
«Mia madre dava l’impressione di essere un meccanismo rotto. Non era malata, ma una parte di lei aveva ceduto ... Le parti integre e quelle compromesse si mischiavano di continuo ed era arduo distinguerle. Nonostante fosse afflitta da una notevole mancanza di memoria, vi erano particolari che ricordava perfettamente». Così inizia Ricordi di mia madre, dove Inoue ha celato, con pudore, il suo lato più intimo e dolente. E non possiamo che ascoltare partecipi quella voce che ci spiega come la donna «aveva incominciato a cancellare a ritroso, con una gomma, la lunga linea della sua vita», del tutto inconsapevolmente, «perché a tenere in mano la gomma era quell’evento ineluttabile che è la vecchiaia». Vecchiaia su cui Inoue ci offre, con questa «opera in tre tempi», pagine fra le più intense che abbia scritto, dove riesce a trovare la misura perfetta, con una delicatezza di tratto che nulla concede all’effusione sentimentale, per raccontare un lento congedo, raffigurare angosce primordiali ed evocare immagini che si incidono nella memoria. Come quella dell’anziana donna che vaga di notte nella casa del figlio, senza che sia possibile sapere se ora, nella sua mente, lei è la madre alla disperata ricerca del bambino perduto o la bambina smarrita che cerca la mamma. Ha scritto Mitsuo Nakamura: «Certamente, per scrivere questi racconti vibranti di pietà filiale, l’autore ha avuto bisogno dello stesso coraggio morale che ad altri ha ispirato la rivolta, fino a chiedersi quale significato abbia il sentimento, in certo modo innaturale, che induce un figlio ad amare i genitori. La poesia di quest’opera è forse la risposta».
Tra i tanti massacri e genocidi che tristemente si sono succeduti nel secolo appena concluso, quello del popolo armeno ha forse avuto un risvolto drammatico in più: è stato negato, cancellato, coperto dall'oblio. Negli ultimi anni, però, coloro che sono sopravvissuti, i loro figli o i loro nipoti, hanno iniziato un importante, faticoso e dolorosissimo lavoro di scavo per portare alla luce la memoria della tragedia. Janine Altounian, una delle più importanti studiose francesi di psicoanalisi e traduttrice di Freud, figlia di genitori sopravvissuti al genocidio del 1915, a questo lavoro ha dedicato un'intera vita. Uno dei primi passi nella direzione del recupero della memoria del genocidio è stato il ritrovamento del diario che il padre scrisse nel 1921, subito dopo il suo arrivo in Francia, raccontando gli avvenimenti vissuti nel momento della deportazione. Si è trattato per la Altounian di una vera e propria scoperta, perché fino ad allora, pur essendo a conoscenza dell'esistenza di quel documento, non aveva avuto il coraggio di leggerlo. Il diario, qui pubblicato per la prima volta in traduzione italiana, testimonia quanto la riflessione storica sul dramma vissuto dal popolo armeno sia in questo caso connessa in maniera strutturale con l'esperienza vissuta e con il lavoro di elaborazione su di essa svolto.
In questo libro Singer ha creato il più memorabile dei suoi personaggi: se stesso. Se stesso bambino in cerca di Dio, nella corte del padre rabbino chassidico, nelle viuzze ebraiche di Varsavia, nei minuscoli "shtetl" della campagna polacca. Se stesso giovane e poverissimo aspirante scrittore nel fervido clima intellettuale della Varsavia del primo dopoguerra. Se stesso famelico di vita e soprattutto di amore. Se stesso, infine, in fuga davanti al terrore nazista ed emigrato in America, terra estranea e ignota, che gli propone la sfida drammatica ed esaltante di un futuro totalmente incerto, senza legami con il passato, senza tradizioni, senza lingua.
Il romanzo racconta le vicissitudini e le avventure di un gruppo di ragazzi, ambientate nella tarda primavera del 1918, in una cittadina dell'Alta Ungheria lontana dal fronte, dove la vita, placida e sonnacchiosa in apparenza, è profondamente inquinata dalle venefiche esalazioni della guerra. Abbandonati a se stessi mentre i padri combattono chissà dove, i giovani in balìa dei demoni della loro "rivolta contro l'utile e il pratico", dichiarano guerra al mondo degli adulti inventandosi giochi molto, troppo pericolosi. Un oscuro commediante, che diventa il loro mentore occulto coinvolgendoli nelle sue trame perverse, li trascinerà verso un epilogo tragico e inevitabile.
