
Il testo Tutto il bello che c’è narra in prima persona del tremendo terremoto che ha duramente colpito la città di Amatrice il 24 agosto 2016, con gli occhi dell’autore che perde sotto le macerie gli affetti più cari: la mamma, il padre, la sorella e il suo grande amore, Anna.
Il testo procede su due binari paralleli; uno dove l’autore racconta quello che vede, farcendo tutto di strazianti dettagli. Dall’altra l’oggettiva considerazione e relativa presa di coscienza dei fatti accaduti, accompagnata da profonde ri essioni.
Oltre alla struggente storia d’amore, che l’autore espone con disarmante sincerità, e alla cruda cronaca dell’evento sismico, il testo si propone di fornire risorse ed esperienze, affiancando alla storia in sé riflessioni di crescita personale, celebrando con semplicità espositiva libertà e amore.
In una terra immensa e misteriosa come nessuna, madre e figlia si scoprono guida una all'altra in un viaggio che mescola i grandi cicli della natura e della vita. Trascorrono dodici giorni navigando lungo lo Enisej, da Krasnojarsk a Dudinka, passando per molte città. Un viaggio dentro e fuori la storia, quella immensa della Russia e quella personale, unite dalla corrente di un fiume che più di altri ha raccolto i protagonisti, le speranze, i drammi del popolo russo. Sullo Enisej nel XVII secolo i cosacchi costruirono le prime città della conquista siberiana. E ancora sullo Enisej nel 1897 fu esiliato Lenin, nel 1904 Stalin e in era sovietica, migliaia di prigionieri. Ma a fine viaggio, è bello sentire che in Siberia si nasce e si torna a vivere in due.
A Prijedor, in Bosnia Erzegovina, in quella che oggi si chiama Repubblica serba di Bosnia (Rs), nella primavera-estate del 1992 succedono cose spaventose. Sembra d'essere tornati ai tempi del nazismo. Gli ultranazionalisti serbo-bosniaci vogliono sradicare i "non serbi" attraverso due strumenti: deportazione e omicidio. Vengono creati per quest'ultimo scopo tre campi di concentramento. Che ben presto diventano luoghi di uccisione di massa. Nomi tremendi: Omarska. Keraterm. Trnopolje. In quest'ultimo luogo - composto da una scuola, una casa del popolo e un prato - vengono recluse tra le quattromila e le settemila persone. È a Trnopolje, nel maggio del 1992, che è ambientata la storia raccontata da questo libro. Una storia di fantasia, ma poggiata su solide basi storiche e di testimonianza. Un libro che non è solo un romanzo ma anche un reportage di quanto accaduto troppi pochi anni fa e troppo vicino a noi, per non sapere. Prefazione di Riccardo Noury.
Un uomo maturo, separato dalla moglie, stanco della solita vita metropolitana, esistenzialmente inerte, perde il lavoro e viene scambiato da un'agenzia immobiliare per l'acquirente dell'attico del suo condominio. Ed ecco che scatta qualcosa in lui: un'idea. Abbacinato dal desiderio improvviso di non essere più se stesso, si finge interessato a comprare degli appartamenti, usa nomi falsi e contatta agenzie iniziando così una bizzarra odissea, segnata tra l'altro da un curioso progetto: la creazione di un nuovo tipo di pasta, di un nuovo fusillo. Conosce Alba, una fascinosa agente immobiliare che pretende di cambiargli la vita e finisce per scoprire il suo gioco. Ma il fatto di essere stato "scoperto" rompe l'incanto della messinscena e della simulazione. Sembra che tutto sia perduto, ma due eventi insperati, due autentici tuffi al cuore, giungono inaspettati. E la vita continua.
Si raccolgono in questo volume tutti gli scritti di Leonardo che non hanno stretto riferimento alla ricerca scientifica o all'arte figurativa. Si tratta delle Favole, brevi testi nella tradizione degli apologhi morali; del Bestiario, prontuario sul significato favoloso degli animali; delle Profezie, sorta di indovinelli da recitarsi a corte; delle Lettere, e di una raccolta di Pensieri.
Abelis è il bambino che Ciambellano cerca da anni perché, se diventerà cavaliere, la vittoria sui draghi sarà definitiva. I cavalieri vivono però un segreto terribile che rende atroce l'idea di trasformare un bambino in cavaliere e che ferma persino Messer Ferriere. Così questi lo affida a Blennenort, il solo cavaliere di Arileva che nessuno rispetti. Ma Abelis ha una mamma, Lutet, che ama lui, Blennenort e gli animali. E anche i draghi. Una donna che con la poesia, la verità e la bellezza sconfigge la trama di potere creata da Ciambellano.
