
Epistolario inedito di Antonia Pozzi. Gli affetti, le amicizie, la poesia, l'amore per la montagna.
È la storia di una ragazza dalle lunghe gambe nervose quella che Paolo Cognetti ha raccontato in questo libro, che scorre sotto i nostri occhi come un docufilm. Milano, la montagna e la scrittura sono le cose che sente di avere in comune con lei. La ragazza ha attraversato una manciata di anni del Novecento: la sua famiglia borghese l'ha imprigionata nel conformismo ma le ha dato la possibilità di fare esperienze precluse ad altre donne, come studiare all'università, viaggiare in tutta Europa, andare in montagna e scalare. Ha esplorato il mondo con desiderio ardente, ha esplorato sé stessa attraverso la fotografia e la poesia. Ha amato con sovrabbondanza e inesperienza, come i suoi pochi anni le hanno consigliato. La montagna è sempre statala sua maestra e il suo rifugio. Si chiama Antonia Pozzi ed è morta suicida nel 1938, ma qui rivive per noi attraverso foto, diari, lettere e poesie, frammenti di un'esistenza che palpita ancora grazie al racconto di Cognetti che, mescolando le proprie parole alle sue, ce la restituisce in un ritratto nitido e delicato: un omaggio a un'artista che, senza saperlo e senza volerlo, ha scritto un capitolo della storia del secolo scorso.
Una nuova edizione rigorosamente condotta sui manoscritti, che restituisce – per la prima volta in un unico volume – tutte le poesie di Antonia Pozzi. Può essere così ricostruito nella sua completezza e autenticità il percorso di un’autrice non riconosciuta in vita, ma da alcuni decenni oggetto di una straordinaria riscoperta su un piano internazionale. Le sue Parole – nutrite di una solida cultura e intensamente elaborate sul piano formale, tuttavia lontane dai canoni letterari degli anni Trenta – dicono con passione vibrante, linguaggio limpido e vivezza di immagini la bellezza e il dolore del mondo, il dramma dell’individuo e quello, più vasto, dell’umanità. Per questo esse giungono con sorprendente forza al cuore del nostro presente.
Una nuova edizione dei diari di Antonia Pozzi attentamente verificata sui manoscritti e corredata di un ricco apparato critico. Brucia, in queste pagine, il fuoco che ha fatto ardere tutta la sua breve vita: dalla più tenera, ma già pensosa, adolescenza alla precoce maturità, trascorsa in contatto con l'avanzato ambiente intellettuale del filosofo Antonio Banfi. Ne emerge il ritratto «dal di dentro» di una giovane donna impegnata, con una determinazione spesso drammatica, nel progetto di una vita autentica e aperta agli altri e di una poesia veramente sua. Una poesia del tutto ignorata nel contesto culturale in cui Antonia Pozzi era inserita; oggi, invece, letta con straordinario interesse in Italia e nel mondo. Nel presente volume sono riportati anche altri suoi scritti in prosa: i passi più significativi della tesi di laurea su Flaubert, alcuni testi narrativi e le pagine critiche su Aldous Huxley. Materiali che, insieme ai diari, ne restituiscono appieno la fisionomia di intellettuale inquieta e moderna.
