
Qualche anno fa Francesco e l’infinitamente Piccolo rivelò ai lettori un grande scrittore. Ora Bobin ritorna con questo libro breve ma intenso, scritto per l’amica strappata al suo affetto.
«La morte, come la vita, ha i suoi ritornelli, le sue stagioni e le sue crescite. Oggi siamo alle soglie della primavera. Domani lillà e ciliegi saranno in festa. Se mi volto a guardarti nella tua morte recente, Ghislaine [...], in questi giorni di ultimi geli e di prime fioriture bianche, ti vedo come una giovane donna che scoppia a ridere sotto gli acquazzoni. Mi manca il tuo riso. Nella mancanza ci si può lasciar andare. Ma si può anche trovare un sovrappiù di vita. L’autunno e l’inverno successivi alla tua morte li ho spesi a dissodare per te questo piccolo giardino d’inchiostro. Per entrarvi, due porte – un canto e una storia. Il canto è il mio. Della storia non sono che il narratore. La offro ai tuoi figli, i tuoi uccelli del paradiso, le tue tre vite eterne».
Destinatari
Un libro per il grande pubblico.
L’autore
Christian Bobin è nato nel 1951 a Le Creusot, città della Francia centro-orientale. Poeta di grande originalità artistica, è autore tra l’altro di Francesco e l’infinitamente Piccolo (Edizioni San Paolo, 2004), vincitore in Francia di diversi premi letterari.
«Quando ero nei campi di concentramento e nessuno veniva a liberarmi, mi chiedevo: come può il mondo essersi dimenticato di noi?». Appena dodicenne all'epoca della deportazione, Edith Bruck è fra i pochi superstiti dell'Olocausto, che come i messaggeri di Giobbe sono scampati per raccontare. "Chi ti ama così" è un romanzo autobiografico in cui il debito nei confronti del passato e del dolore non può dirsi mai saldato completamente. Un diario che attraversa il tempo, lo spazio e diverse lingue, dal quale emerge potente la voce di una donna che ha sentito il bisogno di ripercorrere la tragedia vissuta, per consegnarci intatti l'orrore ma anche la speranza di ritornare a vivere. «Ho incominciato a scrivere questo racconto autobiografico alla fine del 1945 in Ungheria, nella mia lingua. Ma durante la fuga in Cecoslovacchia persi il mio quaderno marrone che conteneva anche poesie scritte nell'infanzia e dedicate a mia madre. Ho cercato poi di riscriverlo più volte nei vari paesi dove sono stata. Solo a Roma, tra il 1958 e il 1959, sono riuscita a scriverlo fino in fondo in una lingua non mia».
L'alba di un primo bacio, preludio del tempo bello che verrà. Due storie, due amori, due epoche diverse... Lele ha vent'anni ed è stato lasciato dalla fidanzata dopo tre anni. Decide di andare a trovare il nonno paterno, Raffaele, per raccontargli le sue paure per il futuro, ma anche il suo dolore per la fine del rapporto con Lorena. Il nonno lo ascolta e gli racconta una storia che non ha mai rivelato a nessuno. Ha lavorato come infermiere nel manicomio di Teramo. Qui, nel 1945, mentre finisce la guerra vengono ricoverati, quasi contemporaneamente, due giovani, Saverio e Crocifissa. La simpatia tra i due si trasforma presto in un sentimento più profondo. Tutti osteggiano il rapporto nato in un luogo di sofferenza e di alienazione, ma Raffaele prende a cuore i due giovani e li aiuta a scappare dal manicomio.il saggio di Loredana Petrone affronta le tematiche legate al periodo dell'adolescenza e dell'innamoramento.
"Diario di un padre innamorato" è il regesto emozionale di un uomo quarantenne che diventa padre e affronta - prima, durante e dopo - tutte le trepidazioni che l'evento gli fa provare, a cominciare dalla paura. Orchestrato come una "monodia" di introspezioni progressive, in una prosa limpida e intensa, di evidente impronta poetica, il testo si compone di settanta frammenti lirici, i quali costituiscono altrettanti paragrafi di una ideale "lettera aperta" che il padre, divenuto pienamente consapevole del proprio amore, scrive in prima persona alla figlia, ricordandole - dal concepimento ai primi tre anni di vita - tutta la bellezza racchiusa nel "miracolo" di essere nata. Con un saggio di Paolo Di Paolo.
In questa opera autobiografica, Mazzantini racconta la sua esperienza di giovane "ragazzo di Salò". A diciotto anni, dopo l'armistizio dell'8 settembre, Mazzantini scappa da casa per andare al fronte a combattere. Unitosi ai superstiti di un battaglione di Camicie Nere conoscerà sui monti della Valsesia e della Val d'Ossola gli orrori, le lacerazioni e le contraddizioni della guerra civile. Giulio Nascimbeni di questo libro ha scritto: "E' la storia di uno dei tanti che dopo l'8 settembre scelsero di stare dalla parte dei tedeschi e dei repubblichini. Sognavano di combattere in prima linea contro gli angloamericani che risalivano lentamente l'Italia; quasi tutti andarono invece a rastrellare partigiani e renitenti alla leva nelle valli del settentrione".
