
"Io sono la migliore a incassare colpi, ecco. Mandarmi al tappeto non è affatto facile". È una mattina di fine ottobre quando Ana Tramel, scapestrata avvocatessa quarantatreenne con un passato burrascoso tuttora ingombrante e una carriera in caduta libera, riceve una telefonata inattesa. Ancora intontita per via dell'ennesima sbronza a base di gin, suo personale anestetico contro la noia e le emozioni, resta ad ascoltare la voce di Alejandro, il fratello che non sente da cinque anni: la chiamata viene dalla caserma della Guardia Civil di Robredo, a nord di Madrid, dove hanno rinchiuso Alejandro per l'omicidio del direttore del casinò Gran Castilla; e adesso lui ha bisogno dell'aiuto della sorella. Ana è decisamente fuori allenamento per affrontare un caso la cui materia appare subito difficile da ricomporre. Scopre infatti che l'omicidio è stato registrato dalle videocamere a circuito chiuso del casinò; che Alejandro ha sulle spalle un debito di gioco che ammonta a ottocentodiciassettemila euro; che il suo fratellino non solo è un giocatore compulsivo e un assassino, ma anche il padre di un bimbetto di due anni. Lei però non si dà per vinta. E mette insieme una scalcinata squadra composta da un vecchio investigatore, dalla sua amica Concha, ex compagna di università, e da due giovani avvocati alle prime armi. Scoprirà ben presto una realtà stratificata e complessa, che la costringerà a fare i conti con una potente società capace di muovere gigantesche quantità di denaro e dotata di lunghi tentacoli, muscolosi e soffocanti.
Da quando Conan Doyle ha dimostrato che del corpo, in un'indagine ben condotta, si può tranquillamente fare a meno, molti autori di storie poliziesche si sono divertiti a mettere i propri protagonisti in condizione di non potersi muovere. Ultimo, ma solo in ordine di tempo, è arrivato Roberto Bolaño, che in questo romanzo ha inventato Auxilio Lacouture. Se per via della stazza il detective di Rex Stout abbandona a fatica e malvolentieri la sua serra, Auxilio, che invece sembra la «versione femminile di don Chisciotte», non può semplicemente uscire dai bagni della facoltà di Lettere e Filosofia di Città del Messico, dove l'esercito e i reparti antisommossa hanno appena fatto irruzione. Siamo nel settembre del 1968, cioè nel cuore di una stagione rivoluzionaria rispetto alla quale i moti europei sono un pranzo di gala appena un po' rumoroso. Quella che Auxilio arriva pian piano a ricostruire è la «storia di un crimine atroce» che ha lasciato il segno su tutta una generazione di giovani latinoamericani. Un'immagine dopo l'altra, lo spazio fisico si dissolve, mentre la voce di Auxilio diventa quella di Bolaño, e attraverso una galleria di personaggi indimenticabili ridisegna la geografia, immaginaria e persino troppo reale, di un intero continente.
Storie di passioni e di perdizione, di amori destinati a durare per sempre e di incontri fugaci, di erotismo e di pure idealità romantiche, di misantropi, scienziati, profeti e angeli. Tahar Ben Jelloun, attingendo alle mille fonti dell'immaginario favolistico e delle tradizioni magiche del mitico Oriente, tratteggia in questi racconti l'universo del sentimento amoroso, e lo declina nelle sue molteplici e spesso impreviste forme, nella consapevolezza, ora divertita ora malinconica, che l'amore e il sesso sono i più grandi incantesimi del mondo, veicolo e luogo di supremi misteri, di pulsioni incontrollabili, di fascinazioni uniche e irripetibili: come la natura umana.
Un anno scorre. Passeggiate, film, brevi partenze, viaggi vagheggiati e mai intrapresi, lo studio dell'ebraico. Gli uomini, cinque. Sfuggenti, incomprensibili, a volte sposati, tutti comunque con un'altra vita da vivere. L'io narrante, attraverso frammenti di dialoghi e brevi notazioni, racconta la storia di una donna insoddisfatta che cerca continuamente nei rapporti con gli altri la possibilità di una salvezza da tutto e, prima di tutto, da se stessa.
Lui italiano, lei straniera. Lui straniero, lei italiana. Oppure nuovi italiani, figli a loro volta di genitori di nazionalità diverse. Nella relazione a due le identità si moltiplicano, si mescolano, si frammentano, a volte si contrappongono, diventano un caleidoscopio ricco e complesso. I matrimoni tra stranieri e italiani negli ultimi dieci anni sono triplicati e negli ultimi quattro anni il numero dei bambini nati da loro è aumentato del 22 per cento. In queste pagine, i racconti di quattro autori della nuova letteratura italiana fotografano la società che cambia, ne colgono le sfumature, i dettagli, li rileggono in modo ironico, svagato, intenso. Il figlio in arrivo in una coppia afro-italiana irrompe come un ciclone nelle vite dei genitori e ne stravolge il rapporto. Una ragazza somala racconta con tenero umorismo la fine del suo amore con un italiano, decretata da cause di forza maggiore. Un impacciato ragazzo cinese chiede in sposa un'italiana, ma non ha idea dei guai in cui sta andando a cacciarsi, a voler conciliare le tradizioni millenarie delle rispettive famiglie. Nel Nord Italia un musulmano si incontra e si scontra con il mondo provinciale e piccolo borghese della sua compagna cattolica.