In bilico tra romanzo e memoria autobiografica, "L'educazione cattolica" racconta le fasi di un apprendistato fallimentare destinato però a rivelarsi propiziatorio. Già espulso dalla scuola poco più che decenne, il giovane Salvatore viene iniziato ai misteri gaudiosi e soprattutto dolorosi di un'educazione cattolica che ha come teatro una società provinciale chiusa e reticente il cui clericalismo tradizionale ha stretto un patto di non belligeranza con il nazionalismo fascista. Restio ad adeguarsi a un sistema che mortifica le esigenze della sua fantasia, Salvatore diventa oggetto delle ambizioni redentrici di zia Lieta, posseduta da una fede religiosa che sconfina nel fanatismo. Altri personaggi si contendono l'anima e l'affetto del protagonista: il padre Ugo, ateo; il nonno Giovanni, agnostico; lo scultore francese Martin, protestante. Barcamenandosi tra di essi, Salvatore riesce a compiere esperienze decisive nello studio del padre scultore e nelle botteghe degli artigiani vicentini, per lo più socialisti - esperienze che gli indicheranno infine qual è la strada da seguire. Il volume include "L'ultimo della classe", la cui prima edizione risale al 1986. Le due narrazioni formano infatti un unico libro che abbraccia il periodo 1916-1934. Per questa ragione l'inedita "Educazione cattolica" è preceduta qui da "L'ultimo della classe", che si ripubblica in una nuova versione integrata da copiosi supplementi ed emendamenti di pugno dell'autore. Con una nota di Giulia Basso
In un paesino come tanti, ricco di persone di chiesa e di persone di "bordello", di uomini onesti e disonesti, giunge, come un tornado, un nuovo prete. Il suo non è un compito facile, chi lo ha preceduto è stato cacciato dalla gente e dal suo, sventurato, comportamento. Don Juliàn ha alle spalle una storia difficile, che parla di carceri e violenza; ma grazie a lui gli abitanti del paese imparano a conoscere un modo nuovo, diverso, di credere; un modo forse soltanto dimenticato, nascosto dietro processioni, riti svuotati di significato e fraintendimenti su che cosa siano davvero bellezza e amore. Il don diviene così una pietra di paragone per tutti, credenti o meno, e li obbliga a fare i conti con la realtà della vita, che è difficile ma meravigliosa. Un romanzo corale, un moderno Diario di un curato di campagna, pensato per chi abita le città, il paese, le campagne di oggi.
Ottobre 1910: Tolstoj, ottantaduenne, abbandona segretamente la tenuta di Jasnaja Poljana e, in compagnia della figlia Aleksandra e del dottor Makovickij, parte in incognito su un vagone di seconda classe; ma un malore colpisce il grande vecchio, e i tre fuggiaschi sono costretti a fermarsi ad Astapovo, dove il capostazione mette a disposizione dell’illustre infermo il proprio modesto alloggio. Nel giro di poche ore la stazioncina sperduta «alla periferia dell’impero» diventa «il centro del mondo»: l’afflusso di corrispondenti delle maggiori testate russe, di fotografi e cineoperatori è infatti massiccio e tempestivo. E proprio alla stampa spetterà il ruolo principale nella vicenda: se è vero infatti che anche i minimi dettagli di quell’agonia ci sono noti proprio grazie agli articoli e alle immagini giunti fino a noi, è altrettanto vero che la carta stampata condizionò la drammaturgia stessa della vicenda, determinandone, in certo qual modo, la singolarità – a tratti surreale e allucinatoria. Nei decenni successivi alla morte di Tolstoj molti dei suoi discepoli e quasi tutti i suoi figli sentirono il bisogno di pubblicare testi memorialistici e spesso risentitamente polemici, con l’intento di ristabilire la « verità» sulla fine dello scrittore e sulle ragioni della sua fuga. Il libro di Vladimir Pozner taglia di netto il nodo delle contrastanti versioni tornando ai nudi fatti, ricostruiti con precisione maniacale sulla base di un corpus sterminato di documenti inediti (dispacci telegrafici, corrispondenze, bollettini medici), che vengono ampiamente integrati a stralci dalle lettere e dai diari di Tolstoj e della moglie Sof’ja, nonché da altri testi (memorie, saggi, opere letterarie), con una tecnica combinatoria squisitamente cinematografica.
Una donna giace morta su un prato nei dintorni di Salisburgo. Precipitata da un dirupo, le mani legate, vestita ma senza scarpe. Sulle piante dei piedi ci sono dei numeri tatuati. Sono coordinate geografiche, che rimandano a un luogo dove è nascosto un macabro reperto: una scatola contenente una mano mozzata, avvolta nella pellicola trasparente, e un foglietto con nuove coordinate e un indovinello la cui soluzione porta all'identificazione di una persona. Ma quando finalmente i due investigatori della polizia salisburghese, Beatrice Kasparay e Florin Wenninger, riescono a identificare la persona misteriosa, questa scompare... E la catena di omicidi non sembra destinata a interrompersi. In una perversa caccia al tesoro tramite GPS, un feroce assassino sta portando i due poliziotti salisburghesi da un indizio a un altro. Gli omicidi si susseguono senza nessun apparente legame tra loro, e i due poliziotti cercano disperatamente di scoprire le carte dell'assassino prima che attraverso i suoi indovinelli completi il suo terribile puzzle di morte...
