
«... quando mi viene un’idea di qualcosa da scrivere, breve o lunga che sia,» ha dichiarato Sciascia «non so in prima se mi prenderà la forma del saggio o del racconto». Opera in lui, infatti, un «gioco costante di correlazione» tra queste due forme: il che fa sì che riesca a essere, come pochi altri, «saggista nel racconto e narratore nel saggio». E non sarà difficile, ripercorrendo – dopo quella ‘impura’ dei racconti-inchieste, delle ‘inquisizioni’ e delle cronachette affidata al precedente volume – anche la produzione saggistica in senso proprio, rintracciarvi un’innata vocazione alla fabula. La ritroveremo nei libretti dedicati al ‘padre’ Pirandello, al quale lo ha legato un rapporto così intenso da sfiorare l’ossessione («Tutto quello che ho tentato di dire, tutto quello che ho detto, è stato sempre, per me, anche un discorso su Pirandello: scontrosamente, e magari con un certo rancore, prima; cordialmente e serenamente poi»), vale a dire Pirandello e il pirandellismo, Pirandello e la Sicilia e Alfabeto pirandelliano; nelle raccolte come La corda pazza, Cruciverba e Fatti diversi di storia letteraria e civile, dove più si rivela il suo stendhalismo (nel senso di mobilità del pensiero, trasparenza e dilettantismo, inteso come ‘dilettarsi della vita’); e persino negli interventi che hanno fatto di lui, nel Novecento, lo scrittore disturbante per eccellenza: quelli dedicati alla mafia, al terrorismo e alla situazione della giustizia italiana, radunati in A futura memoria.
"Il cane di Diogene", la monumentale opera satirico-autobiografica di cui il presente volume costituisce un capitolo, è uno dei "casi letterari" irrisolti del Seicento italiano. Il suo autore, il genovese Frugoni, rappresenta uno dei primi sperimentatori della forma del "romanzo" in lingua italiana. Le vicende, narrate in prima persona, del cane Saetta scacciato dal filosofo Diogene e passato a successivi padroni, descrivono un mondo caleidoscopico, una sfilata di personaggi contro cui si scaglia il moralismo anticonformista dell'autore. Il cane Saetta si rende conto delle miserie degli uomini e nei suoi "latrati" dà voce alla sua pena e alla sua carica polemica.
Alexandre Dumas riceve la notizia della partenza di Garibaldi alla volta della Sicilia alla testa di un migliaio di camicie rosse, mentre è a Genova, tappa del suo viaggio in Oriente. Senza esitare, lo scrittore decide di raggiungerlo per essere al suo fianco contro Francesco II. Da questo momento il libro si trasforma in un avvincente reportage che descrive gli avvenimenti nello stesso istante in cui diventano storia. Dumas, amico del generale, è un testimone d'eccezione: raccoglie testimonianze, assiste alle battaglie e alle trattative politiche; non esita ad agire in prima persona, contrabbandando armi e arruolando volontari; giunge persino a sfidare Francesco II e a condurre trattative segrete. Non racconta più la storia ma la fa.
Il volume ospita innanzitutto "Feria d'agosto", l'unico testo licenziato dall'autore stesso, e il lungo racconto giovanile "Ciau Masino". Accanto a questi sono presentati i racconti giovanili e gli altri racconti sparsi ricostruiti secondo le testimonianze a stampa e le carte delle prime stesure. Firma l'introduzione Marziano Guglielminetti, mentre Mariarosa Masoero cura il volume, firma il testo introduttivo "Fra le carte dei racconti", le note e le notizie sui testi.
La terza parte dell'opera completa di Giovanni Testori, dal 1977 al 1993.
In questa raccolta, che copre l'intero arco dell'opera di Auden, il lettore non solo troverà tutte le sue poesie più celebri - riproposte in nuove o rinnovate traduzioni di Massimo Bocchiola e Ottavio Fatica -, ma scoprirà un giacimento di tesori, quali si possono celare in un corpus di testi capace di ravvivare o reinventare all'occorrenza ogni forma della tradizione: dall'apocalittico all'arcadico, dal propagandistico al meditativo, dall'ironico al sentimentale, passando dalle antiche saghe islandesi a Dante, a Shakespeare, per approdare infine a Goethe. Con un saggio di Iosif Brodskij.
Della poliedrica opera di Meneghello, narratore, linguista, saggista, il volume offre una scelta rappresentativa, in una disposizione cronologica che permette di cogliere la sua unità tematica e stilistica. Ai libri dei primi anni Sessanta, "Libera nos a malo", sulla cultura del suo paese, e "I piccoli maestri", sulla sua esperienza di partigiano, ne seguono due degli anni Settanta, "Pomo pero", continuazione di "Libera nos", e "Fiori italiani", riflessioni sull'istruzione scolastica di un giovane italiano nato agli inizi degli anni Venti, e in generale sulla natura dell'educazione e su cosa significhi imparare una lingua letteraria e assimilare una cultura. Queste opere restituiscono luoghi della memoria e della vita quotidiana in una prosa personale, caratterizzata da un impasto linguistico che nasce dal dialetto, ricostruito con cura filologica, e da innesti di modi gergali, idiotismi, neologismi. Agli anni Ottanta appartengono "Jura", che riunisce saggi dedicati al commento e all"'autocommento", e "Leda e la schioppa", mentre "La materia di Reading" e "Quaggiù nella biosfera" raccolgono saggi dell'ultimo decennio. La scelta dei testi e il saggio introduttivo sono di Giulio Lepschy, grande linguista e amico personale di Meneghello. Il volume si arricchisce di una testimonianza della scrittore Domenico Starnone, che è stato uno degli sceneggiatori del film "I piccoli maestri".
II Meridiano propone un'ampia scelta di narrativa breve e lunga, a partire da "Itinerario di Paolina" del 1937, "ricordi di una donna che rievocava, in terza persona, la sua infanzia e la sua adolescenza". Tra i romanzi, il più famoso è "Artemisia" (1947), che ripercorre la vita della pittrice seicentesca Artemisia Gentileschi, "una delle prime donne che sostennero colle parole e colle opere il diritto al lavoro congeniale". Anche gli altri romanzi presentati sono ciascuno una perla: "Il bastardo" (1953), una "storia di famiglia", espressione di una società "intimamente logorata"; "Noi credevamo" (1967), ispirato alle vicende del nonno rivoluzionario calabrese; "La camicia bruciata" (1973), in cui la Banti colloquia con Marguerite d'Orléans; "Un grido lacerante" (1981), pagine scritte a dieci anni dalla scomparsa di Longhi, compagno di una vita. Inframmezzati ai romanzi, in ordine cronologico, sono collocati i racconti, tratti da raccolte che spesso già nel titolo dicono l'appartenenza alla "rivoluzione" femminile e il profondo interesse dell'autrice per le "epoche di profonda crisi".