
Composto da Poggio Bracciolini in età avanzata, probabilmente tra il 1447 e il 1449, il dialogo "Contra hypocritas" da voce a una polemica antifratesca di cui non mancano tracce nella cultura medievale e che è presente anche nel primo Umanesimo e in altri scritti dello stesso autore. Intrecciando il motivo anticlericale con la più generale riflessione sul vizio dell'ipocrisia, Poggio imposta una questione che rimarrà viva nella cultura rinascimentale e moderna: fino a che punto la simulazione coincide con l'ipocrisia? E in che misura la menzogna si può considerare lecita?
«Nel villaggio di Malbry facevano di tutto per non sognare mai. Dormivano su assi anziché su materassi, evitavano le cene pesanti, e quanto alle storie della buonanotte... be’. Questo non vuol dire che la magia fosse scomparsa. In effetti, negli ultimi quattordici anni il villaggio aveva assistito, in un modo o nell’altro, a più magia di ogni altro posto nei Mondi di Mezzo. Ed era colpa di Maddy, ovvio. Maddy Smith era una sognatrice, le piacevano i racconti, e peggio.»
Nel villaggio di Malbry non è facile essere giovani e coltivare i propri sogni. Le regole e la disciplina la fanno da padroni; i giochi e gli incantesimi sono stati proibiti. Eppure Maddy non ha mai smesso di credere nel potere dei sogni e della magia. Lei è diversa da tutti: è ribelle, curiosa, testarda, e sulla mano ha il marchio di una runa. Per molti si tratta di un segno maledetto, ma non per il Guercio, il misterioso straniero che racconta storie affascinanti, l’unico amico che Maddy abbia mai avuto. È lui a svelarle il misterioso linguaggio delle rune e a introdurla in quell’universo proibito e vietato dove sono nascosti gli incantesimi, la conoscenza e il segreto delle sue origini.
Mentre il futuro inciso sulla sua mano si avvicina giorno dopo giorno, una terribile catastrofe minaccia di distruggere per sempre quel mondo perduto.
Maddy è l’unica in grado di salvarlo: sarà un’avventura appassionante, una corsa contro il tempo, una guerra contro nemici dai poteri oscuri. Con Le parole segrete Joanne Harris continua a esplorare la realtà fantastica che l’ha fatta amare da milioni di lettori, fondendo le atmosfere di Chocolat con le antiche mitologie, a cominciare da quelle nordiche, dominate da Odino e Thor. Maddy affronta un percorso di crescita, dall’innocenza perduta alla consapevolezza del proprio destino, oltre le cupe regole dell’Ordine.
Ritorna, con la seconda avventura dopo "La briscola in cinque", la squadra di investigatori del BarLume di Pineta, detto anche "l'asilo senile". A parte il barista Massimo e la sua banconista, la bella e comprensiva Tiziana, il più giovane del gruppo è Aldo, ultrasettantenne gestore dell'osteria Boccaccio. Seguono Nonno Ampelio, Pilade, il Del Tacca del Comune, il Rimediotti. La loro attività, unica, più che principale, si svolge nel presidiare il BarLume e, dietro il paravento della partita a carte, passare al setaccio tutti gli avvenimenti di Pineta, in un pettegolezzo toscano senza eufemismi e senza ritrosie. Qualche volta resta nelle maglie fitte della rete, un fatto criminale. In realtà è Massimo, pronto all'intuizione ma svogliato all'azione, che è spinto a investigare, richiesto casualmente dal commissario Fusco. I vecchietti fanno da polo dialettico in un contraddire minuzioso che però facilita la sintesi: corale ambientazione umana, provinciale e antiglobalizzata (lenta, senza preoccupazione di efficienza mezzo-fine). Uno sfondo di commedia italiana a dei gialli enigmistici la cui soluzione è affidata alla virtù del ragionamento e alla fortuna del caso. Nel gioco delle tre carte un esercizio di abilità e di elusione fornisce lo schema per risolvere un enigma criminoso consistente nel nascondere ostentando. Nel corso di un congresso, viene ucciso un professore giapponese. La chiave del mistero è in un computer che in apparenza non contiene niente di significativo.
