
Una giornata qualsiasi, intorno al 1870, all'università di Göttingen, in Germania. Alla domanda del professore di fisica: di cosa è fatta la materia?, Minkowski, uno degli allievi più brillanti, di fronte a una classe attonita, risponde: di numeri. Non di atomi, come insegnava la fisica classica. E la scintilla di una rivoluzione. Minkowski, con i suoi due amici Sommerfeld e Hilbert, ancora non lo sanno, ma domineranno la scienza nei decenni a venire. Numeri nel cuore della materia. Numeri che regolano l'universo. Perché altrimenti i fiocchi di neve avrebbero tutti 6 punte, nonostante non ce ne sia uno uguale all'altro? E perché le margherite possono avere 5, 8 o 13 petali, ma mai 10 o 11? Numeri. I teoremi formulati da queste, e altre, menti geniali sono scioccanti per l'epoca: Hilbert stabilisce che l'universo non è infinito, Kurt Gödel formula un teorema che dice che esistono cose vere che non si possono dimostrare. Tutte idee che aprono la strada alla teoria della relatività e alla fisica moderna. Con piglio narrativo e stile divulgativo, rendendo semplici anche i concetti più astrusi, gli autori, studiosi di matematica e fisica, raccontano il secolo e mezzo di teoremi che hanno cambiato la fisica, lasciandoci a bocca aperta di fronte alla meraviglia della creazione.
È il gennaio del 1945 nella regione della Prussia orientale, un mese glaciale in cui tremende tempeste si alternano a giornate calme, col cielo color grigio ardesia e la neve, bianchissima, che offusca la vista. Lungo una strada circondata da cumuli di neve e ghiaccio avanza una carovana. Sono civili prussiani che hanno fatto salti di gioia quando i carri armati di Hitler hanno invaso la Polonia nel 1939, rendendoli di nuovo cittadini tedeschi. Ora sono in fuga verso ovest. In fuga dai russi, che hanno occupato già buona parte della regione e inseguono a colpi di artiglieria i profughi. La carovana si arresta davanti alla Vistola. Il fiume è ricoperto da uno spesso strato di ghiaccio e brilla come una pista di pattinaggio. Le granate squassano il terreno e, a ogni esplosione, i cavalli si imbizzarriscono e i bambini, affamati e congelati, strillano. Anna Emmerich ha diciotto anni e i capelli dorati come le pannocchie. È la giovane figlia di un'influente famiglia tedesca con una bella casa e una vasta tenuta nei pressi di Thorn, nella quale probabilmente già bivaccano i russi. Suo fratello maggiore è a combattere da qualche parte nel sud, nei dintorni di Budapest, il secondo è stato spinto a unirsi al Volkssturm e il terzo ha appena smesso i calzoni corti. Anna dovrebbe temere per la sua sorte, visto che i russi non scherzano con le giovani donne prussiane. Anna però non può fare a meno di cedere alla spensieratezza del suo carattere e della sua età.
Dal giorno in cui Sibyl ha assistito un'amica durante il parto, ha capito che quella era la sua vocazione. Erano gli anni Sessanta e la cultura hippie influenzò la sua decisione di fare a meno di una formazione medica. Da allora sono decenni che lavora come rispettata levatrice nello Stato del Vermont. Fino alla tragedia. In una notte di marzo Sibyl si trova ad affrontare un travaglio complicato, mentre fuori una tempesta di neve impedisce sia di raggiungere l'ospedale che di chiamare i soccorsi. Nel giro di pochi istanti è costretta a fare scelte irreversibili che porteranno alla salvezza del bambino e alla morte della madre. Ma quello è solo l'inizio di un doloroso percorso che vedrà Sibyl sotto accusa in un processo che pone domande terribili sia sul piano medico e legale (le sue decisioni erano inevitabili o è stato il suo intervento a uccidere la donna?), che su quello etico e morale (cosa accade in una persona quando uccide accidentalmente qualcuno? Si può dare un senso o trovare pace davanti a un errore fatale?). Narrati dalla voce di Connie, la figlia all'epoca quattordicenne di Sibyl, gli eventi che precedettero e seguirono il processo si snodano in un'atmosfera di crescente tensione, in un flusso tra presente e passato che scava nei sentimenti familiari e nelle coscienze non solo dei suoi protagonisti ma anche in quelle dei lettori.