"Scegliendo le parole con la cura e la pacatezza di un abile intarsiatore la Gaskell racconta con straordinaria delicatezza la storia di Phillis, cugina del diciannovenne Paul, e si esprime attraverso una sorta di realismo in bilico tra due ideali: da una parte la campagna, armoniosa e immobile, e dall'altra la città con il suo dinamismo ineluttabile e divoratore". (Kate Singleton)
"Odio le parole enfatiche": questa l'ultima frase de "L'arte di persuadere", che si conclude con una lacuna dovuta a un copista o allo stesso Pascal, ma che comunque suona come un'adesione al pensiero di Montaigne, il grande critico dell'amor proprio e della vanità delle cose mondane. Ma là dove lo scettico Montaigne si ferma dopo aver fatto tabula rasa, l'apologeta cristiano, che non può essere indifferente al risultato di una disputa, deve fare un passo avanti, sostenere che, stabilite le buone regole del ragionamento, sia possibile convincere e convertire l'interlocutore. Scritto verso il 1660, "L'arte di persuadere" si riallaccia alla polemica fra giansenisti e gesuiti, importante disputa teologica che stava molto a cuore a Pascal; ma è al tempo stesso una sorta di essenziale e limpido "discours de la méthode" di Pascal stesso, che troviamo poi applicato nell'altro testo qui riunito, la prima delle famose "Lettere provinciali" scritte in quello stesso periodo.
"Nel 1980 - racconta Andrea Camilleri - Livio Garzanti volle pubblicare questo mio romanzo risolvendo le perplessità di alcuni suoi eminenti collaboratori. Mi domandò però, quasi a guardarsi le spalle, un glossario. Comprendendo le sue taciute ragioni, principiai a compilarlo di malavoglia: poi, a poco a poco ci pigliai gusto e me la scialai. Il romanzo viene ora ristampato a distanza di diciassette anni e il glossario, nel frattempo, è diventato superfluo. Se ora lo ripubblichiamo è perché la cosa sottilmente ci diverte. Lo spunto di 'Un filo di fumo' me lo diede un volantino anonimo, trovato tra le carte di mio nonno, che metteva in guardia contro i maneggi di un commerciante di zolfo disonesto. Per il resto, nomi e situazioni sono da addebitare alla mia fantasia. Allora, quando uscì, il romanzo piacque a mia madre: lo dedico alla sua memoria".
Si tratta di microstorie, ciascuna delle quali è all'origine di un modo di dire, di una "frase celebre" facente parte di una vera e propria mitologia familiare e cittadina, risalente agli anni dell'infanzia dell'autore, quando Porto Empedocle si chiamava ancora Molo di Girgenti. "Non posso in coscienza affermare che le cose qui scritte appartengano esclusivamente alla mia fantasia... quasi tutte mi vennero raccontate da coloro che sono i veri autori di queste pagine, cioè i membri della mia famiglia, paterni e materni."
"Ricordatevi, cara figlia, che le persone anche di merito distinto, quando sono infelici, cessano di essere amabili", scrive Pietro Verri in questi Ricordi alla figlia Teresa, chiamata così in omaggio alla regina Maria Teresa d'Austria, che l'illuminista di Milano ammirò sopra ogni altro. Una figlia avuta tardi, a quasi cinquant'anni, alla quale appena nata ricordava come diventare felice, attraverso la disciplina dello spirito, e così fare felici gli altri, com'era dovere di donna. I Ricordi, cioè ammonimenti, formano un trattato modello di pedagogia femminile illuministica, più vicina all'inglese rigoroso Locke che all'utopista libertario Rousseau.
"I grandi monarchi si irritavano quando si "deteriorava" il loro materiale umano. Luigi XIV confiscava i beni dei colpevoli di suicidio e Napoleone lanciò un ordine del giorno nel quale si proclamava che ogni soldato che si uccide è un soldato che diserta. Ma l'ondata romantica dilagò in Europa e fece predominare l'individualismo: ogni uomo fu riconosciuto artefice del proprio destino, compresa la morte. Il suicidio sfuggì ad ogni legge penale e si espanse: divenne banale, facile, viziato di democrazia, ed entrò in letteratura". Flaubert, Dostoevskij, Wilde, D'Annunzio, Malraux, e altri gli scrittori che nelle loro opere si sono misurati con il tema del suicidio. Morand cerca di comprendere le ragioni di questa "pratica" nella letteratura, i motivi di questa "voluttà della malinconia" e le trasformazioni dei suicidi letterali attraverso i secoli. Se il romanticismo aveva abbellito il suicidio con l'amore o con la speranza di una vita nuova in regioni sconosciute, la disperazione moderna è divenuta "malinconia sterile che fa dei candidati al suicidio gli eredi di Chateaubriand e di Byron, ma senza le soddisfazioni liriche che salvarono questi grandi sacerdoti della letteratura e impedirono loro di passare all'azione". Questo volume contiene due piccoli trattati: "Il suicidio in letteratura" e "L'arte di morire". Morand considera come nel mondo moderno, presi dalla follia del vivere rapidamente, non ci sia posto per il tema della morte.

