
Le donne che tessono la trama di questi otto racconti sono spesso osservate nel punto di svolta della loro vita. Avvenimenti dimenticati, sogni ad occhi aperti, incontri fortuiti squarciano all'improvviso l'orizzonte e ci conducono in territori lontani e di frequente ignorati. Il sogno d'amore che Louisa vive in tempo di guerra e viene infranto quando la vita riprende il pacato ritmo quotidiano riaffiorerà con forza in un momento inaspettato. L'intraprendente Gail assume una nuova identità per scoprire cosa le ha sottratto un rapporto che credeva assai radicato. Durante una gita, una delle ragazze di un college femminile scompare misteriosamente. Non verrà più trovata, ma qualcuno sarà in grado di decifrare l'enigma legato alla sua sparizione. Così le emozioni profonde annidate nell'animo dei personaggi cercano la loro strada sotterranea, nella complessità dei rapporti umani, per emergere alla coscienza in improvvisi lampi di luce e diventare segreti svelati.
Ferite. Traumi inflitti dall'uomo o dall'ambiente circostante. È così che nasce il legno di betulla più bello e ricercato: dallo sforzo del tronco di riparare se stesso, stagione dopo stagione, cicatrice dopo cicatrice. E di traumi non è certo privo il passato di Edvard, ritrovato appena treenne a chilometri di distanza dalla località della Somme in cui entrambi i genitori misteriosamente morirono. Da quel giorno Edvard è cresciuto con i nonni paterni in una piccola fattoria della Norvegia, non lontano dal bosco di betulle appartenuto allo zio Einar. Ma di Einar - fratello del nonno e fine ebanista inghiottito dalla violenza della Seconda guerra mondiale - Edvard sa poco o niente, come di tutta la sua complicata famiglia. Quando il nonno, taciturno e protettivo custode di troppi segreti, muore all'improvviso, ad attenderlo c'è una bara di legno pregiato. E se il feretro fosse opera proprio di Einar? Ansioso di dare risposta alle domande che da sempre lo assillano, Edvard parte per un viaggio che dai paesaggi collinosi del Gudbrandsdalen lo porterà fino alle isole Shetland e poi in Francia, sulle tracce dello zio e di una preziosa, inattesa eredità.
Perfetto amalgama di poesia e affabulazione, di ricordi lontani e paesi remoti, le prose del Secondo amore ci trasportano in un mondo magico, popolato di giovani violinisti capaci di far danzare le stelle in cielo, agili ballerini col monocolo, clown lillipuziani e macrocefali, zingari accampati fra il bosco e la palude in una distesa di tende bianche. Ma riaffiora, costante, la Storia, evocata da un Natale di guerra sul bassopiano della Podolia, a due passi dal fronte; dalla presenza dell’imperatore («Lui giace sepolto nella Cripta dei Cappuccini, sotto le rovine della sua corona, fra le quali io – vivo – vado aggirandomi»); dal cordoglio per la miseria austriaca al crollo dell’impero e per il tramonto della patria; dalla nostalgia degli esuli e degli emigrati – una nostalgia che può spezzare il cuore. E a ritmare l’intero libro è l’amore, che nel racconto eponimo si fa pura, toccante bellezza: nel bosco incantato, teatro di incontri pudichi, una risata si alza in volo «come un raro, sconosciuto uccello bianco», mentre i giardini esalano il profumo del glicine «con la fresca veemenza di un dolce vento». Un profumo inebriante oggi come allora.
L'AUTORE
Joseph Roth
Jopseph Roth (1894-1939) fu ufficiale dell'esercito austriaco nella Grande Guerra, giornalista (a partire dal 1918) e romanziere. Nel 1933 l'avvento del nazismo lo costrinse ad abbandonare la Germania, dove viveva. Morì a Parigi.
Diciassette racconti, diciassette protagonisti: un misantropo ossessionato dal contatto con gli umani, un ragazzine invalido che tenta di andare in bicicletta, la gravidanza indesiderata di una ragazza povera, una studentessa osservante quanto ipocrita, la bella amante francese di papà, un fratello e le sue vacue giaculatorie, un bambino obeso zimbello della classe, le umilianti fatiche di un ricercatore di medicina, un vecchio "fedele al partito", l'inconsolabile lutto di un figlio per il padre defunto, l'ordinaria cattiveria di un bambino che si prepara a essere un degno cittadino egiziano. Comune denominatore: la cattiveria - appunto -, l'ipocrisia, il disprezzo del dolore altrui, l'atavica mentalità del servo che vuol solo essere padrone di altri servi. È un ritratto impietoso e sarcastico dell'Egitto di oggi. Molto lontana dall'esotismo turistico e dalla retorica "impegnata", è la rappresentazione di un'umanità piccolo-borghese irrimediabilmente sconfitta, improduttiva, rinchiusa nella propria rispettabilità esteriore, moralmente abietta.
