
È stato Patrick ad avere l'idea di invitare gli amici per un weekend di tennis e relax. Non vede l'ora di esibire la favolosa residenza di campagna acquistata grazie ai lauti guadagni della sua attività per così dire... spregiudicata di consulente finanziario. Ma alla bella moglie Caroline non ha rivelato il vero motivo di questa riunione a cui tiene così tanto. Caroline è una donna senza peli sulla lingua che conosce bene il caro maritino, quindi non si fa certo problemi a dire la sua in merito a questa iniziativa. È ben contenta di accogliere Stephen e Annie, i vecchi vicini di casa con qualche problema finanziario, un po' meno di vedere l'arricchito Charles e la sua aristocratica moglie Cressida, ed è scontentissima di dover avere a che fare con il competitivo e pedante Don, cliente di Patrick, e la sua sciocca figlia Valerie. Quando le quattro coppie si riuniscono, sembra già chiaro chi siano i vincitori e chi i vinti nella vita. Ma nel momento in cui la prima palla viene lanciata oltre la rete l'impeccabile campo da tennis in erba diventa teatro di qualcosa di molto diverso da un piacevole torneo fra amici. Ha inizio infatti una due giorni di ripicche, scenate e rivelazioni, culminante nell'arrivo di un ospite inatteso che sovvertirà completamente gli equilibri... In "A che gioco giochiamo?" Madeleine Wickham racconta il rapporto che intratteniamo con il denaro, scegliendo come bersaglio della sua tagliente ironia il mondo fatuo dei nuovi ricchi.
Terminato l'incubo della seconda guerra mondiale, l'Europa si risveglia profondamente ferita non solo dalle devastazioni materiali, ma molto di più da quelle interiori e spirituali. Tre fratelli, di nobile famiglia, ritornano a casa e ritrovano quella "chiarezza della sera", dopo che la terra ha cessato di essere in collera con i suoi abitanti e la vita torna a fiorire nel grembo di una giovane donna, in cui ella riscatta, insieme al proprio passato, la dannazione della guerra e della morte dipinta nella figura del parroco del villaggio Senzanome (sine nomine) che ha consumato la sua "Missa" crocifisso sulla porta della sua chiesa.
Cosa succede, nella Silicon Valley? Per quale ragione gli spazi di lavoro sono disegnati come appartamenti, e gli appartamenti come spazi di lavoro? In base a quale idea del mondo anche chi hai seduto di fronte comunica con te solo via messaggio? Come mai gli unici scambi diretti fra umani ruotano intorno alle ordinazioni del delivery successivo? E soprattutto, oltre a imporre una vita quotidiana così diversa da tutte le altre, cosa fanno veramente le startup? Accumulano quantità inimmaginabili di dati su ciascuno di noi, e li organizzano secondo strategie sempre più veloci e sofisticate, ma perché? Per vendere, d'accordo. Per sorvegliare, come no. Ma poi? Su domande come queste speculiamo ogni giorno, senza peraltro neppure sapere bene come sia fatta, Silicon Valley, e cosa sia. Anna Wiener ci ha lavorato per cinque anni, e quando ne è uscita ha deciso di scrivere questo rapporto, che ha assunto quasi da solo la forma di un romanzo. Si ride molto, a leggerlo. Ma si ride sempre, quando si ha paura.
Doriel Waldman, ebreo polacco che vive a New York, è un uomo solo, prigioniero dei ricordi e della memoria. L’Olocausto è una ferita insanabile nel suo passato. Vorrebbe dimenticare, ma non ci riesce. Dimenticare le fughe, i nascondigli, l’esistenza clandestina in un piccolo villaggio polacco, nascosto insieme al padre nel granaio di un contadino. Dimenticare la madre, una donna troppo bella, una prigione per i figli, che ha scelto la lotta partigiana trascurando la famiglia. Dimenticare i fratelli, vittime dei nazisti. Dopo la salvezza, la vita di Doriel è stata un continuo peregrinare, dalla Polonia all’Asia, militante in varie organizzazioni di aiuto ai diseredati, e poi viaggi di studio in Israele, in Africa. Insonne, solitario. Le tappe di un’esistenza che descrivono il percorso di un esilio.
Ma adesso ha deciso di fermarsi e mettere la sua vita in mano a una donna. È la psicoanalista Thérèse Goldschmidt. Lo prende in cura e accoglie le sue ossessioni e i suoi fantasmi, i sogni e gli incubi, le cose mai dette e le speranze. Forse non gli restituirà la pace del cuore, ma potrà curare i suoi ricordi.
Un romanzo magistrale, insieme racconto di vita e meditazione, dove, mescolando memoria e invenzione, Elie Wiesel approfondisce i temi chiave della sua vita di uomo e di scrittore: la lotta incessante tra memoria e oblio, la ricerca di una patria e di una identità, la responsabilità di essere sopravvissuti e il dovere di ricordare, in modo che l’orrore non si ripeta. Mai più.
