria modernità e verità.
Un noir che disturba e sorprende, una tensione che sale piano come la marea. La storia di un amore che lentamente si trasforma in veleno, di un vuoto intimo che trasfigura una ragazza meravigliosa. In questo senso "Cosa resta di noi" fa pensare ai romanzi di Patricia Highsmith. Guia, la protagonista, chiama "morte vista al contrario" la sua impossibilità di avere un figlio: "una vita che non solo non inizia ma non riesce nemmeno ad essere concepita". Eppure è una ragazza nata per essere felice, di antica famiglia, scrittrice indirizzata al successo, sposata con un uomo che ama ed è pazzo di lei. Ma è in questa unione di felici che si infiltra il "lutto al contrario" del figlio mancato, come una crepa che si allarga e non si può fermare. Edo, il marito, il Narratore, segue le scene da questo matrimonio che si sta suicidando, nel letargo dorato degli inverni in Versilia, mentre Guia riversa in un prossimo romanzo tutta la sua disperazione e scrive di un tempo diverso da quello che stanno vivendo. Intorno le quiete banalità di coloro che "hanno tempo, soldi ed energie in surplus". Ma ad un tratto lo scenario cambia. Nella vita di Edo appare un'altra donna che però, pochi giorni dopo, svanisce nel nulla inspiegabilmente. La sua scomparsa diventa il caso del momento, segna l'irrompere di una realtà cieca e distruttiva nella crisi che Edo e Guia stanno cercando di affrontare.
Il 9 aprile 1953, in un'aula della corte d'assise di Milano, Emanuele Almansi, libraio-antiquario, compare davanti ai suoi giudici con l'imputazione di aver tentato di uccidere il proprio figlio Federico. Con la sua figura dimessa e antica nel suo abito scuro e lo sguardo distaccato e del tutto privo di vergogna, in quella fredda aula di tribunale Almansi non solo ammette ogni addebito, ma riconosce persino la premeditazione del suo tentato omicidio. Lo fa ricordando innanzi tutto la fatalità che sovrastava da tempo immemorabile la sua famiglia: il male che aveva offuscato l'esistenza di suo nonno e di suo padre, morto in manicomio; aveva ammantato periodicamente la sua vita di malinconia e depressione e si era, infine, crudelmente manifestato in Federico, il figlio amato, il precoce poeta quindicenne, amico di uno dei più grandi poeti italiani, Umberto Saba, diventato totalmente inabile al lavoro dopo i primi segni di schizofrenia. Il pensiero di Federico destinato a vivere in povertà, e a consumare i suoi giorni in un manicomio, era diventato così disperante e ossessivo per il libraio-antiquario che la decisione di uccidere se stesso e il figlio gli era apparsa come la sola, unica possibilità. Una possibilità restata tale, visto che l'omicidio non era stato portato a compimento, ma che, nell'aula della corte d'assise di Milano, attraversò la mente di ognuno nell'istante in cui fece la sua apparizione tra i testimoni Federico Almansi in persona...
Una persona normale, dunque, eccezionale. Perché l'eccezionalità del protagonista di questo romanzo è nella sua ispirata sete di normalità. Un continuo abbeverarsi alla vita vissuta nella sua più solare semplicità. Nei piccoli miracoli quotidiani che una mamma, un po' contadina e un po' Madonna, gli trasmette ogni giorno. Un'infanzia poverissima e selvaggia, fatta di corse a piedi nudi nella terra rossa, tra i muretti a secco e gli odori di frutti della splendente campagna pugliese degli anni trenta, nella bianca Ostuni. Un ragazzo di campagna destinato ai campi scopre, all'improvviso, un fuoco sacro: il cinema. Un'arte, in quegli anni a Ostuni, sconosciuta anche ai signori e ai maestri. Una mamma che capisce. Capisce che quel figlio non è suo: è un predestinato. Quel bambino riflessivo, dallo sguardo penetrante, frutto di un amore assoluto fra una donna ancora bambina e un uomo speciale. Questo il magico contesto di straziante bellezza e d'indigenza che accompagna il protagonista nella sua crescita, nella scoperta del mondo, nella sua corsa senza fretta che lo porterà a diventare uomo nel senso più autentico del termine. Da lì partirà il suo viaggio. Da lì nascerà ogni immagine che, divenuto un grande regista cinematografico, riproporrà nei suoi film con originalità e, soprattutto, poesia. Sino alla gloria e all'acclamazione internazionale. Viaggi, successi, ville degne di una star, salotti intellettuali e feste hollywoodiane. Sino al coup de théâtre finale...
Stefano Benni sfida il racconto di genere e apre la porta dell'orrore. Lo fa con ironia, lo fa attingendo al grottesco, lo fa tuffandosi nel comico, lo fa tastando l'angoscia, lo fa, in omaggio ai suoi maestri, rammentandoci di cosa è fatta la paura. E finisce con il consegnarci una galleria di memorabili mostri. E allora ecco gli adolescenti senza prospettiva o speranza, ecco il Wenge, una creatura misteriosa che semina panico e morte, ecco il plutocrate russo che vuole sbarazzarsi di un albero secolare, ecco una Madonna che invece di piangere ride, dolcemente sfrontata, ecco il manager che vuole ridimensionare un museo egizio sfidando una mummia vendicativa. Stefano Benni scende negli anfratti del Male per mettere disordine e promettere il brivido più cupo e la risata liberatoria. E in entrambi i casi per accendere l'immaginazione intorno ai mostri che sono i nostri falsi amici, i nostri veleni, le nostre menzogne.
Samia è una ragazzina di Mogadiscio. Ha la corsa nel sangue. Ogni giorno divide i suoi sogni con Alì, che è amico del cuore, confidente e primo, appassionato allenatore. Mentre intorno la Somalia è sempre più preda dell'irrigidimento politico e religioso, mentre le armi parlano sempre più forte la lingua della sopraffazione, Samia guarda lontano, e avverte nelle sue gambe magre e velocissime un destino di riscatto per il paese martoriato e per le donne somale. Gli allenamenti notturni nello stadio deserto, per nascondersi dagli occhi accusatori degli integralisti, e le prime affermazioni la portano, a soli diciassette anni, a qualificarsi alle Olimpiadi di Pechino. Arriva ultima, ma diventa un simbolo per le donne musulmane in tutto il mondo. Il suo vero sogno, però, è vincere. L'appuntamento è con le Olimpiadi di Londra del 2012. Ma tutto diventa difficile. Gli integralisti prendono ancora più potere, Samia corre chiusa dentro un burqa ed è costretta a fronteggiare una perdita lacerante, mentre il "fratello di tutta una vita" le cambia l'esistenza per sempre. Rimanere lì, all'improvviso, non ha più senso. Una notte parte, a piedi. Rincorrendo la libertà e il sogno di vincere le Olimpiadi. Sola, intraprende il Viaggio di ottomila chilometri, l'odissea dei migranti dall'Etiopia al Sudan e, attraverso il Sahara, alla Libia, per arrivare via mare in Italia.

