
Il cuore di Anna non e' chiuso da sbarre e lucchetti, non si ripiega su se stesso in una tragica solitudine. si rifugia nelle poche cose che le sono rimaste e che le danno sicurezza. Un'incrollabile forza, uno spirito che si e' piegato ma non spezzato, una donna che ricomincia anche dai propri errori e va avanti con fierezza perche' non si accontentera' piu' di mezze misure nella sua vita, anche a costo di restare sola. Poi d'un tratto qualcosa riprende a vivere, come la pianta che rinasce dalla devastazione di un incendio. La voglia di vivere e il desiderio di ritrovare l'antica linfa che scorreva nelle vene e la piacevole sensazione di sentire il cuore che batte, da' inizio ad una nuova vita, ad un nuovo sogno e ad una nuova speranza che riaccende una luce ormai fioca. Una vita spezzata riprende il viatico che la porta alla possibile scoperta della bellezza e della gioia.
Dodici personaggi per dodici storie: una più appassionante dell'altra, una più cruda dell'altra. Così si apre questo romanzo d'esordio in cui, come in un girotondo, Susy (intrepida ragazza di una certa età) è la moglie di Carlo (un playboy disarmato), che è padre di Leonardo (un uomo che sembra triste, e infatti lo è), che è in cura da Paola (un abile psicologa, purtroppo innamorata di lui), madre di Camilla (la ragazzina alla quale non manca niente) e di Gianmaria (la promessa del calcio) nonché moglie di Edoardo (un ingegnere che funziona) che, a sua volta, ha un'amante, Rebecca (la donna sola), ex fidanzata di Andrea (un uomo pentito), convivente di Irina (una gran bella ragazza), ex amica di Peppe (un uomo ricco che suda tanto), sposato da anni con Gloria (la brava moglie). Un libro vero e amaro che, con occhio lucido e senza pregiudizi, descrive vite apparentemente slegate ma in realtà vicine. Dalle vicende dei protagonisti, il cui ritratto è sempre completato e a volte addirittura ribaltato da quello successivo, a sottolineare l'incomunicabilità e la solitudine del tempo presente, emerge una visione cupa e quasi cinica della vita, anche se a venir fuori, alla fine, è l'idea che "nonostante tutto" ci possa ancora essere speranza e addirittura amore.
Giorgio Vigolo è riuscito a penetrare i misteri di Roma, sua città natale, come pochi altri autori. Inseguendo nelle vie della Capitale il respiro dei miti antichi e moderni, la scrittura disegna una geografia visionaria che si alimenta del desiderio di protagonisti in cerca di redenzione. "La Virgilia" è il romanzo di un amore folle, fuori dal tempo, che si impossessa di un musicista giunto nella Roma dell'Ottocento dal nord Italia. Attraverso le pagine di un poemetto dedicato a una cortigiana del Rinascimento, Virgilia, la passione per la donna accende la fantasia del ragazzo, che per raggiungere la sua amata dovrà svelare il segreto di una melodia mai sentita prima. Una storia in cui la magia illumina il percorso d'iniziazione sentimentale e artistica del giovane, abolisce le frontiere del tempo e confonde il confine tra realtà e immaginazione. Le altre storie qui raccolte, "Arcobaleno in bianco e nero", "Il Buonavoglia" e "Racconto d'inverno", completano il ritratto di una città senza limiti, capace come nessun'altra di raccontare i suoi segreti con inesauribile fantasia. Prefazione di Pietro Gibellini. Con un saggio di Simone Caltabellota
Il figlio del narratore, Montano, è afflitto da una malattia letteraria che gli impedisce di scrivere, e questo dopo aver pubblicato un romanzo dedicato appunto agli scrittori che un giorno, per un motivo o per un altro, o per nessuno in particolare, hanno rinunciato alla scrittura. Il padre, Rosario Girondo, critico letterario, dà il nome del figlio a questo temibile male. Anche lui si sente afflitto dal medesimo morbo: malato di letteratura, saturo di libri e citazioni, pensa e si esprime solo attraverso parole altrui. Nella sua mente si mescolano mal di Montano e morte, fino a quando il suo amico Tongoy, un perfetto sosia di Dracula, gli consiglia di sintetizzare le due questioni in una sola: la morte della letteratura.
