
L'autore in questo romanzo si propone di narrare l'odissea delle genti dalmate attraverso le tempeste del Novecento: dal crollo dell'impero austro-ungarico alla dissoluzione della ex-lugoslavia. Conflitti di razze, di ideologie, di nazionalità, di religioni, vissuti sulla pelle di gente comune di una terra di frontiera, la più sconosciuta d'Europa. Ne risulta l'affresco di un mondo in parte scomparso, ma che ha lasciato una scia di rancori, di sconfitte non digerite. Di problemi etnici e religiosi tuttora aperti, di strascichi giudiziari, di controversi tra Stati, di immaginar! collettivi contrapposti e tuttora incomunicabili.
Il remake di un classico, divenuto a sua volta un classico. La storia di Robinson Crusoe è ribaltata: sarà Venerdì a fare a Robinson da maestro sull'ambigua strada della ricerca dell'innocenza perduta. Come scrive Giuseppe Montesano nella prefazione, «Venerdì o il limbo del Pacifico è un trattatello filosofico non fissato in concetti astratti ma espresso attraverso personaggi vivi; un labirintico caso clinico di Freud in cui la rivelazione non sta più nella pretesa di verità scientifica, ma nell'abbandono all'ambigua verità romanzesca».
«Per due anni avevo seguito i corsi di Claude Lévi-Strauss al Musée de l'Homme e nello stesso periodo il caso ha voluto che il Robinson Crusoe di Defoe, che all'epoca era un libro introvabile, riapparisse in un'edizione tascabile. Io lo lessi nello spirito di quanto avevo imparato al Musée de l'Homme sull'etnografia, il linguaggio, le nozioni di selvaggio e civilizzato. E mi sono detto: ecco il soggetto. Bisogna fare un nuovo Robinson Crusoe che tenga conto delle acquisizioni dell'etnografia. (...)
Nel romanzo di Defoe, Venerdì è ridotto a niente. È un semplice ricettacolo. La verità esce dalla bocca di Robinson perché lui è bianco, occidentale, inglese e cristiano. Il mio proposito era di fare un romanzo in cui Venerdì avrebbe giocato un ruolo importante: in definitiva, il ruolo principale. E dunque il romanzo non si sarebbe chiamato Robinson ma Venerdì».
"Celebrazioni" raccoglie prose di varia natura del grande scrittore francese, tutte accomunate dalla curiosità dell'autore per la bellezza degli esseri e delle cose, da un'inesauribile ricerca intellettuale tra le bizzarrie del mondo, dal modo di camminare dei quadrupedi alla vita sentimentale degli alberi, dall'apologia del ginocchio alle deambulazioni notturne dei ricci.
"Mi ero trovato in Germania al momento dell'ascesa e dell'espansione del nazismo a un'età - quella di Pollicino - che interessa al capo degli Orchi e avevo sentito quanto il nuovo regime fosse imperniato su di me e i miei simili. Era effettivamente una delle caratteristiche del fascismo quella di sopravvalutare la giovinezza, di farne un valore, un fine in sé, un ossessione pubblicitaria. Un movimento giovane, di giovani, per i giovani, questo era lo slogan più spesso ripetuto in Italia. E si deve convenire che la vita politica fascista ha qualcosa d'infantile, voglio dire che si manifesta a un livello che la mette alla portata dei più giovani con le sue sfilate, le sue feste, i suoi falò, le sue adunate, le sue organizzazioni giovanili." (Michel Tournier).
Se si eccettua un fugace e suggestivo accenno di Matteo, i Vangeli sorvolano sull'esistenza dei leggendari Re Magi che tanto hanno alimentato la fantasia dei popoli e tanto peso hanno avuto nell'iconografia pittorica dei secoli antichi. Michel Tournier, grande visitatore di testi classici, si è calato nello scenario della Natività per narrarci le immaginose biografie dei misteriosi re orientali che vanno a Betlemme seguendo la luce della cometa. «Ognuno di loro possiede un segreto e un'andatura». Ognuno insegue un suo sogno-desiderio.
Gaspare, il negro re di Meroa, tradito da una schiava di pelle candida, incapace di placare un'inesauribile sete di «biondezza», fugge abbandonando la sinistra reggia di basalto incontro alla siderea «danzatrice di luce».
Melchiorre, principe di Palmirena, re-mendicante di un paese insanguinato dalle lotte intestine, confida nella stella come nell'unica salvezza alla propria dignità di uomo tradito.
Baldassarre, re del Nippur, è il nevrotico inseguitore di inarrivabili oggetti di bellezza. Costretto dalla legge semitica a vedere perennemente frustrata la sua passione per le immagini, insegue nella cometa la redentrice «farfalla di fuoco».
Ma c'è anche un quarto, ipotetico Re, suggerito da una fiabesca tradizione ortodossa. E c'è Erode, con i suoi moderni tormenti di sovrano costretto alla crudeltà dalla ragione politica, che soffre la solitudine del capo. E persino l'asino e il bue prendono la parola, in questa sapiente «tavola» cui l'arte di Tournier dà vita e colore attraverso il racconto, magico e ironico insieme, di una storia folgorata dall'avvento del messaggio cristiano.
