
Si raccolgono in questo volume tutti gli scritti di Leonardo che non hanno stretto riferimento alla ricerca scientifica o all'arte figurativa. Si tratta delle Favole, brevi testi nella tradizione degli apologhi morali; del Bestiario, prontuario sul significato favoloso degli animali; delle Profezie, sorta di indovinelli da recitarsi a corte; delle Lettere, e di una raccolta di Pensieri.
«Lo Zen non è una setta ma un’esperienza». Da questa esperienza, che ha al suo centro la nozione di satori, "illuminazione", è nata una letteratura immensa, dalle numerose ramificazioni, a partire dal sesto secolo in Cina (sotto il nome di Ch’an) e a partire dal dodicesimo secolo fino ai nostri giorni in Giappone (sotto il nome di Zen). Ciò che in Occidente ha finito per presentarsi spesso come moda banale è dunque una ricchissima tradizione religiosa, senza la quale è impensabile una grande parte della filosofia, della letteratura e dell’arte estremo-orientali. Per avvicinarsi a questo intricato complesso poche introduzioni sono altrettanto giuste nel tono, svelte e amabili come questa raccolta di storie Zen curata da Nyogen Senzaki e Paul Reps. Il lettore vi troverà una scelta dalla "Raccolta di pietre e di sabbia" di Muju, maestro giapponese del tredicesimo secolo, e da altri testi classici Zen, sino alla fine del secolo diciannovesimo. Con sobrietà e grazia Senzaki e Reps hanno saputo presentare in rapidi tratti apologhi capitali o ignoti, intrecciandoli con felice precisione, in modo che il lettore possa entrare in contatto immediato con le grandi questioni (e con le grandi soluzioni) dello Zen, contatto che troverebbe ben più difficilmente affidandosi a ponderosi manuali, contrari già nella loro costruzione allo spirito Zen – per eccellenza imprendibile e paradossale, irridente verso ogni sapienza soddisfatta, spesso nascosto dietro gli schermi del vuoto e del non sapere.
Una ricostruzione d'epoca, una galleria di personaggi scavati con la precisione fotografica del reporter. Un vivido, dolente racconto corale di un capitolo tristemente esemplare della storia del nostro Paese. Un testimone racconta e profetizza il Vajont prima della catastrofe che il 9 ottobre 1963 causò oltre duemila morti fra Longarone e dintorni. Il romanzo, "I corvi di Erto e Casso. Voci dal Vajont", vede la luce solo oggi, a quasi cinquanta anni da un disastro rimasto impresso a caratteri cubitali nella storia del Paese per cause legate all'incuria delle istituzioni, alla cattiva gestione della cosa pubblica, allo sfruttamento più inconsulto dell'ambiente e delle sue risorse. Il testimone è un giornalista, che si chiama Armando Gervasoni, è nato a Vicenza nel 1933, e fino ai primi mesi del 1963 lavora alla redazione di Belluno del Gazzettino. Un ruolo professionale che gli consente di seguire "in diretta" la costruzione della grande diga commissionata dalla società elettrica Sade, esprimendo nelle pagine di questo suo romanzo le inquietudini, le paure, i dubbi e i sospetti generati dalla costruzione di un'opera di colossali proporzioni. Armando Gervasoni, che intanto aveva iniziato a scrivere per il settimanale Panorama, nel 1968, a soli 35 anni di età trova la morte in un incidente stradale.
Un'opera di fantasia che si avvale di vaghi riferimenti storici. Un romanzo ambientato tra il XVI e il XVIII secolo. Tutte le vicende narrate, desunte da antiche carte d'archivio, sono realmente accadute a tutti i protagonisti esistiti.