C’è una linea immaginaria eppure realissima, una ferita non chiusa, un luogo di tutti e di nessuno di cui ognuno, invisibilmente, è parte: è la frontiera che separa e insieme unisce il Nord del mondo, democratico, liberale e civilizzato, e il Sud, povero, morso dalla guerra, arretrato e antidemocratico. È sul margine di questa frontiera che si gioca il Grande gioco del mondo contemporaneo. Questa soglia è inafferrabile, indefinibile, non-materiale: la scrittura vi si avvicina per approssimazioni, tentativi, muovendosi nell’inesplorato, là dove si consumano le migrazioni e i respingimenti, là dove si combatte per vivere o per morire. Leogrande ci porta a bordo delle navi dell’operazione Mare Nostrum e pesca le parole dai fondali marini in cui stanno incastrate e nascoste. Ci porta a conoscere trafficanti e baby-scafisti, insieme alle storie dei sopravvissuti ai naufragi del Mediterraneo al largo di Lampedusa; ricostruisce la storia degli eritrei, popolo tra i popoli forzati alla migrazione da una feroce dittatura, causata anche dal colonialismo italiano; ci racconta l’altra frontiera, quella greca, quella di Alba Dorata e di Patrasso, e poi l’altra ancora, quella dei Balcani; ci introduce in una Libia esplosa e devastata, ci fa entrare dentro i Cie italiani e i loro soprusi, nella violenza della periferia romana e in quella nascosta nelle nostre anime: così si dà parola all’innominabile buco nero in cui ogni giorno sprofondano il diritto comunitario e le nostre coscienze. Quanta sofferenza. Quanto caos. Quanta indifferenza. Da qualche parte nel futuro, i nostri discendenti si chiederanno come abbiamo potuto lasciare che tutto ciò accadesse. Quella parola indica una linea lunga chilometri e spessa anni. Un solco che attraversa la materia e il tempo, le notti e i giorni, le generazioni e le stesse voci che ne parlano, si inseguono, si accavallano, si contraddicono, si comprimono, si dilatano. È la frontiera.
Per l'ispettore Machuca niente di quello che sta avvenendo a Città del Messico ha senso. Un killer spietato si diverte a uccidere delle povere ballerine, abbandonando poi i loro miseri resti in una raffineria dismessa. Nello stesso tempo qualcuno va in giro per il quartiere di Tepito, regno dei narcos, a distruggere gli altari dedicati al culto della Santa Muerte. Come se non bastasse, all'improvviso entra in scena la giovane detective spagnola Daniela Ackerman, incaricata di ritrovare un quadro dipinto nel 1940 dalla celebre artista Frida Kahlo, dedicato al suo amore segreto, il leader della rivoluzione russa, Lev Trotsky. Situazioni tutte apparentemente senza alcun nesso tra loro. Eppure, scavando a fondo, Machuca, aiutato in questo dall'affascinante investigatrice e dal giornalista Freddy Ramírez, si accorgerà che la storia è molto più complessa di quanto possa immaginare e che, alla fine, un elemento comune lega tra loro le diverse vicende. Tra personaggi ambigui, trafficanti di droga, uomini di Chiesa invischiati in loschi affari, sullo sfondo di una città perennemente in debito di legalità, tra passato e presente, il disilluso Machuca dovrà trovare, e in fretta, una soluzione.
I mali minori non hanno aria da tragedia. Non sono mai, per definizione, niente di irreparabile. Sono i doni sbagliati di Natale, gli esiti di un'informazione parziale o difettosa, i piccoli ma perfidi accanimenti della sfortuna che assumono agli occhi di un bambino la valenza di un disastro. Scaturiscono da un'incomprensione degli adulti che sembra mettere a rischio il senso stesso del mondo. Oppure da un'incapacità dei bambini a corrispondere alle aspettative degli altri, che li porta a conoscere per la prima volta quell'inadeguatezza contro cui si troveranno a lottare per tutta la vita. Oppure infine da quella cospirazione di cose che porta talvolta a interpretare gli eventi come un teatro, dove a reggere le sorti dei personaggi più inermi interviene spesso una mano dispettosa. Viene in mente la parabola del piccolo Carlo Emilio Gadda che, forzando per una volta l'avarizia dei genitori, riuscì finalmente a farsi comprare un gelato, che per colpa di un piccione non mangiò mai. Certo, col tempo il male minore smette di far soffrire. Resta, però, di lui un qualche noioso prurito dell'anima. Proprio come quando, d'estate, si aggiunge all'opprimente calura la noia di una zanzara.

