
Salvatore è nato quando in pochi conoscevano il nome della sua isola: un luogo di frontiera posto alla fine del mondo, con il mare blu e la terra arsa dal sole. È cresciuto sulle barche, vicino alle cassette di alici, con lo sguardo nell'azzurro, sopra e intorno a lui. Forse è lì che tutto è cominciato, tra ghirigori nell'acqua e soffi nel vento. Di sicuro è lì che ha conosciuto Giulia, anche se lei vive a Milano con i genitori emigrati per inseguire lavoro e successo. Da sempre Giulia e Salvatore aspettano l'estate per rivedersi: mani che si intrecciano e non vogliono lasciarsi, sussurri e promesse. Poi, d'inverno, tante lettere in una busta rosa per non sentirsi soli. Finché, una mattina, nell'estate in cui tutto cambierà, Giulia e Salvatore scoprono il corpo di un ragazzino che rotola sul bagnasciuga come una marionetta e tanti altri cadaveri nell'acqua, affogati per scappare dalla fame, dalla violenza, dalla guerra. Gli sbarchi dei migranti cominciano e non smettono più. L'isola muta volto, i turisti se ne vanno, gli abitanti aiutano come possono. Quando Giulia torna a Milano, il filo che la lega a Salvatore si allenta. La vita non è più solo attesa dell'estate e amore sincero, corse in spiaggia e lanterne di carta lanciate nel vento. La vita è anche uno schiaffo, un risveglio, la presa di coscienza che al mondo esistono dolore e differenze. Una scoperta che travolge i due ragazzi e che darà valore a tutte le loro scelte, alla loro distanza e alla loro vicinanza.
Anni Ottanta, Polonia. Una Polonia cupa e pesante che cerca di scrollarsi di dosso la tutela moscovita. In quest'agonia dell'Europa dell'Est, in questo clima fervido e inquieto, nasce l'amore fra un ingegnere italiano e la moglie di un diplomatico, una nobildonna tedesca che ha vissuto nella sua infanzia le atrocità dell'Armata rossa e la perdita di una patria, la Prussia orientale, che sarà cancellata dalla carta geografica della Germania. Un amore che si snoda, intenso e sofferto, fra una Varsavia militarizzata e una Praga magica, fra le colline toscane e una Roma autunnale. Se lei è pronta a ricominciare una nuova vita, lui è indeciso, esita, promette, sempre lacerato fra l'amore per i figli e quello per la compagna. Dopo una relazione di quattro anni lei capirà che questo affetto non ha futuro. E troncherà, con dolore, un rapporto tormentato. Passano trent'anni dal primo incontro, ormai lui e lei sono diventati vedovi e vecchi ma il destino che stranamente li aveva separati, ora stranamente li ricongiunge. In una lunga e inaspettata telefonata notturna rivive la malinconia del loro passato. Ma rinasce una nuova speranza: anche nel tramonto della vita si può ricominciare ad amare. Un amore più luminoso, meno passionale ma più profondo che può dare senso all'ultimo tratto di strada.
Si può incontrare Dio? Qual è il suo volto? Queste domande animano il cuore di Astro, un giovane magio e di Giuda, un pastore giudeo. Insieme ai tre Magi sono in cammino verso Gerusalemme per ritrovare Gesù che questi ultimi visitarono 30 anni prima. Si imbattono nelle voci su Gesù e in alcune persone che lo hanno conosciuto. Astro è impaziente e dubbioso, Giuda desidera trovare un roveto ardente. Faranno esperienza di Dio? Cosa troveranno a Gerusalemme?
