
Il dottor Eitan Green è una persona onesta e un ottimo medico, impegnato a salvare vite. Una notte, guidando la sua jeep a tutta velocità nel deserto, investe un uomo, un migrante africano. L'uomo è ferito mortalmente e il dottor Green, preso dal panico, fugge. Questa decisione cambierà la sua esistenza. Il giorno dopo, una donna bella, misteriosa e dalla pelle nera bussa alla porta della casa di Eitan e gli porge il portafoglio perduto nel luogo dell'incidente. La donna lo ricatterà, ma non chiedendo soldi. Lo condurrà invece in luoghi, reali e interiori, che il dottor Green non avrebbe mai immaginata di dover esplorare.
Paul Bannerman crede di avere l'assoluto controllo sulla propria vita. La sua esistenza cambia radicalmente quando gli viene diagnosticato un cancro alla tiroide... Un romanzo denso, rapido, emozionante, in cui sono toccati tutti i temi più cari alla Gordimer: le relazioni famigliari, quelle tra bianchi e neri nel Sudafrica, la povertà, l'Aids, il rapporto tra progresso economico e salvaguardia della natura.
Il preside di scuola Medardo Rivera è in carcere per avere assassinato un tale Lupe Bárcenas. Secondo l'accusa, il 6 dicembre, durante la festa paesana di un minuscolo villaggio sperduto dello Yucatan, ai piedi della ruota panoramica, Rivera gli ha conficcato in corpo un paio di pallottole con una pistola estratta dal giubbotto. Peccato che quel 6 dicembre Rivera si trovasse a ottanta chilometri dal luogo dell'omicidio, che a San Andrés in realtà non ci fosse nessuna ruota panoramica e che lui non abbia mai posseduto un giubbotto. Come se non bastasse, il morto è stato visto con assoluta certezza mentre si ubriacava in compagnia dei poliziotti e dei latifondisti della zona. Manco a dirlo, per risolvere un caso tanto equivoco e spinoso è stato assunto l'investigatore privato Héctor Belascoarán, che per cominciare dovrà scovare il presunto defunto.
Eskandar ha solo sei anni quando si arrampica per la prima volta sulla montagna, proibita come molte altre cose nel suo villaggio senza nome. Proibita perché al di là di quella vetta ci sono i kafar, gli infedeli, strani esseri dalla pelle bianca e senza barba.
«Gli spiriti malvagi che vivono tra le rocce, la prossima volta ti divoreranno», urla il mullah. E il mullah sa bene come incutere paura. Anche il capo del villaggio senza nome, che è tanto curvo che senza bastone cadrebbe in avanti, lo ammonisce: «Lo sai che Dio non ama i bugiardi e li punisce».
“Ma non c’è più alcuna punizione che Dio possa ancora infliggerci”, pensa Eskandar, guardando il letto del fiume secco da tanto, troppo tempo. E allora indica la montagna con il braccio disteso, e si gode l’istante in cui tutti gli occhi seguono il suo dito. «È vero», dice poi, «giuro sulla mia vita che sono stato lì!»
Allora tutti fanno silenzio. «Lascia che il ragazzo racconti», dicono. È vero che vivono in un villaggio senza donne? È vero che i loro capelli sono gialli?
«Gli stranieri hanno parole diverse dalle nostre», riprende Eskandar. «E scorte così abbondanti che persino ai cani danno da mangiare la carne. Non coltivano i campi, non si occupano degli animali, per tutto il giorno non fanno altro che scavare buchi nella terra.» Solo quando tutti smettono di ridere, risponde alla domanda più importante. «Sì, hanno l’acqua», dice. «Così tanta che addirittura ci si lavano i piedi.»
Da quel giorno, Eskandar tornerà molte volte sulla montagna proibita. Fino a quando uno degli stranieri non lo accoglierà, e farà di tutto affinché il ragazzo possa avere una nuova speranza.
Dalla corte del Khan all’occupazione britannica e russa, dal regime dello Shah Pahlewi alla rivoluzione khomeinista, nell’indimenticabile racconto di Siba Shakib la lunga vita di Eskandar diventa l’odissea di tutto un Paese.
All'inizio del secolo scorso la Cina vive un momento di caos politico. In una cittadina nello Shandong (la patria dello scrittore) i tedeschi stanno costruendo una ferrovia. Sun Bing, direttore e cantante di una compagnia di opera maoqiang, ne picchia uno che gli ha molestato la moglie e, in seguito alla feroce rappresaglia tedesca (che gli uccide la moglie e i due figli) scatena una ribellione contadina contro gli invasori. Il magistrato di zona è costretto a catturarlo e condannarlo al supplizio del legno di sandalo.
Cina 1900: provincia dello Shandong. Sun Bing è un ribelle per caso, che si ritrova a guidare una rivolta di contadini a fianco dei Boxer, la società segreta cinese nemica delle potenze imperialistiche straniere. Ma Sun Ring non è solo un contadino in guerra contro un potere più grande di lui, e da cui sarà atrocemente punito. È anche un artista, è un uomo che vive di canto e per il canto. Di fronte a lui, Zhao Jia, il vecchio boia grande esperto di torture, giunto all'ultimo lavoro della sua carriera. Come Sun Ring, con il canto, anche Zhao Jia possiede una tecnica antichissima. I due maestri si affrontano con la loro rispettiva arte cercando, nelle condizioni estreme, di portare a termine il capolavoro della propria vita e della propria morte.