E' il 1422, guerra dei Cent'anni. Durante l'assedio delle truppe inglesi al castello di Clericourt, due uomini si incontrano e si affrontano. Una strana partita a scacchi, una grossa parrucca bionda, una misteriosa colubrina (un cannone a mano) e un pestifero ragazzo in grado di compiere miracoli giocano ruoli importanti nella sfida avvincente e simbolica che ne scaturisce. Ma i veri eroi di questa avventura si riveleranno la fortuna e il caso. Nello stile elegante, semplice ma immaginifico di Michel Tournier, un racconto filosofico che ha la leggerezza di una favola.
Uno sgangherato telefonino guardato con apprensione al suo arrivo a Shanghai, l'incontro apparentemente casuale con la bellissima e misteriosa Li Qi, e l'ambiguo Zhang Xiangzhi che non lo molla un attimo. Una voce amata (sarebbe dunque mai finita con Marie?) che gli arriva al cellulare attraversando continenti e fusi orari, una memorabile fuga a tre in moto lungo le strade della periferia di Pechino e infine di nuovo Marie (sarebbe dunque mai finita con Marie?), insieme a lei lungo i sentieri e nel mare dell'Isola d'Elba.
Il 10 ottobre del 1998 Fielding Marshall, un programmatore informatico di ventisette anni, sta facendo un'escursione sugli Appalachi con il suo cane Gonker, sei anni, metà golden retriever. Gonker scatta in avanti e sparisce nella foresta. Ha il morbo di Addison e ventitré giorni per sopravvivere senza le medicine che prende regolarmente: deve fare un'iniezione una volta al mese per tenere la malattia sotto controllo. Subito scatta la ricerca, che coinvolge tutta la comunità e soprattutto l'intera famiglia Marshall: un viaggio nel presente ma anche nel passato, in cui riemergeranno vecchie ferite in grado di minare equilibri già fragili.
''Smarrito cane'' è una storia vera sull'eroismo: non quello clamoroso da titoli di giornale, ma quello che si manifesta nelle sfide grandi e piccole che affrontiamo tutti ogni giorno.
È la notte di capodanno del 1937 all'Hotspot, un night club del Greenwich Village a New York. In fondo a una pista da ballo piccola e vuota, un quartetto jazz suona stancamente. A un tavolo appartato dell'Hotspot, tuttavia, Evelyn Ross e Katey Kontent ostentano senza problemi la loro giovanile e spensierata avvenenza. Evelyn, bionda naturale, capelli lunghi fino alle spalle, è una di quelle tipiche bellezze del Midwest che volgono a un certo punto le spalle alla casa paterna per avventurarsi nella grande metropoli newyorchese. Katey è un'attraente giovane donna di buone letture che, per sbarcare il lunario, sbriga la corrispondenza nello studio legale Quiggin &C Hale. Le due ragazze si sono scolate già una buona dose di gin e, visto che hanno in borsa una decina di centesimi ciascuna e in testa l'idea di continuare a bere, si apprestano a fare gli occhi dolci al contrabbassista o al barista di turno quando si verifica l'"apparizione". Dritto, alto un metro e settantacinque, capelli castani e occhi azzurri, cravatta nera e bellissimo cappotto appoggiato al braccio, un giovane uomo compare sulla soglia. Il giovane è Theodore Grey, detto Tinker, banchiere a Wall Street, con appartamento al 211 Central Park West. In una parola, l'uomo del destino per le due ragazze, colui che le condurrà nella "buona società" newyorchese della fine degli anni Trenta, prima di precipitare nel baratro di una guerra i cui venti spirano già in Europa.
Nell'Inghilterra vittoriana Sukey Bond, appena uscita dall'orfanotrofio, viene mandata a servizio in una fattoria dell'Essex. Nulla di meno fiabesco, verrebbe da pensare. Eppure la scrittura obliqua e onirica di Sylvia Townsend Warner ci fa vivere, in questo romanzo, una delle più enigmatiche ed emozionanti storie d'amore che sia dato leggere - dedicata, non a caso, ad Amore e Psiche. Perché nella fattoria lavora un giovane bellissimo ed elusivo, che nei loro rari, furtivi incontri guarda Sukey «con un'espressione di splendente trionfo». Tutti dicono che è «un idiota», ma Sukey lo vede solo «ilare e candido», sapendo che lei, e solo lei, potrà renderlo felice. E quando Eric le verrà rapito, Sukey capirà che il suo futuro non è più «una regione inesplorata fatta di nuvole», e andrà a cercarlo con infinita de terminazione. Cosi come infinite saranno le sue peripezie, al termine delle quali, con ironica maestria, ci verrà restituita una delle cose più preziose: la fiducia nell'impossibile.