Nel 1644 Budrio è un antico castello della città di Bologna con belle mura cinte da un fossato e, intorno, una campagna ricca di acque. Dentro al castello, si erge, solenne, la chiesa di San Lorenzo, con un alto campanile e il convento accanto, provvisto di chiostro e di torre dell'orologio. Il convento ospita diciassette frati, tra i quali padre Giovanni Battista Mezzetti. Noto come "l'unto del Signore" per il suo titolo di teologo conseguito grazie a un breve papale, il frate ha poco più di trent'anni ed è un uomo alto, con lo sguardo sicuro, i capelli fluenti e la voce suadente e imperiosa. Tra le duemila anime ospitate nel castello e fuori le mura, ha eletto a suo confidente, in virtù della disposizione che spinge l'uno verso l'altro i contrari, il medico di Budrio, Alberto Carradori. Al "povero uomo di scienza", come Carradori definisce se stesso, confida non soltanto i suoi disturbi, i suoi scatti d'ira improvvisi e il fuoco interiore che lo consuma, ma anche le sue angustie, i suoi slanci e il suo fervore di maestro del convento, addetto a insegnare la grammatica, la lingua italiana e quella latina ai ragazzi di Budrio. Svela, soprattutto, di coltivare vasti progetti per l'avvenire di un suo allievo: Giacomo Modanesi, un bambino di intelligenza e memoria prodigiose. Il ragazzo appartiene a una famiglia povera proveniente dal Po, da luoghi pieni di miasmi dove l'acqua facilmente s'impaluda. Sua madre è morta di febbri maligne e suo padre è un garzaiolo...
Ne ho visti di ulivi strani in vita mia, ma quelli di queste parti hanno forme fuori da qualsiasi logica progettuale, come se la natura li avesse affidati a un artista strambo che con le sue sculture vuole esprimere solo stupore. Gli ulivi sembrano l'istantanea di un movimento convulsivo. Alberi autolesionisti che si squarciano il ventre per creare caverne in cui vivono animali, insetti e folletti dai cappelli rossi. Alberi che annodano i propri rami per ingannare le simmetrie, e che anche quando il vento è assente e sono immobili appaiono fluidi e impetuosi come dervisci roteanti. Gli ulivi di queste brulle e arse pianure posano come divi esibizionisti che ostentano le proprie forme sicuri di essere unici.
Durante la prima guerra mondiale le autorità turche mettono in atto repressioni e massacri nei confronti del popolo Armeno, cristiano nell’islamico impero ottomano. È un vero e proprio genocidio, il primo del XX secolo. In questo contesto si svolge il racconto, basato su fatti storici, ambientato nell'ospedale Armeno di Costantinopoli. Intorno alla figura del direttore, il dottor vahann ohannian, ruotano diversi episodi e personaggi, ognuno dei quali rappresenta una testimonianza degli orrori perpetrati dai turchi, e qualche volta anche una speranza di rinascita. Delicatezza e angoscia convivono in queste pagine cariche di umanità. Il testo è stato scritto nel 1917 (e pubblicato in francese nel 1918), in epoca molto vicina ai fatti storici raccontati.
Madre Oryù è una levatrice di cento, "o forse mille anni". Racconta la storia di sei giovani, belli e selvaggi, posseduti da una colpa che ignorano, vittime di una tara annidata nel "sangue dei Nakamoto". Tutti e sei, nati e cresciuti in epoche diverse nei Vicoli, hanno il gusto per l'erotismo più sfrenato, compiono furti, omicidi; tutti vivono sul filo di un pericoloso crinale, in bilico tra innocenza e crudeltà, legalità e trasgressione, amore per la vita e attrazione per la morte. La levatrice è testimone del tragico destino dei sei protagonisti; è la memoria storica della sottocasta dei non-uomini burakumin, tuttora discriminata e a cui lo stesso Nakagami apparteneva. Sei racconti legati in un unico sogno atemporale, che scandagliano la verità affascinante di un Giappone sublime e selvaggio.
Dopo "Il mio Afghanistan", Gholam Najafi torna nella sua terra d'origine attraverso 16 racconti: storie di donne, di infanzie, di amicizie, di difficoltà e di piccole gioie che, come fili intessuti, tracciano la trama dell'Afghanistan, "terra aspra e un non sempre morbido tappeto", come scrive Giampiero Bellingeri nell'introduzione. Storie che sono testimonianza di un legame ancora forte dell'autore con la sua terra e con il distendersi dei suoi ricordi. Introduzione di Giampiero Bellingeri.