Nel 991, l'esiguo drappello di sassoni scampato a un attacco vichingo sulle coste dell'Anglia orientale decide di non sopravvivere al suo signore caduto in battaglia; solo Werferth, il cantore, fuggirà, per tramandare la memoria di quel giorno: "li vide perdersi nella penombra del giorno e delle foglie, ma alle sue labbra già affiorava un verso". Così Borges, appassionato cultore della "germanistica d'Inghilterra e d'Islanda", immagina si sia svolta la storica battaglia di Maldon. E il gesto di Werferth, deciso a salvare quel che il "vento del tempo" travolge, potrebbe essere l'insegna della "Moneta di ferro", che, pubblicato nel 1976, raduna poesie (oltre a due testi in prosa) redatte nell'arco di un anno, a ridosso di eventi decisivi: la scomparsa della madre, dolorosa ma liberatoria, la felicità di un amore corrisposto, il lungo soggiorno a East Lansing, nel Michigan, insieme a Maria Kodama, la caduta di Isabelita Perón.
Traduzione di
Luigi Civalleri
Una casa isolata. Un cane che abbaia nella notte. Un omicidio spietato. Un detective in borghese bravo a seguire le tracce e a far parlare gli indizi. Una verità che non si può accettare. Dodici persone vivono nella casa, una è la vittima, chi è il colpevole? È un giallo nella sua forma più pura, ma è anche un drammatico fatto di cronaca che dall'Inghilterra dell'Ottocento parla ancora oggi alle nostre coscienze.
È una notte d'estate del 1860. In un'elegante casa in stile georgiano che si erge isolata a Road, nel Wiltshire, un bambino di tre anni viene prelevato con delicatezza dal suo lettino. I genitori dormono nella stanza accanto. I fratelli e la servitù al piano di sopra. La bambinaia nella stessa camera del piccolo con la sorellina. Il cane abbaia, tutti continuano a dormire. La mattina dopo il bambino viene trovato morto in giardino, soffocato, le labbra viola, lo sguardo sereno, la gola orrendamente lacerata e pietosamente avvolto in una coperta. Appare subito evidente che l'omicidio non può essersi consumato che fra le mura domestiche.
Dodici persone vivono nella casa, una è la vittima, chi è il colpevole? Sembra un giallo nella sua forma più pura e invece è un fatto di cronaca nera realmente accaduto a metà Ottocento di cui questo libro ricostruisce le vicende.
Nell'omicidio di Road Hill House, i primi e gli unici sospettati sono gli abitanti della casa: i famigliari e la servitù. Il caso è orrendo, crudele, spiacevole, bisogna investigare nel tempio sacro della famiglia e del focolare domestico. La polizia locale non osa indagare in una famiglia sprezzante e potente che sembra celare al suo interno molti misteri e legami malati, perciò brancola nel buio. Per la prima volta si manda a chiamare un investigatore «forestiero», un ispettore che viene da Londra da una squadra speciale appena costituitasi a Scotland Yard. Un poliziotto in borghese ma in carne e ossa, che sarà il modello per molti eroi da libro giallo, ispirati alla sua figura e alle sue indagini: gli investigatori di Wilkie Collins e quelli di Henry James, Arthur Conan Doyle, Charles Dickens.
Mr Whicher, è questo il suo nome, indaga senza requie, segue le tracce, è capace di leggere i gesti e le espresssioni del volto, sa come far parlare le prove. Capisce subito chi è il colpevole e lo accusa. La soluzione è però troppo scomoda, troppo difficile da accettare. L'opinione pubblica, che ha seguito morbosamente il caso sulla stampa, insorge. Il detective non sarà ascoltato.
In Omicidio a Road Hill House Kate Summerscale ricostruisce l'intera vicenda, e le sue implicazioni nelle nostre coscienze, facendo parlare documenti e giornali dell'epoca e padroneggiando con grande maestria e bravura le tecniche del giallo.
«Kate Summerscale combina scrupolose ricerche storiche con grande vivacità narrativa e talento per ricreare atmosfere di altri tempi. Il classico libro che, una volta iniziato, non si riesce più a lasciare».
