
Se nasci in Afghanistan, nel posto sbagliato e nel momento sbagliato, può capitare che, anche se sei un bambino alto come una capra, e uno dei migliori a giocare a Buzul-bazi, qualcuno reclami la tua vita. Tuo padre è morto lavorando per un ricco signore, il carico del camion che guidava è andato perduto e tu dovresti esserne il risarcimento. Ecco perché quando bussano alla porta corri a nasconderti. Ma ora stai diventando troppo grande per la buca che tua madre ha scavato vicino alle patate. Così, un giorno, lei ti dice che dovete fare un viaggio. Ti accompagna in Pakistan, ti accarezza i capelli, ti fa promettere che diventerai un uomo per bene e ti lascia solo. Da questo tragico atto di amore hanno inizio la prematura vita adulta di Enaiatollah Akbari e l'incredibile viaggio che lo porterà in Italia passando per l'Iran, la Turchia e la Grecia. Un'odissea che lo ha messo in contatto con la miseria e la nobiltà degli uomini, e che, nonostante tutto, non è riuscita a fargli perdere l'ironia né a cancellargli dal volto il suo formidabile sorriso. Enaiatollah ha infine trovato un posto dove fermarsi e avere la sua età. Questa è la sua storia.
Martin e Asa Horn cenano al ristorante. Lui è un noto editore, lei una psicologa. Al rientro nella loro casa in un sobborgo bene di Stoccolma, Magda, la loro bambina, è scomparsa. La polizia crede che i genitori nascondano qualcosa, e a Martin e Asa non rimane che esplorare ossessivamente ogni singolo indizio tentando di risolvere il mistero. Ma sono davvero angosciati come vogliono far credere? Nelle indagini sono coinvolti anche Tom, collega di Martin, e la sua fidanzata Katja. Quattro voci inaffidabili che seducono il lettore, ognuna con la sua versione dei fatti, trascinandolo in un labirinto di ammissioni di colpa e indizi, dando vita a mille false piste, fino alla fulminante rivelazione finale.
Un padre, Jachin-Boaz, che disegna mappe preziose per tutte le esigenze. Un figlio, Boaz-Jachin, che vuole una mappa con almeno una zona vuota, ed è proprio la mappa che il padre non può dargli. Un leone, in un mondo dove tutti i leoni sono ormai scomparsi. Con questi tre elementi Russell Hoban ha costruito un romanzo - una favola? una parabola? un'allegoria? - che ha ricordato ai critici le grandi opere di Tolkien e di C.S. Lewis.
Iniziato con ogni probabilità nel 1306-07, l'Inferno è la prima delle tre cantiche che compongono la Commedia dantesca. In questi trentaquattro canti il poeta racconta l'inizio del suo viaggio ultraterreno, a partire dallo smarrimento nella "selva oscura", dove incontra il poeta latino Virgilio che sarà sua guida, giù giù per i diversi gironi, fino all'orrenda visione di Lucifero e quindi alla faticosa risalita "a riveder le stelle". Un itinerario nell'animo umano lungo il quale Dante incontra decine di indimenticabili personaggi, alle cui tristi vicende egli sa guardare con fermo giudizio ma anche con una suprema pietas che è forse il maggior segno del suo profondo atteggiamento di estrema modernità.
La storia nota di un curato di campagna pauroso e vile che, minacciato dai bravi, si rifiuta di sposare due giovani, è il capolavoro della letteratura italiana dell'Ottocento. Manzoni trova la forma e la lingua perfette solo alla terza edizione, a cui aggiunge Storia della colonna infame: ideale conclusione del romanzo, racconta il processo contro due presunti untori, ulteriore esempio di oppressione dei potenti nei confronti degli umili. I promessi sposi sono, in questo senso, affresco e sintesi della società italiana di ogni tempo: la prepotenza di don Rodrigo, l'ingenuità di Renzo, l'innocenza di Lucia, il coraggio di padre Cristoforo... Ma soprattutto la vigliaccheria di don Abbondio, un brav'uomo che fa quel che deve; ma a fare di piú, se c'è da mettersi in mezzo, proprio non ci sta. Studiati, parodiati, usati come modello, I promessi sposi raccontano un'Italia che non è cambiata mai.