Amiche, figlie, rivali, madri, sorelle. Ragazze soldato. Sono le donne le protagoniste assolute del romanzo di Shani Boianjiu. Yael, Avishag e Lea crescono insieme in un piccolo villaggio israeliano al confine con il Libano. La loro iniziazione passa attraverso il gioco, la solitudine, gli amori, il dolore che come una nebbia sottile offusca l'orizzonte. Il dolore dei bambini palestinesi che la notte smantellano la base nemica portandosi via tutto ciò che sa di metallo; quello dei sudanesi abbattuti dai soldati egiziani alla frontiera; quello dei fratelli e degli amanti che le tre amiche - poco più che bambine in uniforme - vedono morire ogni giorno. Alla fine, diventeranno donne molto diverse dalle adolescenti di un tempo, più consapevoli o forse irrimediabilmente spezzate. Intimo e feroce, dolente e spericolato come le storie che racconta, "La gente come noi non ha paura" è la fotografia commovente e dura, aliena da compiacimenti, dello stato d'animo di un'intera generazione condannata a vivere sempre nell'istante che precede il pericolo e la violenza.
"Una sorta di interminabile attacco di cuore": così è stato definito "I diabolici," che - unanimemente considerato un classico della letteratura noir - non ha perso un grammo del suo torbido fascino: come dimostrano i commenti dei giovani blogger francesi, i quali scoprono stupefatti quanto l'attuale letteratura psicologica francese "à suspense" debba a un libro che ai loro occhi appare "di un'incredibile modernità", dotato di "un intrigo perfetto" e di "una tensione che fino all'ultimo non ti dà un attimo di tregua". Come nei migliori romanzi di Simenon, quello che conta qui è la progressiva perdita, da parte del protagonista, della percezione della realtà, il suo sprofondare sempre più allucinato in una vertigine di angoscia e di terrore in cui i deliri si accavallano ai ricordi d'infanzia e a un lacerante senso di impotenza. Nei "Diabolici" compaiono per la prima volta alcuni dei marchi di fabbrica della sterminata produzione di Boileau e Narcejac: lo schema triangolare, l'ambientazione provinciale e piccoloborghese, il motivo del colpevole tormentato dal rimorso e dalla paura, la contiguità fra innocenza e colpa; e soprattutto l'inversione dei ruoli: in un'autentica spirale di orrore, l'assassino si trasforma in una vittima braccata da "colei che non c'è più" - la donna che sa di aver ucciso.
Narra la leggenda che la premiata ditta del noir francese formata da Pierre Boileau e Thomas Narcejeac abbia scritto "La donna che visse due volte" con uno scopo ben preciso: quello di piacere ad Alfred Hitchcock. Una scommessa azzardata, indubbiamente (anche se i due non ignoravano che il regista avrebbe già voluto adattare per lo schermo I diabolici, che gli era stato soffiato da Henri-Georges Clouzot). Come tutti sanno, la scommessa fu vinta, e la storia della enigmatica Madeleine, che sembra tornare "dal regno dei morti", diventò quello che la critica ha definito il capolavoro filosofico di Alfred Hitchcock - e uno dei film più amati dai cinéphiles di tutto il mondo. Quando, molti anni dopo, François Truffaut gli chiederà che cosa esattamente gli interessasse nella storia di questa ossessione amorosa che ha la tracotanza di sconfiggere la morte, Hitchcock gli risponderà: "la volontà del protagonista di ricreare un'immagine sessuale impossibile; per dirlo in modo semplice, quest'uomo vuole andare a letto con una morta - è pura necrofilia". Attenzione però: se è vero che ci si accinge alla lettura del libro avendo davanti agli occhi la sagoma allampanata di James Stewart e il corpo di Kim Novak, a mano a mano che ci si inoltra nelle pagine del romanzo le immagini del film si dissolvono e si impone, invece, la dimensione onirica, angosciosa, conturbante di Boileau e Narcejac, che sanno invischiare il lettore negli stessi incubi ai quali i loro personaggi non riescono a sfuggire fino all'ultima pagina.
La prima volta che Pierre Doutre vede quella incantevole, esile ragazza bionda - "di un biondo luminoso, irreale, che le fluttuava intorno come un riverbero" - è al funerale del padre, il celebre illusionista noto come "professor Alberto". E un attimo dopo gli sembra di vivere in un sogno, o piuttosto in un incubo: perché ne vede un'altra, identica, e pensa che sia una fata, capace di "sdoppiarsi a suo piacimento". Ben presto però scoprirà, con una sorta di voluttuoso stupore, che le fate sono due, ugualmente ammalianti. Di quel padre lontano e assente, del quale nei lunghi anni di collegio si è sempre vergognato, Doutre imparerà il mestiere; e se diventerà famoso quanto lui sarà grazie a un numero costruito proprio sulla incredibile somiglianza tra le gemelle da colei che sembra essere ormai la vera figura dominatrice della sua esistenza: la madre, la rapace Odette. A poco a poco, sedotto dal fascino ambiguo e perturbante delle sue partner, Pierre si ritroverà invischiato in un gioco perverso, un gioco di specchi in cui realtà e finzione, eros e morte, innocenza e colpa si scambiano continuamente i ruoli - con, sullo sfondo, la maschera della morte.