Invitato da una città africana a una conferenza internazionale sui destini africani nella letteratura il narratore-scrittore, d'origine russa, rammenta fatti avvenuti 25 anni prima: una notte di grande paura nella foresta del Lunda Norte, nel nord dell'Angola, quando, rinchiuso in una capanna, è prigioniero dei soldati dell'UNITA in compagnia di un altro russo e di un corpo che pare inanimato. Scovando nella memoria il viso e la voce di Elias Almeida, decide di scrivere la vita della persona cui aveva tentato, scambiandolo per un cadavere, di rubare una penna: è Elias, un angolano impegnato in una causa da molto tempo perduta, un uomo coraggioso, amato dalle donne, ma che conserva un attaccamento inspiegabile per una sola di loro, Anne.
Sullo sfondo di una Haiti progressivamente oscurata dalla dittatura militare, l'amore, la follia, le competizioni familiari e le gelosie si insinuano nelle menti e nelle famiglie come le uniche possibilità di fuga, riscatto o sogno. In una famiglia, tre sorelle - Claire, Félicia e Annette - si fanno travolgere dalla passione per uno stesso uomo. In un'altra, la figlia modello, anima bella e idealista, è costretta a prostituirsi in cambio della salvaguardia dei propri cari dalla violenza dei militari. In un'altra ancora, Renè si chiude in casa con due amici, Andrè e suo fratello Jacques, a bere e a rievocare il passato. Si disegna così un quadro di amore, gelosia, morte e follia, che è un grido di rivolta contro l'ordine sociale e sessuale.
Madrid: tre sorelle, tre donne assai diverse. Rosa, elegante e coriacea donna in carriera, le sue insicurezze le sopisce a suon di turni estenuanti di lavoro e distaccati atteggiamenti da top manager. Ana, vulnerabile e docile casalinga, le seppellisce mettendosi ai fornelli, lustrando pavimenti già splendenti, crogiolandosi nell'atmosfera familiare. Cristina, invece, guarda dritte negli occhi le sue paure, le affronta, mantenendosi sempre dolorosamente lucida; ben più lucida delle sue sorelle, nonostante il frequente ricorso all'alcol e alle droghe.
Il narratore senza nome che unisce le varie tappe di questo singolare percorso di formazione è un adolescente sensibile e malmostoso che legge Rimbaud, scrive stucchevoli poesie e s'ingegna per trovare la volontaria cui affidare la sua verginità. Il viaggio che in "Tutto" intraprende verso la "città tentacolare, la città infinita" di Murska Sobota, investito della missione di acquistare un congelatore orizzontale e armato di un'unica pillola anticoncezionale da offrire alla prescelta, ha il pathos del rito di iniziazione. Spesso l'assurdo e la violenza irrompono senza preavviso nel quotidiano. È il caso di "Stairway to Heaven", dove la pittoresca figura del fanfarone Spinelli nasconde una tenebra degna dell'ambientazione conradiana con cui il racconto si apre; o di "Commando americano", in cui i giochi di guerra infantili a Sarajevo mostrano l'inconfondibile marchio dell'odio senza età. Nel caso del narratore, partito dalla Bosnia appena prima dello scoppio della guerra, un'aura di fraudolenza impregna il rapporto con il mondo letterario di cui entra a far parte negli Stati Uniti. Complessa è la relazione che instaura con il poeta bosniaco Muhamed D., detto Dedo, in "Il direttore d'orchestra", o con il Premio Pulitzer Richard Macalister. A lui la "persona" di Hemon regala l'accesso allo scantinato dei propri segreti famigliari, e a lui dona pure l'esempio più esaltante di trasfigurazione narrativa in un finale che celebra il prodigio della grande scrittura.
Una storia vibrante e sincera, di amicizie che durano una vita, di perdite e di speranza, di figli della guerra e dei loro tanti genitori.
Un romanzo che tocca corde profonde, temi viscerali, con coraggio e delicatezza. Che non teme di fare i conti con un passato che «quando ti trova, ti guarda con i tuoi stessi occhi».
La prima volta che Zlatan vede Ajkuna è rapito dal dondolio delle sue trecce che «si allungano quasi a toccare terra». Non sa ancora che quella bambina diventerà così centrale nella sua vita.
Crescono insieme a Pristina, nella stessa casa, anche se lui è serbo e lei kosovara di etnia albanese. I loro padri, Milos e Besor, condividono la passione per la medicina e per le poesie di Charles Simic. Le loro madri, Slavica e Donika, litigano su come fare le conserve di peperoni e sui particolari di certe ballate, patrimonio comune dei popoli dei Balcani.
Ma il Kosovo, in cui per secoli questi popoli hanno convissuto, alla fine degli anni Novanta sanguina. Ed è l'ennesima ferita al cuore dell'Europa balcanica.
Tra i botti di Capodanno e gli spari della guerriglia, Ajkuna e Zlatan si promettono amore eterno «come solo due ragazzi possono promettersi».
La Storia però li separa: militare di leva lui, profuga lei.
Ajkuna si ritrova in Svizzera, dove partorisce Sarah. Zlatan finisce in Italia, dove incontra Ines. Una ragazza minuta, con i capelli lisci che le cadono sulle spalle. Proprio come Ajkuna.
In un montaggio alternato, il romanzo segue le vite dei due protagonisti, il loro rincorrersi e sfiorarsi, e forse perdersi. Lungo il cammino, in una babele arruffata di lingue, Zlatan e Ajkuna incroceranno una piccola folla di personaggi intensi, veri, col loro bagaglio di storie al seguito.
Anilda Ibrahimi ci racconta, con la sua leggerezza, con la sua scrittura cruda e poetica, una vicenda struggente, di sentimenti forti, senza essere sentimentale. Ci porta di nuovo a un passo da qui, stavolta nel Kosovo, per farci scoprire un mondo e la sua repentina distruzione. Rintracciando però quel filo che continua a legare vecchio e nuovo, passato e futuro, in un flusso ininterrotto di vita.