Le ironiche vicende di Samuel Riba: l’ultimo editore di letteratura alle prese con la tragica fine dell’era di Gutenberg. Enrique Vila-Matas ritorna con un romanzo che fa la parodia dell’apocalittico e allo stesso tempo riflette sulla fine di un’epoca della letteratura.
Il libro
Samuel Riba si considera l’ultimo editore letterario e da quando è andato in pensione si sente alquanto abbattuto. In una Barcellona flagellata da temporali violentissimi, condannato a un presente di abulia, consuma le sue giornate tra labirintiche e divaganti ricerche in internet, a rileggere i libri amati e in surreali conversazioni con i due anziani genitori. Un giorno, fa un sogno premonitore e apocalittico che gli indica chiaramente che la rivelazione passa per Dublino. Convince allora alcuni amici ad andare con lui al Bloomsday e a percorrere insieme il cuore stesso dell’Ulysses di James Joyce.
Riba nasconde ai suoi compagni due questioni che lo ossessionano: sapere se esiste lo scrittore geniale che non ha saputo scoprire in vita e celebrare uno stravagante funerale dell’era della stampa, già agonizzante per l’imminenza di un mondo sedotto dalla follia dell’era digitale. Dublino sembra avere la chiave per la risoluzione di tutte le sue inquietudini.
Nebbia e mistero. Fantasmi e uno humour sorprendente. Enrique Vila-Matas ritorna con un romanzo che fa la parodia dell’apocalittico e allo stesso tempo riflette sulla fine di un’epoca della letteratura. Un romanzo abbagliante, aperto alle più diverse letture. Semplicemente geniale.
“Vila-Matas è un illusionista sulle tracce di Nabokov, un brillante impostore, come tutti i grandi artisti.”
Nelly Kaprièlian, Les Inrockuptibles
“Un vero banchetto letterario. Un eccellente romanzo, il migliore e più ambizioso di Enrique Vila-Matas.”
Santos Sanz Villanueva, El Cultural
"Esploratori dell'abisso" segna il ritorno di Enrique Vila-Matas al genere che ha maggiormente contribuito al suo successo: il racconto. In queste diciannove storie Vila-Matas esplora e analizza l'abisso sul quale si sporgono buffi personaggi, sempre ai limiti della condizione umana. Personaggi che si trovano in un momento della loro vita in cui sono costretti a esplorare ciò che c'è oltre, a buttare uno sguardo al di là dei limiti umani, morali, sociali o fisici. Limiti che possono essere ciò che fisicamente un uomo non può fare o raggiungere, come il protagonista della spassosa novella fantascientifica "Ho amato Bo", costretto a vagare per sempre nello spazio e nell'universo infinito, ma sono anche la sfida quotidiana del celebre equilibrista Maurice Forest-Meyer che compare in più racconti, o l'andare oltre la frontiera che separa la realtà dalla finzione, come in "Perché lei non lo ha chiesto", e scrivere un racconto commissionato da Sophie Calle. Con una scrittura senza troppi fronzoli ma capace di impennate liriche e frasi lapidarie, che si avvolge su se stessa e trasforma i dialoghi in scambi serrati di pungenti aforismi, dove il nonsense si insinua tra le crepe di conversazioni apparentemente banali creando un effetto comico laddove sembrava esserci solo disperazione, Enrique Vila-Matas esplora, con divertita sagacia, le insondabili profondità del meta-abisso.
Vilnius Lancastre, novello Amleto a Barcellona, ha una spiccata somiglianza con Bob Dylan, l'ambizioso progetto di redigere un archivio generale del fallimento, nonché quello di fondare una società di emuli di Oblomov che facciano dell'indolenza totale una forma d'arte che consenta loro di generare non più di una sola idea al giorno. Per contro, il narratore è un prolifico scrittore che, dopo essersi dedicato tutta la vita alla produttività letteraria, si pente e si prepara a tacere definitivamente, anche nella vita reale. Ma non può non cedere all'invito di Vilnius e della fidanzata Deborah che gli affidano la stesura delle memorie apocrife del famoso scrittore Lancastre, morto in circostanze sospette. Ancora una volta quindi la vita reale si confonde con quella letteraria e i due giovani mettono in scena una trappola per topi di shakespeariana memoria senza mai cedere tuttavia all'impegno di perseguire la quintessenza della levità, quella dimensione infra sottile postulata da Duchamp. Sullo sfondo la filigrana della Hollywood degli anni d'oro e Scott Fitzgerald. Un romanzo intriso di grande ironia, con padri dai figli reali e scrittori coi loro figli metaforici, in competizione o complici, donne dal fascino delle dive di celluloide, in una Barcellona contemporanea e scanzonata, pronta a ospitare questa compagine di personaggi stravaganti.