Un terrorista suicida si fa esplodere in un mercato di Gerusalemme. Una donna muore. Era straniera, viveva da sola in una squallida baracca di un quartiere di religiosi. Nessuno va a reclamare il suo cadavere all'obitorio. Eppure la donna aveva ancora formalmente un lavoro, come addetta alle pulizie in un gran panificio della città. Un giornalista senza scrupoli sfrutta il caso per imbastire uno scandalo e denuncia la "mancanza di umanità" dell'azienda che non si è nemmeno accorta dell'assenza della dipendente. Tocca al responsabile delle risorse umane, spedito in missione dall'anziano proprietario del panificio, cercare di rimediare al danno di immagine.
Capodanno 2014. Grecia, Spagna e Italia sono uscite dall'euro. Anche la famiglia Charitos festeggia l'ultima notte dell'euro, e il ritorno alla dracma. Ma la festa dura poco e, ben presto, lascia spazio al disordine sociale: stipendi bloccati, governo tecnico fasullo, banche chiuse, disoccupazione, anziani affamati che rovistano nei cassonetti. Nel caos che si genera, accadono strani omicidi. Le vittime sono tre ex rivoluzionari del Politecnico, il movimento che insorse negli anni settanta contro il regime dei colonnelli. Sui loro corpi, il misterioso assassino lascia un messaggio, sempre lo stesso. È il comunicato della radio libera degli studenti rivoltosi del Politecnico: "Pane, Istruzione, Libertà". E a Charitos, in un clima rovente di protesta sociale, spetta l'onere di districarsi in questa nuova, delicatissima indagine.
La placida e poverissima cittadina tropicale di San Cristobal, incastonata tra la selva e il fiume, viene sconvolta un giorno da trentadue bambini, provenienti dal nulla. Sono violenti, sono estremi: mendicano e rubano, scippano, disturbano. E parlano una lingua incomprensibile, un gergo selvatico. Sono degli estranei, a tutti gli effetti. Le reazioni non tardano a manifestarsi: c'è chi cerca spiegazioni, chi vuole salvarli e chi invece si schiera decisamente contro di loro. Ma quanto più estreme sono le posizioni, tanto più si dimostrano fallimentari, in uno scenario sempre più perturbante. Ma chi sono questi bambini, che mettono in discussione la vita sociale? Da dove vengono e cosa vogliono dire? A raccontare la storia un narratore esterno, testimone dei fatti, impiegato presso l'ufficio affari sociali, che arriva a San Cristobal con moglie e figlia. Sarà lui la mente più lucida a intuire ciò che sta accadendo. E sarà una bambina a decifrare il codice linguistico dei 32 bambini.
Canetti appartiene a quegli scrittori che nella vecchiaia hanno raggiunto un alto grado di libertà e sovranità dello spirito. Qui applicata a ritessere ancora una volta il suo pensiero su temi che lo hanno sempre accompagnato, come la massa, la morte, il mito. Ma la forma degli "appunti", molto agile, consente a Canetti anche di puntare in tutt'altre direzioni: ammirazioni relativamente recenti e intensissime, come quella per Robert Walser; avversioni antiche che continuamente si riaccendono, come quella per Nietzsche; ricordi acuminati di persone che nella vita di Canetti molto hanno contato.
Un piccolo e paradisiaco paese, il Regno Proibito, incastonato tra le montagne dell'Himalaya, che vive in uno splendido e pacifico isolamento da milleottocento anni; un monaco buddista che si sta occupando della formazione spirituale del giovane erede al trono; un prezioso oracolo in grado di predire il futuro in una lingua sconosciuta, quella anticamente usata dagli yeti. Questi sono gli ingredienti della nuova avventura di Nadia e Alexander, già protagonisti di "La città delle bestie", ora alle prese con una pericolosa setta di sanguinari banditi indiani assoldati da un'organizzazione criminale internazionale per trafugare la preziosa statua dai poteri divinatori e per rapire il re che sa come interpellarla.
Miguel Barnet apre la sua raccolta di racconti con Fatima e Miosvatis. Miosvatis è narrata attraverso le persone che la conoscono: il fidanzato tedesco, la vecchia vicina chiacchierona e la sorella. Fatima è invece un travestito che in prima persona si racconta mescolando i propri ricordi a quelli della città e in particolare quelli della Cuba rivoluzionaria, tra turisti e spettacoll en travesti. La seconda parte del volume è dedicata alle "Regine" dei tempi passati, mediante brevi ma folgoranti ritratti: Rachel la corista; zia Sunsita, vitale, amante della propria libertà e nemica delle convenzioni; la vecchia domestica nera Petrona che, non accettando il trasloco dal quartiere del Cerro alla morte del capofamiglia, decide di perdersi nelle strade della capitale; Agata, amante della poesia; la triste Milagros, sconfitta dalla vita e infine la vecchia Elvira, che vive accompagnata dalle statuine della Miracolosa e di Santa Barbara.