IV secolo d.C. Il vecchio ordine non esiste più, e nell'impero in declino tutto ormai sta cambiando. Il centurione Aurelio Casto è stato richiamato dalle fredde terre del Nord dell'Impero, ma anche al di qua del muro di Adriano la vita di un soldato non è semplice. Ben presto, Casto si ritroverà invischiato in una cospirazione contro l'imperatore Costantino, mirata a togliergli per sempre il trono. Ma neanche quando la cospirazione, grazie a Casto, viene sventata, e il centurione promosso nell'elite delle guardie del corpo dell'imperatore, l'Impero sarà al sicuro. Perché come Casto scoprirà presto, a volte la corte e i suoi intrighi possono essere più pericolosi del campo di battaglia, e dietro lo splendore e l'opulenza si nascondono i peggiori nemici. Quelli che non esitano a tradire. Il secondo capitolo della trilogia sugli ultimi anni dell'Impero romano.
Edoardo Rubessi è un genetista di fama mondiale, un probabile premio Nobel. Quando, dopo trentacinque anni trascorsi negli Stati Uniti, torna nella sua Torino, tutti lo accolgono come colui che ha il potere di cambiare il destino dei bambini malati: tutti tranne il vecchio. Il vecchio è un uomo venuto dal passato, da quegli anni di piombo che Edoardo credeva di aver lasciato dietro la porta chiusa di una vita precedente. Ma basta una minuscola fenditura nel legno di quella porta perché il dolore e i misteri imprigionati per decenni escano in un soffio violento che investe Edoardo, e che fa vacillare la fiducia che sua moglie, Susan, ha sempre avuto in lui. E sarebbe bello poter liquidare il vecchio con una battuta, dire che è solo un mitomane, ma Susan non ci casca: il vecchio ha lo sguardo di chi sa farsi ubbidire, lo sguardo di un Lagerkommandant, e Susan quel lager domestico, quell'orrore alle porte di casa dovrà esplorarlo mattone per mattone prima di scoprire chi è veramente suo marito. Dopo "Le colpe dei padri", Perissinotto torna a proporci un nuovo viaggio tra le rovine del nostro passato recente, a farci esplorare le memorie rimosse: perché i lager non si sono chiusi nel 1945 e il crudele gioco di vittime e torturatori è continuato a lungo, troppo a lungo.
John Henry Newman è stato uno dei maggiori saggisti, polemisti, pensatori e poeti della grande stagione romantica vittoriana inglese. I suoi numerosi scritti, permeati da una finissima sensibilità, da tensione etica e religiosa ineguagliabile e soprattutto da una totale sincerità e trasparenza, non seguono mai una sterile ricerca di stile ma rispondono sempre a precise, e spesso sofferte, «chiamate». Tutto ciò è presente in modo emblematico in questo «romanzo d'anima», che accoglie, come uno specchio dalle molte facce, un vasto scenario insieme interiore e storico: la società, le idee e la cultura della prima metà del xix secolo sono viste dall'angolatura specifica della vita universitaria di Oxford, che l'autore ben conosceva. Nella figura principale di Charles Reding si concentrano le tensioni spirituali di quel mondo, che via via si allentano, sciogliendosi infine al fuoco vivo di una instancabile ricerca di sincerità e verità, premiata dalla conquista di certezze ultime, di pace, di gioia. Le vicende umane del protagonista si intrecciano così con la biografia di Newman stesso, sottoponendosi a un superiore principio di verità che ne permea l'intera Opera.
Africa, cinquemila anni fa: è l'alba di un nuovo impero. L'Egitto si avvia a diventare il faro della civiltà dell'epoca, attraverso uno sfarzo costruttivo senza precedenti e una cultura ammantata di leggendaria magnificenza. Ma ogni impero ha i suoi lati oscuri... Africa, oggi: l'Egitto è un paese in difficoltà sociali ed economiche. Ma c'è chi non si arrende a un destino ingiusto. Un misterioso ma potentissimo uomo d'affari ha tutta l'intenzione di riportare il suo paese ai fasti di un tempo. E ha a sua disposizione due eccezionali scoperte: la prima è una ricca falda acquifera sotto il Sahara, di cui cercherà di impossessarsi. Ma è la seconda a essere la vera minaccia per l'equilibrio mondiale. La leggenda narra della Nebbia Nera, una sostanza estratta da una pianta rarissima che cresce solo nella Città dei Morti. E pare che sia in grado di rubare la vita ai vivi per ridarla ai morti... Nelle mani di un folle, la Nebbia Nera è un'arma potentissima, e soltanto Kurt Austin, Joe Zavala e la NUMA possono impedire una nuova apocalisse. Ma l'unico modo per farlo è affrontare la leggenda più oscura e potente di tutte: quella di Osiride, il signore dell'inferno egizio...