La meraviglia delle donne e l'incanto dell'amore fanno da leitmotiv a queste pagine postume, un manoscritto del 1926 cui Carl Seelig - mentore di Walser e suo compagno di lunghe passeggiate - diede provvisoriamente il titolo Diario (sulle donne), "diario" che costituisce il prezioso anello di congiunzione fra La passeggiata e Il Brigante. "Lo stesso Walser" scrive Sebald "ha osservato una volta che lui, da un breve testo in prosa all'altro, lavorava in fin dei conti sempre al medesimo romanzo, un romanzo che si potrebbe definire un "libro dell'Io" a più fasi o frammenti". Anche se gli risultava impossibile entrare in sintonia con le donne, quell'Io confessa che "è bello e utile conoscerle, ma è parimenti utile, e se del caso ancor più bello ... soccorrerle e servirle". Siano esse affittacamere, chellerine o misteriose figure intraviste a teatro o in un salotto, e vissute in un confronto tutto di fantasia, le donne sono sempre colte in una luce di minacciosa bellezza. Con un avvolgente flusso di parole, l'autore di questa divagazione ci guida in un mondo interiore popolato di figure seducenti o stralunate, ma sempre irresistibili nel loro onirico fluttuare. "Sulle donne" è una lunga passeggiata fra romanzi e poesie affidata a una scrittura che "assume i tratti eccelsi dell'andare a zonzo".
"Sulla vita" fu finito di stampare nel gennaio del 1888. Dalla tipografia il libro passò, come d'uso, al Comitato della censura: e non ne uscì più. La censura laica lo silurò subito, mentre la censura religiosa - due mesi dopo - condannò alla confisca tutte le copie del libro. Nel frattempo, come avveniva da qualche anno per tutte le opere di Tolstoj vietate, anche "Sulla vita" conosceva in Russia un'ampia diffusione tramite edizioni illegali, per lo più artigianali. "Sulla vita", insomma, fu un trionfo: uno dei primi grandi successi internazionali di quella carriera di polemista social-religioso che Tolstoj aveva inaugurato una decina d'anni addietro, con "La confessione". Il fulcro delle sue riflessioni era inteso a ribadire le ragioni di un cristianesimo rigorosamente evangelico, contro le Chiese istituzionali e il loro "pseudo-cristianesimo" impartito alle greggi, ma anche contro quell'ordine costituito che in tutti gli stati "cristiani" aveva appunto nelle Chiese i suoi migliori alleati. Sia secondo i seguaci, sia secondo i critici di Tolstoj, "Sulla vita" è importante in quanto originalissima, illuminante reinterpretazione del concetto evangelico di "vera vita", con stimolanti implicazioni filosofiche, contrapposta a un cristianesimo trasformatosi in "religione della morte". Un testo decisivo per comprendere l'evoluzione del pensiero di Tolstoj.
Pilar ritrova a Madrid l'amico dell'infanzia. Questi ha girato il mondo ed è poi entrato in seminario, dove si dice abbia fatto miracoli. Pilar è una donna passionale, ma delusa dalla vita. Con l'amico d'infanzia compie un viaggio di sei giorni durante il quale la donna ritrova se stessa attraverso una riflessione mistico-iniziatica. I due si recano a Lourdes dove cementeranno il loro amore alla luce di una fede che esalta i valori della missione nel mondo.
La storia si apre con il rinvenimento di un cadavere nello stagno di Olba, luogo immaginario sulla costa della Comunità valenciana, in Spagna. Esteban, il protagonista, ha dovuto chiudere la sua falegnameria, lasciando i dipendenti disoccupati. Mentre accudisce il padre, entrato ormai nella fase terminale della sua malattia, Esteban indaga i motivi di una rovina che lo vede nel doppio ruolo di vittima e carnefice. Il benessere e il suo rovescio inseparabile, l'avidità. Lo specchio in cui guarda Esteban, a suo modo un uomo senza attributi, restituisce un'immagine fatta di sogni infranti e illusioni perdute. Nulla si è salvato dalla voracità di questi primi anni del XXI secolo. L'amore, la famiglia, l'amicizia, anche i codici sociali sono diventati parte del menu di questo banchetto solo per pochi. Nei romanzi di Rafael Chirbes la vita interiore dei personaggi coincide con un preciso paesaggio esteriore, in questo caso senza dubbio lo stagno. Lo stagno, principio e fine della narrazione, acquisisce un crescente peso simbolico che ci aiuta a capire le complesse relazioni che gli esseri umani mantengono con il loro ambiente e con la loro storia. La storia ci obbliga a guardare verso quello spazio fangoso che è sempre stato lì, anche se per anni nessuno sembrava essere disposto ad ammetterlo, al tempo stesso spazio d'uso e abisso dove sono stati nascosti delitti e lavate coscienze, pubbliche e private.
"Sulla scrittura, sull'amore, sulla colpa e altri piaceri" è un dialogo sulla vita e sulla scrittura, ma la voce di Shira Hadad, la editor di Amos Oz, è in fondo la coscienza del grande scrittore, che gli pone domande sul proprio passato, sui temi che l'hanno coinvolto, sulla sua intimità di uomo e scrittore. Ne scaturisce un ritratto a tutto tondo, una sorta di testamento artistico, spirituale e familiare. Un autoritratto di Amos Oz in forma di dialogo.
"In un luogo mitico - la casa sul promontorio sospesa tra cielo e mare, il paesaggio e la luce 'mediterranei' - un intagliatore di Madonne e una pittrice astratta, entrambi tedeschi, vivono ed espiano fino alle conseguenze estreme la maledizione tragico-farsesca dell'essere artisti nel mondo del già detto, del già fatto, nel triste mondo della riproducibilità. Un'Italia degradata, e tuttavia memore di una trascorsa civiltà i cui rituali estremi, seppure insidiati dalla barbarie 'spettacolare' della modernità, sopravvivono nella vita di un borgo marinaro, fa da sfondo a un delitto, efferato ed enigmatico, e a un'altrettanto misteriosa metamorfosi del protagonista." (dalla Postfazione di Andrea Landolfi)