Patricia Westerford - "Patty-la-Pianta" - comincia a parlare all'età di tre anni. Quando finalmente le parole iniziano a fluire, assomigliano piuttosto a un farfugliare incomprensibile. L'unico che sembra capire il mondo di Patricia, sin da piccola innamorata di qualsiasi cosa avesse dei ramoscelli, è suo padre - "la sua aria e la sua acqua" - che la porta con sé nei viaggi attraverso i boschi e le foreste d'America, a scoprire la misteriosa e stupefacente varietà di alberi. Cresciuta, dottorata ribelle in botanica, Patty-la-Pianta fa una scoperta sensazionale che potrebbe rappresentare l'alfa e l'omega della natura, il disvelamento del mistero del mondo: il compimento di una vita spesa ad ascoltare e guardare gli alberi, sin dalla nascita. Ma in realtà questo è solo l'inizio. Intorno a Patty-la-Pianta si intrecciano i destini di nove indimenticabili personaggi che a poco a poco convergono in California dove una sequoia gigante rischia di essere abbattuta da uomini sordi e ciechi. Il sussurro del mondo è un'opera immensa, un appassionato atto di resistenza e impegno, un inno d'amore alla letteratura, al potere delle storie, alla grandiosità della natura.
Partiti a diciott'anni. Talmente impreparati, talmente ingenui da credere che insieme ce l'avrebbero fatta. Bartle è devastato dal senso di colpa. Per non avere impedito che Murphy morisse. Per non essere riuscito ad attenuare la brutalità e l'orrore della guerra. Ora che è tornato a casa, vede Murphy ovunque. Insieme alle altre immagini dell'Iraq: i cadaveri che bruciano nell'aria pungente del mattino, i proiettili che si conficcano nella sabbia, le acque del fiume che ha inghiottito il loro sogno. E il tormento per la promessa che non ha saputo mantenere non gli dà pace. "Il miglior romanzo che abbia letto sulla guerra: essenziale, incredibilmente preciso, perfetto. Probabilmente è il libro più triste che io abbia letto negli ultimi anni. Ma triste in modo importante. Dobbiamo essere tristi, profondamente tristi, per quel che abbiamo fatto in Iraq". (Dave Eggers)
Nel cuore della foresta di una piccola cittadina polacca viene trovato il corpo di un ragazzo. Chi l'ha ucciso? L'indagine condotta in modo dilettantesco, da un giovane agricoltore, porterà alla luce non solo la rete di corruzione creatasi nei paesi dell'Europa centrale, ma anche misteri ben più antichi, che risalgono ai tempi dell'ultima guerra mondiale e allo sterminio degli Ebrei. Romanzo della memoria che intreccia con forza le devastazioni dello sterminio nazista con le incongruenze del presente, la volontà di dimenticare con quella, ancora più tenace, di onorare le vittime di un tragico passato.
I Kwimper, una famiglia di sfaticati che vive di sussidi per la disoccupazione, composta da padre, tre figli e una baby-sitter, durante un viaggio in auto prendono per sbaglio una strada in costruzione e si ritrovano, senza benzina, nel cuore del nulla americano. Una terra di nessuno che non figura nemmeno sulle carte geografiche, e che dunque può essere colonizzata, reclamandone la proprietà. La situazione ideale per cominciare da capo, come veri pionieri, e costruirsi un nuovo mondo: peccato che la terra promessa vada difesa dalle pretese di due funzionari del governo fin troppo zelanti, e di una banda di gangster da strapazzo... Pubblicato nel 1959, salutato da un clamoroso successo di pubblico, "Vacanze matte" mantiene intatta la sua carica comica e dirompente. La guerra che i Kwimper, balordi di irresistibile testardaggine, ingaggiano con le autorità e il crimine organizzato, la loro disarmante ingenuità rischiano di diventare il simbolo vincente di una resistenza al conformismo dominante che mai come oggi appare necessaria.