"Domani alle tre, su un prato della Costa Azzurra, ho un appuntamento con Pegaso." È l'apertura della lettera testamento che Lauro de Bosis scrisse, in un albergo di Marsiglia, la sera prima di salire su un aereo, ribattezzato Pegaso, per quella che ormai considerava la sua missione suprema: volare fino a Roma e gettare sulla città centinaia di migliaia di volantini antifascisti. Con la figura di Lauro de Bosis, pilota, educato alla poesia e all'idealismo, che vive e muore nella storia, ma si muove in essa sospinto dal mito e dalla letteratura, si apre anche questo libro: un viaggio aereo e felicemente vertiginoso nell'eterna fascinazione umana per il volo.
Scena prima, nel 14 d.C. Augusto è in ambasce: dalla sua statua è caduta la C di CAESAR (ma anche C = 100). È un segno funesto, gli restano solo cento giorni di vita. Scena seconda, 306 d.C. Un anziano senatore commenta ironico le nuove idee che i cristiani stanno diffondendo. E siamo all'epilogo, nel 396. A parlare è il nipote del senatore di prima. Roma non è più capitale, a difendere i confini adesso sono i barbari: un intero mondo sta scomparendo. Ci sarà un Rinascimento?
La stessa città fa da sfondo ai due racconti: la Milano di fine Ottocento di Camillo Boito e la Milano di oggi di Patrizia Violi. Prima c'era l'omnibus, adesso c'è la metropolitana. Molte cose sono cambiate col passare del tempo, altre invece sono immutabili. Come, per esempio, la solitudine che può provare un uomo, camminando per le vie deserte e nebbiose, mentre dalle sale da pranzo delle case riecheggiano le risa festose delle famiglie, riunite intorno alla tavola per celebrare la vigilia di Natale. Età di lettura: da 8 anni.
Nel 1941, all'epoca del crollo della Jugoslavia, Branko Bokun, ventunenne, viene spedito a Roma dall'allora capo del servizio di controspionaggio dell'esercito jugoslavo, come funzionario della Croce Rossa internazionale. Scopo della missione è di ottenere l'intervento e la mediazione del Vaticano a favore dei serbi di religione ortodossa, degli ebrei e degli zingari che venivano letteralmente sterminati da gruppi di fanatici cattolici croati. Branko Bokun si ritrova coinvolto nel sottobosco della Città Eterna, nella Roma del fascismo che sta crollando, dei nazisti, dei borsari neri, un mondo popolato di avventurieri, spie, disertori, prigionieri di guerra in fuga, criminali di prim'ordine e di bassa lega, belle donne dell'aristocrazia.
Otto, calzoncini corti e maglia a righe da cui si intravedono le scapole magre, adora le favole. Quelle che gli racconta suo padre quando lo accompagna a scuola. Perché con il potere della fantasia tutto è possibile. Anche far felice sua madre che passa le giornate nel letto, al buio, senza parlare con nessuno. Senza riuscire a giocare con lui. Otto non sa cosa le accade, ma il suo unico desiderio è farla sorridere. Greta è una bambina bellissima e delicata. Per tutti è come una principessa. Ma a Greta questo non interessa. Lei vorrebbe solo un padre che la prenda in braccio, che partecipi alle sue recite, come succede a tutti suoi compagni. Lei che un padre non l'ha mai avuto. La madre non parla di lui, troppo intenta a lavorare per occuparsi di lei. Troppo incapace di farle arrivare il suo amore per farla sentire al sicuro. Otto e Greta sono due bambini che sentono dentro una forte mancanza, una forte assenza. Otto e Greta non possono fare altro che diventare due adolescenti pieni di domande a cui nessuno ha dato risposte. I loro destini corrono su due binari paralleli. Opposti, ma profondamente simili. Apparentemente distanti, ma vicini. Fino al momento in cui, in un istante che sembra infinito, si incontrano. Solo un istante che però lascia il segno. Un segno che scava nel profondo. Otto e Greta non sono più gli stessi. Eppure per cambiare ci vuole coraggio. Il coraggio di credere che, come nelle favole, anche nella realtà l'impossibile accade e due metà possono fondersi in un tutto.