Una strana telefonata interrompe la routine di Enrique Vila-Matas. L'enigmatica voce femminile all'altro capo della linea gli dice che i coniugi McGuffin desiderano invitarlo a cena per rivelargli il mistero dell'universo. Ben presto capirà che si tratta di un invito a partecipare a Documenta, la leggendaria mostra d'arte contemporanea che si tiene a Kassel, in Germania. L'invito prevede che lo scrittore si trasformi in un'opera d'arte vivente. Per tre settimane deve farsi trovare ogni mattina seduto al tavolo di un ristorantino cinese nella periferia della città intento a svolgere il suo lavoro, cioè scrivere. In principio un po' titubante, Vila-Matas accetta e, una volta a Kassel, viene pervaso da un'euforia contagiosa e, spinto da un misterioso soffio, si avventura entusiasta tra le opere di autori del calibro di Tino Sehgal, Ryan Gander, Pierre Huyghe e molti altri. Libro di viaggio, diario e romanzo in cui l'autore si sdoppia, Enrique Vila-Matas racconta la storia di una grande spedizione: quella del vagabondo solitario che, circondato da bizzarrie e meraviglie, ci invita a guardare il mondo da un'altra prospettiva e trova nel piacere dell'immersione nell'arte le ragioni ultime, e le più solide, per scrivere e per vivere.
"Verso la fine del 1924, sulla vetta dove Nietzsche aveva avuto l'intuizione dell'eterno ritorno, lo scrittore russo Andrei Belyj fu colto da una crisi nervosa nel constatare l'inarrestabile avanzata della lava del supercosciente. Quello stesso giorno e alla stessa ora, a non molta distanza da lì, il musicista Edgar Varèse cadeva improvvisamente da cavallo mentre, per scimmiottare Apollinaire, fingeva di accingersi ad andare in guerra. A me sembra che quelle due scene siano state i pilastri su cui fu edificata la storia della letteratura portatile. Una storia europea, alle origini, e leggera quanto la valigia-scrittoio con la quale Paul Morand percorreva su treni di lusso la luminosa Europa notturna: scrittoio mobile che ispirò a Marcel Duchamp la sua bôite-en-valise, senza dubbio il tentativo più geniale di esaltare il portatile in arte. La cassetta-valigia di Duchamp, che conteneva riproduzioni in miniatura di tutte le sue opere, si trasformò rapidamente nell'emblema della letteratura portatile e nel simbolo in cui si riconobbero i primi shandy".
Una donna dell'alta società, molto bella e molto infelice. Un industriale affascinante e ambizioso, politicamente ben inserito. Un giovane tragicamente separato dalla sua famiglia durante la Guerra Civile che non ha mai perso la speranza di ritrovare sua madre. Un pubblicitario idealista, che ha messo anima e cuore nel progetto della sua vita: un programma radiofonico che cerca persone scomparse. Nella Spagna ruggente degli anni Sessanta, quattro destini si intrecciano in una Barcellona che si sta trasformando da una società poco più che rurale nella società dei consumi. Sono gli anni del 'miracolo spagnolo', e fanno la loro prima, decisa comparsa la pubblicità, il marketing, il giornalismo spregiudicato, la televisione. Sono gli anni in cui, sospesa in un'eterna Dolce Vita, l'alta società barcellonese si rinchiude in una gabbia dorata fatta di eleganti ricevimenti estivi al chiaro di luna e languidi aperitivi al tennis club. Ma sono anche anni in cui il regime oppone una ferrea censura a tutto ciò che può ricordare una guerra ancora troppo dolorosamente vicina, e ha metodi definitivi per far tacere le opinioni scomode, come nel caso della ormai popolarissima trasmissione radiofonica Rinomicina ti cerca, che sta forse scuotendo un po' troppo le coscienze della nazione.