
Una manifestazione antifascista che riuniva partiti e sigle sindacali. Una bomba nascosta in un cestino portarifiuti e un fiume di gente tutt'intorno. L'esplosione, dissero i sopravvissuti, fu "una specie di vento". Il bilancio: otto vittime e centodue feriti. Poi indagini, depistaggi, omissioni, mezze verità, cinque istruttorie, tredici dibattimenti e due condanne definitive arrivate nel giugno 2017. Quarantatré anni dopo. Marco Archetti, scrittore bresciano, avvalendosi di documenti storici e testimonianze di prima mano, compone un romanzo toccante e prezioso che ridà vita alle otto vittime della strage. Evitando ogni retorica e concentrandosi sulle loro vicende umane, le fa affiorare dal buio ed entrare in scena come in un film. Un atto d'amore e di memoria. E per la prima volta i caduti della strage non sono solo nomi su una lapide commemorativa, ma vengono raccontati come uomini e donne in carne e ossa, "né santi né eroi", in una Spoon River luminosa, scandita dalla voce di Redento Peroni. Quella mattina si trovava a pochi passi dalla bomba ma il destino volle che il piccolo gesto di uno sconosciuto gli salvasse la vita. Così il suo racconto guida la narrazione e testimonia fatalmente un'epoca della nostra storia recente, anni bui, di piombo ma anche di umanità, tenerezza e legami profondi che hanno molto da dire a ciascuno dia noi. Una storia che è un canto di vita: la morte in ritardo di duecento pagine.
Nella più completa tranquillità di una stanza d’albergo in riva al mare, dove sta smaltendo le fatiche della tappa conclusa da poco, il campione precipita nel gorgo delle allucinazioni e del panico. Al doping non c’è rimedio facile. Come vincere questa battaglia? Trionfare grazie al doping può costare moltissimo. L’atleta lo capirà!
Molti testi appartenenti al canone letterario italiano sono in forma di preghiera. Versi di Dante e Petrarca, del petrarchismo rinascimentale, di Tasso e del Barocco, le salmodie di Campanella, gli inni sacri di Manzoni, poesie di donne, mistiche o no, sono preghiere, come lo sono alcune liriche di Ungaretti, Caproni, Giudici, oltre che di Merini. Nonostante l'importanza che essi rivestono e benché la devozione abbia occupato nella vita del singolo e della collettività un posto assai considerevole, non è mai stata tentata una definizione e una ricognizione sistematica della preghiera in poesia per l'Italia. Il volume, tralasciando il punto di vista confessionale, spirituale o religioso, e focalizzandosi su singoli periodi, autori o generi di particolare rilievo, esamina la tensione che sorge tra l'espressione religiosa e quella poetica. Più che ricostruire una storia letteraria sub specie orationis, si interroga sulla possibile esistenza di un filo che tenga insieme questi componimenti, una forma di intertestualità che permetta di unirli in un discorso critico rigoroso, evidenziando la forza del linguaggio e della poesia anche nella manifestazione della fede. Ne risulta un dialogo intenso con l'alterità, che si riverbera anche e soprattutto come conoscenza di sé e della propria umanità.
Costantinopoli, 1531. Elie, un bambino ebreo di undici anni, si aggira per il bazar al seguito di Arsinée, la donna che l'ha fatto uscire dal ventre di sua madre, e di suo padre Sami. Al bazar, tutti lo conoscono come un monello capace di ritrarre chiunque in pochi secondi. Quando può, Elie fugge via dal bazar. Verso la bottega di Djelal, il danzatore sufi che crea gli inchiostri più belli di tutta Costantinopoli. Ad affascinare Elie sono, tuttavia, i suoi inchiostri - azzurri, cremisi, verdi - che gli permettono di esprimere il talento in cui sembra meravigliosamente eccellere: il disegno. L'infanzia di Elie in terra turca finisce il giorno in cui la morte si porta via Sami. In cambio di un ritratto fatto al capitano del Tizzone, una maestosa nave ancorata al porto, Elie si imbarca per Venezia, non prima di ribattezzarsi Ilias Troyanos, greco di Costantinopoli. A Venezia uno strabiliante destino lo attende. Ilias Troyanos diventa il Turchetto, il più grande di tutti i pittori della città. Uno strabiliante destino che si capovolge, tuttavia, nel suo opposto, in una sorte maligna, il giorno in cui la modella prediletta del Turchetto, Rachel, una bellissima ragazza ebrea dagli occhi incredibilmente verdi e dalla bocca perfetta, viene orribilmente assassinata e gettata in un canale da tre malviventi mascherati come a Carnevale e reduci da una notte di bagordi.