The Observer
«Ciò che rende questo libro rigoroso profondamente sconvolgente è che, pur cercando di essere il più possibile obiettiva, Summerscale non si dimentica mai che in questa tragedia si sono giocate delle vite umane».
Les Inrockuptibles
A quindici anni, Mariam non è mai stata a Herat. Dalla sua kolba di legno in cima alla collina, osserva i minareti in lontananza e attende con ansia l'arrivo del giovedì, il giorno in cui il padre le fa visita e le parla di poeti e giardini meravigliosi, di razzi che atterrano sulla luna e dei film che proietta nel suo cinema. Mariam vorrebbe avere le ali per raggiungere la casa di Herat, dove il padre non la porterà mai perché lei è una harami, una bastarda, e sarebbe un'umiliazione per le sue tre mogli e i dieci figli legittimi ospitarla sotto lo stesso tetto. Vorrebbe anche andare a scuola, ma sarebbe inutile, le dice sua madre, come lucidare una sputacchiera. L'unica cosa che deve imparare è la sopportazione. Laila è nata a Kabul la notte della rivoluzione, nell'aprile del 1978. Aveva solo due anni quando i suoi fratelli si sono arruolati nella jihad. Per questo, il giorno del funerale, le è difficile piangere. Per Laila, il vero fratello è Tariq, il bambino dei vicini, che ha perso una gamba su una mina antiuomo ma sa difenderla dai dispetti dei coetanei; il compagno di giochi che le insegna le parolacce in pashto e ogni sera le da la buonanotte con segnali luminosi dalla finestra. Mariam e Laila non potrebbero essere più diverse, ma la guerra le farà incontrare in modo imprevedibile. Dall'intreccio di due destini, una storia indimenticabile che ripercorre la Storia di un paese in cerca di pace, dove l'amicizia e l'amore sembrano ancora l'unica salvezza.
Bombay, 1993. Chamdi ha dieci anni e vive alle porte della città, lontano dagli scontri tra induisti e musulmani che infiammano le strade, dalle moschee bruciate e dai negozi svaligiati. La sua non e una vera casa, è un orfanotrofio, perché i genitori lo hanno abbandonato quando era appena nato. Il suo mondo è fatto del colore acceso delle bouganvillee, delle canzoni, dei giochi e delle preghiere silenziose, perché arrivi qualcuno e lo porti via. Ma Chamdi ha un grande sogno, che Bombay si trasformi in un'altra città, la città senza tristezza: un luogo in cui i bambini possono giocare per le strade, perché le macchine e le bici non esistono, e in cui non ci sono figli senza genitori, perché chi abbandonerebbe mai il proprio bambino? Chamdi sa che quella degli orfani è una vita a metà, i loro occhi non splendono, hanno solo una luce presa in prestito; per questo sembrano tristi anche quando ridono. Così decide di andarsene, di partire alla ricerca del padre. Perdendosi nei vicoli sporchi e affollati, Chamdi fa amicizia con due bambini, Sumdi e Guddi, fratello e sorella, che per strada ci vivono fin dalla nascita. Decide di unirsi a loro, ma ben presto scopre che la vita dei ragazzi di strada non ha nulla a che fare con i giochi. Si deve elemosinare, rubare, picchiare se si vuole sopravvivere. Chamdi non crede di potercela fare, ma quando Guddi sarà in pericolo di vita, ferita gravemente da una bomba, scoprirà quanto sia fragile l'innocenza e forte l'amicizia.
«Una volta, in Cina, una studentessa dell’università di Xi’an mi ha chiesto cosa si perde scrivendo. Ardua domanda kafkiana. E leggendo? Una volta Borges ha detto che lasciava ad altri di gloriarsi dei libri che avevano scritto e che la sua gloria erano invece i libri che aveva letto.»
Alfabeti è un viaggio tra i libri e nella letteratura – o meglio, uno dei mille possibili viaggi alla scoperta dei libri, dei loro autori e di noi stessi. Il percorso inizia dalle letture d’infanzia e d’adolescenza, da quei libri fondanti che contagiano il piacere della lettura, dando il sapore del racconto e dell’avventura, aprendo alla scoperta del mondo.