È mattina presto quando Rakhee esce di casa, diretta all'aeroporto. Dietro di sé, lascia un uomo addormentato, un anello di fidanzamento e una lunga lettera. Ma soprattutto lascia un segreto. Un segreto che lei e la sua famiglia hanno custodito per anni. Un segreto che sembrava ormai sepolto sotto la polvere del tempo. Il segreto di Rakhee ha radici lontane ed è legato all'estate del suo primo viaggio in India, a un mondo illuminato da un sole accecante oppure annerito da cortine di pioggia, a una vecchia casa quasi troppo grande da esplorare, a cibi intensamente saporiti e colorati, a zie vestite con sari sgargianti, a cugine chiassose e ficcanaso, e a un giardino lussureggiante, nascosto dietro un alto muro di cinta... Allora Rakhee era troppo giovane per sopportare il peso della sua scoperta, ma non è mai riuscita a dimenticarla e adesso, proprio mentre la vita le regala promesse di gioia, comprende che è arrivato il momento di dire la verità, anche se ciò significa perdere tutto, compreso l'amore. Tocca a lei abbattere le mura di quel giardino che la sua famiglia ha così caparbiamente difeso. Tocca a lei trovare la chiave per aprire la casa di petali rossi... Come un prisma che riflette i colori, gli odori e i sapori delle emozioni, questo romanzo dispiega le infinite sfumature dei sentimenti umani e le ricompone nella storia di Rakhee, per rivelare come sia sempre possibile spezzare le catene del passato e aprirsi con slancio a ciò che il futuro può offrire.
Siamo a Kaikurussi, un piccolo villaggio tra i monti del Kerala. Bashi il Pittore gira per le stradine buie del paese, magro ed emaciato, con il grembiule sempre sporco di pittura, gli occhiali spessi e i capelli a cespuglio. Qualcuno sussurra che si è ridotto così per colpa di una donna crudele che gli ha spezzato il cuore e lo ha spinto a rifugiarsi proprio in quel paesino sperduto nel nulla. Ma Bashi ha quello che non ha nessun altro essere umano: la capacità di leggere nella mente e nel cuore degli altri, di scacciare le paure e calmare il dolore. E di calmare il dolore ha molto bisogno Mukundan, figlio di uno degli uomini più ricchi del villaggio, che è fuggito a diciott'anni per allontanarsi da un padre dispotico e violento e ora è tornato, sulla soglia della mezza età, per affrontare i fantasmi del passato. Sarà proprio il bizzarro Bashi, assunto per lavorare al restauro della vecchia casa di famiglia di Mukundan, ad aiutarlo... In questo romanzo di Anita Nair rivivono intensissime le atmosfere, i colori, i profumi della vita in un piccolo villaggio indiano, un universo nel quale si ritrovano, concentrate e narrate con levità e grande sense of humour, tutte le passioni e le sofferenze del mondo.
Lena e KK sono felicemente sposati da quasi quindici anni perché lei non è innamorata di suo marito. Essere innamorati significa perdere il controllo, abbassare la guardia e permettere all'altro di rompere il guscio e penetrare fino alla tua anima. Troppo pericoloso secondo Lena, che ha già visto l'amore sconvolgere la vita dei suoi genitori e da sempre ha preferito una tranquilla e serena stabilità. La coppia vive in una zona montuosa del Sud dell'India, in una magnifica piantagione di tè immersa nella shola; all'interno della tenuta si trova anche un piccolo cottage, che di tanto in tanto viene affittato a ospiti in cerca di un posto dove poter dimenticare il resto del mondo. Proprio come Shoola Pani, costretto dal suo mestiere di attore a essere costantemente sotto i riflettori, nella sfera pubblica come in quella privata. Così Shoola Pani e Lena si incontrano e, attraverso le parole di Komathi, la cuoca che ha cresciuto la sua Lena sin da piccolissima, assistiamo alla loro storia d'amore seduti al tavolo di cucina; il gusto, il sapore e l'aroma delle spezie si sprigionano al calore di questo sentimento che sta nascendo e che forse cambierà per sempre l'esistenza delle persone coinvolte.
In una stazione climatica, un incantevole resort lungo le Sponde del fiume Nila, l'anziano e famoso danzatore Koman racconta a Christopher Stewart, che sta scrivendo un saggio su lui, la sua storia, come abbia dedicato l'intera vita alla danza, sua vera signora e padrona. In quella atmosfera incantata il destino ha però approntato un evento imprevisto e tra Chris e Radha, la giovane nipote di Koman, nasce improvvisa e inesorabile la passione.