In Italia esistono migliaia di sentieri. Alcuni, soprattutto sulle Alpi, sono frequentati e famosi, altri, soprattutto nelle pianure e al Sud, versano in uno stato di semiabbandono, anche se sono stati utilizzati per secoli da contadini, mercanti, pellegrini a pastori. Lo scopo di questo libro non è di elencare i sentieri italiani (sarebbe impossibile!), né di suggerire semplicemente i più belli. L'idea è quella di mettere in evidenza il valore storico e culturale dei sentieri italiani: molti, oltre a offrire occasioni di movimento in mezzo a panorami mozzafiato sono veri e propri monumenti. Ognuno dei cammini e sentieri raccontati nel libro viene presentato attraverso un personaggio illustre che lo ha percorso, o attraverso l'episodio o gli episodi storici di cui è stato testimone. Alla fine di ogni capitolo, perché questa guida sia un utile strumento per chi la consulta, vengono fornite le indicazioni pratiche necessarie a percorrere ogni sentiero: il punto di partenza e di arrivo, il dislivello, il tempo complessivo, la stagione migliore.
«Non è una punta, ma una massa prodigiosa. Il lungo braccio della Cresta Nord-ovest, con i suoi speroni secondari, sembra la cattedrale di Winchester dopo una nevicata.»
George Leigh Mallory, 1921
È l’Everest: sui suoi pendii da un secolo si cimentano i migliori alpinisti del mondo, da Eric Shipton a Reinhold Messner, da Edmund Hillary a Krzysztof Wielicki, Anatolij Boukreev, Doug Scott, Simone Moro e Alex Txikon. Ma anche avventurieri, topografi, sognatori, scienziati e figure eccezionali come quelle degli sherpa.
Un secolo fa, nella primavera del 1921, una spedizione britannica lascia le piantagioni di tè di Darjeeling per dirigersi verso la base della montagna più alta del mondo, l’Everest. A partire da quel momento il Big E sarà teatro di una serie di vicende che rimarranno scolpite nella memoria storica dell’alpinismo: dalla scomparsa di George Mallory e Andrew Irvine nel 1924 alla prima ascensione da parte di Edmund Hillary e Tenzing Norgay nel 1953. Dalle imprese solitarie e senza ossigeno di Reinhold Messner nel 1978 e nel 1980 al fenomeno delle spedizioni commerciali dei giorni nostri, che vede centinaia di persone pagare alte cifre per raggiungere la cima, e alle esperienze dei protagonisti odierni delle scalate. Stefano Ardito racconta in queste pagine l’affascinante storia di cento anni di spedizioni. È una storia fatta di coraggio, intelligenza, paura, ma anche di tanti altri aspetti, dall’evoluzione tecnologica delle attrezzature alle trasformazioni geopolitiche che hanno influito sull’alpinismo.
Nell'agosto 1913 un gruppo di austeri signori attrezzati con pendoli, termometri, palloni sonda e teodoliti, si imbarca a Marsiglia e approda a Bombay per un lungo viaggio nel cuore dell'Asia, destinato a interrompersi inaspettatamente nell'agosto del 1914, con la notizia dello scoppio della guerra in Europa. A ideare e dirigere questa spedizione straordinaria è il quarantaquattrenne medico torinese Filippo De Filippi, già noto nel mondo dei viaggiatori dell'epoca per aver accompagnato il Duca degli Abruzzi in Alaska e al K2. De Filippi e i suoi compagni esplorano le valli del Karakorum, dell'Himalaya occidentale e del Turkestan cinese, facendo tappa a Skardu, a Leh, sul ghiacciaio Rimu, sull'altopiano del Dèpsang e a Kashgar, in pieno deserto del Taklamakan: luoghi dai nomi ancor oggi non del tutto familiari, ma che ai primi del Novecento significano un tuffo nell'ignoto. La passione che li muove ha molte componenti: spirito di avventura, rigore scientifico, curiosità tutta umanistica per i popoli e le culture che incontreranno per via. Mappano territori inesplorati, raccolgono campioni di rocce, effettuano rilevazioni gravimetriche, studiano le società e le economie locali di Baiti, Ladakhi, Uiguri, Kirghisi... Eredi di Marco Polo, apriranno la strada ad altri grandi viaggiatori del Novecento come Ardito Desio. E il loro viaggio, anche se si è concluso in maniera imprevista, resta una "grande avventura" che a cent'anni di distanza continua a interessare e affascinare.
A volte dobbiamo rinunciare a tutto, persino all'amore di una madre, per scoprire il nostro destino. Nessun romanzo lo aveva mai raccontato con tanto ostinato candore.
Il caso editoriale italiano dell'ultima Fiera di Francoforte, in corso di traduzione in 25 lingue.