Trent'anni, un impiego da postino, giorni solitari e un gatto a cui badare. Quando scopre di avere una malattia incurabile e poche settimane da vivere, il protagonista indugia sulla lista delle dieci cose da fare prima della fine. Ma presto avrà ben altri pensieri, perché il Diavolo... gli ha proposto un affare! Ogni giorno cedere qualcosa del mondo in cambio di ventiquattro ore di vita in piú. Il ragazzo accetta. Rinunciare a telefoni, orologi o film? Ma certo, in fondo si può fare a meno di quasi tutto. Se non fosse che per ogni oggetto c'è un ricordo. E che ogni patto con il Diavolo implica un distacco doloroso e cambia il corso della vita del protagonista e dei suoi cari. È per questo che quando Belzebú reclama l'esistenza dei gatti, il ragazzo esita: ventiquattro ore valgono davvero la perdita dell'affetto di un micino e di tutto quello che rappresenta per lui?
Sono uomini e donne deportati in Siberia i protagonisti del romanzo, e le storie di questi trotzkisti - che si incontrano in uno sperduto villaggio ai confini del mondo, si legano di amicizia, si confrontano, si amano - ci raccontano gli anni strazianti in cui tanti, come Serge, furono imprigionati a causa della loro aperta opposizione al regime staliniano. Sono uno spaccato, a forti tinte autobiografiche, del mondo di brutalità dove Stalin ha già rinnegato gli ideali di una rivoluzione che si è appena messa in moto e l'onesto credo in un mondo migliore dei bolscevichi della prima ora è totalmente tradito dal cinismo e dalla crudeltà degli uomini che tengono le redini del potere. Pubblicato per la prima volta nel 1940, "Se è mezzanotte nel secolo" precede di anni le opere di Koestler e Solgenitsyn e offre un ritratto della Russia staliniana come di una macchina atta ad annientare uomini, corpi e anime. In un paese dove gli avversari del regime muoiono nell'anonimato svanendo come se non fossero mai nati, Serge, uno dei primi a far sentire la propria voce, svela con fermezza e coraggio l'uso della tortura fisica e psicologica, restituendo loro un nome e un volto e salvandoli dall'oblio del silenzio. Introduzione di Goffredo Fofi.
Adan ed Eva sono due dodicenni di Amsterdam: lei appartiene alla ricca borghesia ebraica, lui è musulmano di origine marocchina e vive con la numerosa famiglia nel quartiere ad alto tasso d'immigrazione di Slotermeer. Sono compagni di scuola e faticano ad ambientarsi: lei è grassottella, goffa e poco attraente, lui è povero. Dall'incontro di due solitudini nasce un'amicizia osteggiata dalle famiglie, che tra incomprensioni culturali e incidenti religiosi degenera in catastrofe. Quando Adan viene cacciato di casa ed Eva iscritta a un collegio in Svizzera, i due ragazzi tentano insieme la fuga. Ma nelle loro famiglie si scatena il panico e la città è sull'orlo della sommossa. Una cruda favola moderna, un apologo morale che sottolinea i pericoli del fanatismo religioso, le difficoltà e forse l'impossibilità della convivenza.
Il profilo e gli scirtti di Etty Hillesum.
Un giovane maestro ritorna nel piccolissimo villaggio dell'Africa Occidentale in cui è nato per insegnare quello che sa ai bambini. Ma nel "villaggio del nulla" non ci sono sedie, non ci sono banchi, non c'è lavagna, e i bambini, che non hanno da mangiare, preferiscono cucire scarpe e palloni di cuoio per un dollaro l'ora piuttosto che frequentare la scuola. Come può il maestro spiegare il valore dell'istruzione a bambini che soffrono la fame? Il racconto di una lotta impossibile, di una resistenza estrema contro le ragioni del denaro per le ragioni della speranza. Con questo libro si contribuisce a ricostruire una scuola in Mozambico.
«Il mio intento in questo libro non è la critica letteraria né la biografia ... Voglio soltanto, e in maniera del tutto personale, passare in rassegna i tipi di scrittura che mi hanno influenzato nel corso del mio lavoro. Ho detto scrittura, ma intendo più precisamente visione, modo di guardare e di sentire». Con questo intento Naipaul ci fa da guida in un viaggio illuminante, il suo viaggio: dalla natia Trinidad («un puntino sul mappamondo») agli ambienti letterari della Londra anni Cinquanta, dall'India (ancestrale «terra del mito» e desolante paradigma di modernità incompiuta) alla Cartagine di Polibio e di Flaubert, e alla Roma di Cicerone e di Virgilio. In questo modo la scrittura, che è sempre «prodotto di una specifica visione storica e culturale », permette di esplorare il tempo oltre che lo spazio - e di affiancare Derek Walcott a un materassaio analfabeta, Nirad Chaudhuri e Anthony Powell a un politicante con velleità letterarie (« lo Stalin di Trinidad»), Gandhi a Giulio Cesare. E durante il viaggio ogni incontro si rivela decisivo: per una inesausta ricerca di precisione, per il nitore dell'espressione, e soprattutto per una percezione originale del mondo.