Yedidyah è un giovane giornalista che lavora a New York nella redazione di un quotidiano. La sua specialità è la critica teatrale, è sposato con un'attrice ed è molto ben introdotto nel mondo del teatro newyorkese. Nessuno è più bravo di Yedidyah nel raccontare i successi effimeri, le glorie dimenticate, il fascino racchiuso nella nascita di una nuova stella e la malinconia che colora il suo crepuscolo. Ecco perché rimane estremamente sorpreso quando il suo capo gli affida un compito molto diverso dal solito: occuparsi della cronaca del processo di Werner Sonderberg, un giovane tedesco residente negli Stati Uniti. È stato accusato dell'omicidio di Hans Dunkelman, un suo lontano zio, trovato morto in fondo a un crepaccio nei monti Adirondack. Di fronte al giudice Sonderberg si è dichiarato colpevole e insieme non colpevole, scatenando l'attenzione morbosa di tutti i media. Perché Hans Dunkelman, che pareva solo un distinto anziano gentiluomo europeo, nascondeva molti segreti, riguardanti la sua vera identità e il suo coinvolgimento nella tragedia dell'Olocausto. Segreti che lui e il nipote hanno dovuto affrontare sull'orlo di quel crepaccio. Segreti che lo stesso Yedidyah ha paura di affrontare nel suo articolo, perché lo riportano indietro nel tempo, alla storia della sua famiglia, a una cicatrice che il tempo non ha ancora sanato. E che forse mai potrà sanare.
A New York, in un’afosa domenica di luglio, un uomo viene investito da un taxi e resta gravemente ferito. Risvegliatosi dal coma in un letto d’ospedale, assiste, spettatore indifferente e quasi ostile, ai disperati tentativi di guarirlo da parte dei medici e della donna che lo ama. Se il presente — il mondo inconsapevole dei vivi, con la sua promessa di serenità, l’amore di Kathleen, la benevola curiosità di un giovane dottore, l’affetto degli amici — vuole imporgli le sue ragioni, un passato di distruzione e morte lo reclama a sé e pretende i suoi diritti. In un caleidoscopio di ricordi, in cui all’infanzia nel villaggio ebraico si mescolano le esperienze della guerra e del dopoguerra, sfilano dinanzi a lui i volti delle vittime, gli uomini e le donne annientati durante l’Olocausto. Le voci dei morti, eco di un mondo scomparso per sempre, risuonano ben più reali e forti di quelle dei vivi, imponendogli l’imperativo della memoria, il dovere della testimonianza.
Vivere è una colpa, perché vivere significa dimenticare, significa accettare che, anche dopo Auschwitz, siano possibili la felicità e l’amore. In questo breve romanzo, teso ed essenziale, Elie Wiesel ripropone la lotta tra le ragioni della memoria e le ragioni della vita, la tragedia di chi è sopravvissuto e non riesce a perdonarselo.
Palestina, una calda sera d'autunno, un anno imprecisato tra la fine della Seconda guerra mondiale e il riconoscimento dello Stato di Israele. Là resistenza ebraica lotta in Terra Santa contro il mandato britannico. Gli inglesi impiccheranno all'alba il prigioniero David Ben Moshe, i clandestini ebrei risponderanno giustiziando a loro volta un ostaggio. L'ingrato compito tocca al giovanissimo Elisha, emigrato in Palestina dopo aver vissuto l'inferno dei lager. Durante la notte che precede l'esecuzione, la mente del ragazzo è visitata dai ricordi e vive il dramma di un'intera civiltà e di tutto un popolo...
Giugno 1967, Muro Occidentale di Gerusalemme. All'indomani della Guerra dei sei giorni, Wiesel vede sfilare migliaia di uomini e donne, "in uno strano raccoglimento". E confusi tra quei volti prendono vita i personaggi di questo romanzo, composto di getto in quell'anno, come un impetuoso flusso di coscienza nel quale si mescolano la realtà e la finzione, la memoria e il desiderio. "I pazzi muti e i mendicanti sognatori, i maestri e i loro discepoli, i cantori e i loro alleati, i giusti e i loro nemici, gli ubriachi e i cantastorie, i bambini morti e immortali, sì, tutti i personaggi di tutti i miei libri mi avevano seguito per fare atto di presenza e testimoniare al mio posto, attraverso di me!". In un ritmo incalzante, si intrecciano le memorie della diaspora, la tragedia della Shoah, i combattimenti per Gerusalemme. Sullo sfondo la grande tradizione spirituale ebraica e una Gerusalemme crepuscolare, il cui tramonto "brusco, selvaggio, stringe il cuore per poi calmarlo".
A New York, in un'afosa domenica di luglio, un uomo viene investito da un taxi e rimane gravemente ferito. Durante la lunga permanenza in ospedale, lottando tra la vita e la morte, scorrono davanti a lui le immagini di un passato doloroso e di un presente tormentato: l'incontro a Parigi con Kathleen, l'unico vero amore della sua vita; la terribile esperienza della guerra e del campo di concentramento; un viaggio su una nave in rotta verso il Sudamerica; la negazione della felicità e l'incapacità di vivere con serenità il presente per non tradire la memoria delle vittime dell'Olocausto. Sopravvissuto alla guerra ha cercato di cominciare a vivere, ma una parte di lui è morta: chiave della rinascita e ragione di speranza sarà l'amore di Kathleen.
Gregor, il protagonista di questo romanzo, deve affrontare quattro prove, una per stagione, come quattro sono le stagioni della vita. Il suo è un percorso concentrato in un solo tragico anno che assume i caratteri del viaggio iniziatico: l'incontro con "il maestro", il nascondimento del proprio io per guardare e comprendere l'altro, la lotta attiva per cambiare il mondo, la memoria che si tramuta in saggezza. Nel suo viaggio, Gregor deve affrontare e sconfiggere il male e la morte. La Shoah è un'esperienza estrema che non lascia vie di fuga. Gregor lo comprende subito e con coraggio e animo puro lotta per la vita e la dignità umana. In questo romanzo ritroviamo le domande fondamentali che Elie Wiesel si è posto per tutta la sua vita di testimone della Shoah. Un romanzo che fa riflettere, in un continuo alternarsi di desolazione e speranza, frustrazione e fiducia nella capacità di affermare la nostra umanità.