In Alfabeti ci sono i libri che ci hanno formato, che ci hanno ferito e insieme hanno saputo curare la ferita. I libri che permettono di conoscere e ordinare il mondo e quelli che ne svelano il caos travolgente e distruttore, l’incanto e insieme l’orrore. I libri che fanno balenare la salvezza e quelli che si affacciano sul nulla. Soprattutto quelli che allargano i confini della letteratura e rimandano aldilà di essa.
Al cuore di questo volume è la crisi che dal Novecento getta le sue ombre e le sue illuminazioni fino a noi. Magris ne scava le radici nel Romanticismo – risalendo peraltro all’antichità e immergendosi nelle letterature anche più lontane e periferiche – e la insegue nelle tragedie che hanno segnato e segnano la nostra storia recente.
Alfabeti parla soprattutto di libri che s’intrecciano e si scontrano con la vita e con la Storia per tornare poi alla vita, plasmando gli sguardi, le idee, i sogni e le esistenze quotidiane dei loro lettori. Libri che trascendono anche la propria perfezione estetica per dire il dolore come la bellezza, l’amore come l’abiezione.
Il libro coglie soprattutto le contraddizioni talora tragiche della letteratura e dei suoi autori, capaci di far capire a tutti cosa sia l’umanità ma anche di violarla colpevolmente. Anche per questo il percorso si conclude con un’appassionata e lucida riflessione sul rapporto della letteratura con l’etica e con la politica, riflessione che mette in luce contemporaneamente la necessità dell’impegno e l’altrettanto necessaria irresponsabilità della poesia.
Che cosa lega tra loro i destini di due donne lontane nel tempo? Una, Catherine, ha solo diciannove anni quando viene rapita e fatta schiava dai corsari berberi nel luglio del 1625, l'altra, Julia, è una ragazza dei giorni nostri, con una complicata e dolorosa situazione sentimentale. Tra Inghilterra, Cornovaglia e Marocco, tra passato e presente, i percorsi di vita delle due donne sì incroceranno più vote, in modi inattesi e sorprendenti, cosi come sorprendente e inatteso è l'amore che cambierà per sempre le loro esistenze...
"Odio le parole enfatiche": questa l'ultima frase de "L'arte di persuadere", che si conclude con una lacuna dovuta a un copista o allo stesso Pascal, ma che comunque suona come un'adesione al pensiero di Montaigne, il grande critico dell'amor proprio e della vanità delle cose mondane. Ma là dove lo scettico Montaigne si ferma dopo aver fatto tabula rasa, l'apologeta cristiano, che non può essere indifferente al risultato di una disputa, deve fare un passo avanti, sostenere che, stabilite le buone regole del ragionamento, sia possibile convincere e convertire l'interlocutore. Scritto verso il 1660, "L'arte di persuadere" si riallaccia alla polemica fra giansenisti e gesuiti, importante disputa teologica che stava molto a cuore a Pascal; ma è al tempo stesso una sorta di essenziale e limpido "discours de la méthode" di Pascal stesso, che troviamo poi applicato nell'altro testo qui riunito, la prima delle famose "Lettere provinciali" scritte in quello stesso periodo.
Nel corso di questo nuovo caso - la più marina delle indagini di Montalbano l'ha definita Camilleri - che si svolge tutto nel porto di Vigàta, tra yacht e cruiser, il lettore resterà colpito dal cambiamento che si è verificato nel commissario, come se Camilleri avesse voluto scavare più intensamente dentro i sentimenti del suo beniamino. Una mattina viene trovato nel porto di Vigàta un canotto, all'interno il cadavere sfigurato di un uomo. L'ha riportato a riva un'imbarcazione di lusso, 26 metri, abitata da una disinvolta cinquantenne e da un equipaggio con qualche ombra. Proprietaria e marinai devono trattenersi a Vigàta fino alla fine dell'inchiesta sul morto (ammazzato col veleno stabilisce l'autopsia), ma intanto è proprio su di loro che Montalbano vuole indagare.