È il 1946 quando Amerigo lascia il suo rione di Napoli e sale su un treno. Assieme a migliaia di altri bambini meridionali attraverserà l’intera penisola e trascorrerà alcuni mesi in una famiglia del Nord; un’iniziativa del Partito comunista per strappare i piccoli alla miseria dopo l’ultimo conflitto. Con lo stupore dei suoi sette anni e il piglio furbo di un bambino dei vicoli, Amerigo ci mostra un’Italia che si rialza dalla guerra come se la vedessimo per la prima volta. E ci affida la storia commovente di una separazione. Quel dolore originario cui non ci si può sottrarre, perché non c’è altro modo per crescere.
«Un romanzo appassionante e scritto benissimo. La storia di questo bambino del dopoguerra, della sua lotta per la sopravvivenza e l’amore, tiene incollati alle pagine».
Marion Kohler, DVA-Penguin, Germania
«Originale, emotivo, di grande qualità letteraria. Un libro che tutti dovrebbero leggere».
Anne Michel, Albin Michel, Francia
«Uno splendido romanzo. Viola Ardone ci fa riflettere, con delicatezza e maestria, su come certe decisioni possano cambiare per sempre la nostra vita».
Elena Ramírez, Seix Barral, Spagna
La colpa e il desiderio di essere liberi in un romanzo di struggente bellezza. «Io non lo so se sono favorevole al matrimonio. Per questo in strada vado sempre di corsa: il respiro dei maschi è come il soffio di un mantice che ha mani e può arrivare a toccare le carni». Dopo "Il treno dei bambini", Viola Ardone torna con un'intensa storia di formazione. Quella di una ragazza che vuole essere libera in un'epoca in cui nascere donna è una condanna. Un personaggio femminile incantevole, che è impossibile non amare. Un rapporto fra padre e figlia osservato con una delicatezza e una profondità che commuovono.
«L'amore è incomprensibile, una forma di pazzia». Nel candore dello sguardo di Elba il manicomio diventa un luogo buffo e terribile, come la vita, che Viola Ardone sa narrare nella sua ferocia e bellezza. Dopo "Il treno dei bambini" e "Oliva Denaro", "Grande meraviglia" completa un'ideale trilogia del Novecento. In questo romanzo di formazione, il legame di una ragazzina con l'uomo che decide di liberarla rivela il bisogno tutto umano di essere riconosciuti dall'altro, per sentire di esistere. Elba ha il nome di un fiume del Nord: è stata sua madre a sceglierlo. Prima vivevano insieme, in un posto che lei chiama il mezzomondo e che in realtà è un manicomio. Poi la madre è scomparsa e a lei non è rimasto che crescere, compilando il suo "Diario dei malanni di mente", e raccontando alle nuove arrivate in reparto dei medici Colavolpe e Lampadina, dell'infermiera Gillette e di Nana la cana. Del suo universo, insomma, il solo che conosce. Almeno finché un giovane psichiatra, Fausto Meraviglia, non si ficca in testa di tirarla fuori dal manicomio, anzi di eliminarli proprio, i manicomi; del resto, è quel che prevede la legge Basaglia, approvata pochi anni prima. Il dottor Meraviglia porta Elba ad abitare in casa sua, come una figlia: l'unica che ha scelto, e grazie alla quale lui, che mai è stato un buon padre, impara il peso e la forza della paternità. Con la sua scrittura intensa, originale, piena di musica, Viola Ardone racconta che l'amore degli altri non dipende mai solo da noi. È questo il suo mistero, ma anche il suo prodigio.
"Jing Ke estrasse la mappa e la porse a Ying Zheng. Rimase davanti a lui in ginocchio. Questi la guardò con attenzione, e cominciò a dispiegare il rotolo. Giunto all'ultima piega, la visione inattesa di un piccolo pugnale lo fece balzare all'indietro inorridito, Jing Ke fu lesto a impugnare l'arma, prima che questa scivolasse a terra. Con la mano, afferrò una manica dell'abito del re, preparandosi a vibrare un colpo micidiale." Nel III secolo a.C., la Cina è insanguinata da lotte per il potere che oppongono i sovrani di numerosi staterelli. Tra battaglie, duelli e intrighi di palazzo, sono numerose le vittime di questa carneficina, che non ha riguardi per il sesso o l'età. Ma un giovane riesce a scampare alla strage. È Ying Zheng: in lui si compirà il destino della Cina imperiale. Fondatore della dinastia Qin, diventa un tiranno spietato e crudele, odiato dai sudditi, temuto dai nemici e costantemente a rischio di attentato. Sbarazzatosi dei due reggenti - la madre e il primo ministro, che forse era il suo vero padre - non trova ostacoli nella conquista dell'impero che lo conduce a porre fine a una guerra plurisecolare tra i diversi stati, sottomettendone ogni sovrano, fino a controllare l'intera Cina. A capo di un impero vasto e invincibile, diffonde la cultura del terrore, dando impulso alla costruzione della Grande Muraglia. Cultore di magia e alchimia, si guadagna fama d'immortalità e trasforma la sua figura in mito e leggenda.