«Il lettore deve accingersi a leggere questo libro con la stessa disposizione d'animo con la quale, evidentemente, il Chesterton lo ha scritto: col senso della giocondità, pura e semplice, e col gusto primitivo del burlesco. L'eroe stesso - l'ineffabile Capitano irlandese Dalroy, che riempie il volume delle sue rodomontate, delle sue canzoni e delle sue risate - rende assai bene, sullo schermo artistico, lo spirito paradossale e rumoroso, fresco ed allegro, sagace e umoristico dell'artista che l'ha creato. Al Capitano Dalroy si contrappone Lord Ivywood, formalista convenzionale, prezioso, insensibile e freddamente fanatico. In questo contrasto sta, (orse, il maggior pregio del romance, per i cui viali l'autore scorrazza liberamente e disordinatamente ora facendo improvvise digressioni ora sostando un po' come in contemplazione, ora perseguendo le sue eccentricità epigrammatiche. Lord Ivywood, che non ha mai voluto bene in vita Mia ad un cane, ma che ha sempre avuto molto a cuore la causa dei cani, personifica assai bene tutto quel mondo inglese artificioso e insincero che ha sempre una causa da propugnare e una missione cui consacrarsi. Puritanismo, vegetarianismo, proibizionismo e non so quale altro "ismo" offrono al Chesterton altrettanti elementi per la sua fantastica scorribanda nella quale l'ironia si alterna alla satira, il quadro di costume al quadretto di genere, il personaggio alla macchietta, l'aria viziata del mondo convenzionale alle sane ventate del mondo libero e giocondo, che ha per sfondo, da una parte il mare, e dall'altra il bruno profilo delle profonde foreste d'Inghilterra». (Gian Dàuli)
Negli anni Settanta Annibale Canessa è stato l'uomo di punta nella lotta al terrorismo, quella combattuta in strada, dove le ideologie o i colori politici contavano zero, le pistole sparavano e troppa gente è rimasta a terra. "Carrarmato Canessa" lo chiamavano, perché era irruente, forte, deciso. Nel lavoro, ma anche con le donne, attratte dalla sua vita in perenne pericolo, dal suo essere inafferrabile, dal profondo senso dell'onore. Questo era prima, molto tempo fa. Perché poi c'è stato quel giorno nero del 1984 in cui tutto è crollato - certezze, fiducia, sogni - e lui ha lasciato l'Arma, preferendo l'esilio nel suo paradiso personale, San Fruttuoso, tra nuotate all'alba e il piccolo ristorante da gestire con un'anziana zia. Dalle ombre del passato però non ci si libera mai del tutto, e questa verità diventa dolorosa la mattina in cui da Milano arriva una notizia: suo fratello Napoleone, che non incontrava da trent'anni, è stato massacrato da una raffica di Kalashnikov. Accanto a lui, steso sull'asfalto, il corpo di "Pino" Petri, ex terrorista di spicco che proprio Annibale, nella sua precedente vita, aveva arrestato. Ma che facevano quei due insieme? E chi li ha uccisi? Alla ricerca delle risposte e del suo "tempo perduto", Canessa non concederà sconti né indulgenze, neppure a se stesso e alla bella giornalista che saprà aprire una breccia nel suo cuore malandato.
La casa dei Krull è al margine estremo del paese, e loro stessi ne vengono tenuti ai margini. Benché naturalizzati, restano gli stranieri, i diversi. Da sempre, e nonostante gli sforzi fatti per integrarsi. Nel loro emporio non si serve la gente del luogo, neanche i vicini, ma solo le mogli dei marinai che a bordo delle chiatte percorrono il canale. E quando davanti all'emporio viene ripescato il cadavere di una ragazza violentata e uccisa, i sospetti cadono fatalmente su di loro. In un magistrale crescendo di tensione, e con un singolare (e formidabile) rovesciamento, vediamo montare l'ostilità della popolazione francese verso la famiglia tedesca, e l'avversione per una minoranza, che rappresenta un perfetto capro espiatorio, degenerare progressivamente in odio e violenza. Mentre all'interno della casa dei Krull ciascuno deve fare i conti con le proprie colpe e le proprie vergogne nascoste. In questo romanzo oscuramente profetico, scritto alla vigilia della guerra, Simenon affronta un tema che gli sta molto a cuore, e lo fa scegliendo il punto di vista, disincantato e sagace, di un cugino dei Krull, un ospite tanto più inquietante, e imbarazzante, in quanto diverso, per così dire, al quadrato: diverso, come i Krull, dagli abitanti del paese, ma diverso anche da loro stessi, perché dotato di un buonumore «sconosciuto in quella casa», e di una disinvoltura, di una «leggerezza fisica e morale» che la rigida etica protestante paventa e aborre - e sarà proprio questa sua intollerabile estraneità a scatenare la tempesta.

