
Il nome di Nijinsky evoca tutta la leggenda dei Balletti Russi, quella apparizione bruciante e fugace che avrebbe segnato una svolta nel gusto e l'irruzione del moderno nell'arte della danza. Ma Nijinsky fu anche un singolare destino, che ci parla soprattutto dalle pagine di un libro: i suoi travagliati "Diari". Quando Diaghilev lo lanciò, nel 1909, Nijinsky era un giovane allievo della scuola di danza di Pietroburgo. In breve tempo sarebbe diventato uno degli esseri più osannati e idolatrati d'Europa. Ma l'equilibrio del ballerino era fragile: su di lui incombeva la follia, che lo avrebbe presto travolto. E proprio sulla soglia della follia Nijinsky scrisse, nei primi mesi del 1919, questo febbrile diario.
L’alloggio segreto di Anna Frank e la casa di Etty Hillesum si trovano a poca distanza l’uno dall’altra, tra i canali di Amsterdam. È qui che si incrocia la storia di due donne straordinarie, destinate ai campi di concentramento dagli occupanti tedeschi, ma decise a vivere fino in fondo il tempo che è loro concesso.Sia Anna che Etty fissano su un diario la quotidianità della propria esistenza gravata dalla barbarie nazista, ma ancor più delineano il percorso delle loro anime, affinate ogni giorno dalla prova, dal dolore, dal rischio. Scavando nel pozzo delle risorse interiori, preservano uno spazio di libertà e dignità che nessuno può rubare, neppure il più crudele delle SS.Questo libro mette a confronto i diari di Anna ed Etty, seguendo una traiettoria antologica suddivisa per temi.
Le "cronache" sono racconti, racconti fantastici, meditazioni, cronache appunto, di avvenimenti quotidiani. Sono il "vivaio" dell'opera a venire: non per caso Saramago andrà spesso ripetendo: "Là dentro c'è già tutto". E infatti si trovano la statua con gli occhi scavati; il bambino che dipinge la neve; i nonni analfabeti e pastori di porci; la Rivoluzione dei Garofani; l'impacciata foto dei genitori; lui stesso bambino scalzo; la nebbia del mattino; i contadini; il "mare portoghese"; l'arrotino; le persone che poi diventeranno i suoi stessi personaggi... e, naturalmente, Lisbona e il Portogallo.
Le "cronache" sono racconti, racconti fantastici, meditazioni, cronache appunto, di avvenimenti quotidiani. Sono il "vivaio" dell'opera a venire: non per caso Saramago andrà spesso ripetendo: "Là dentro c'è già tutto". E infatti si trovano la statua con gli occhi scavati; il bambino che dipinge la neve; i nonni analfabeti e pastori di porci; la Rivoluzione dei Garofani; l'impacciata foto dei genitori; lui stesso bambino scalzo; la nebbia del mattino; i contadini; il "mare portoghese"; l'arrotino; le persone che poi diventeranno i suoi stessi personaggi... e, naturalmente, Lisbona e il Portogallo.
"Di questo mondo e degli altri" raccoglie gran parte dei testi dei due libri di cronache scritte da José Saramago tra il 1968 e il 1969 per i giornali di Lisbona "A Capital" e "Jornal do Fundão", e riuniti poi nei due volumi citati, pubblicati rispettivamente nel 1971 e nel 1973. Sono settantatré racconti che descrivono quasi tutti episodi di vita reale vissuta da Saramago, in cui il grande scrittore lusitano alterna diversi registri narrativi. I temi spaziano dalle conseguenze del sisma alla sua grande passione per gli animali e per l'ecologia; i nonni analfabeti e pastori di porci; la Rivoluzione dei garofani; l'impacciata foto dei genitori; lui stesso bambino scalzo; la nebbia del mattino; i contadini; il "mare portoghese"; l'arrotino; le persone che poi diventeranno i suoi stessi personaggi... e, naturalmente, Lisbona e il Portogallo. Nei racconti che compongono questo libro c'è il "vivaio" di tutta l'opera a venire del grande premio Nobel portoghese. Era lo stesso Saramago a ripeterlo frequentemente: "Là dentro c'è già tutto".
"Di mamma ce n'è una sola", ma sono tantissime le sue personalità: dalla mamma dolce e protettiva a quella ossessionata dalle pulizie domestiche; dall'angelo del focolare a quella che da quel ruolo vuole fuggire a tutti i costi, e poi ci sono quelle cattivissime... Sono molti e sfaccettati i volti delle madri protagoniste dei racconti che vengono tematicamente organizzati in questo volume: dalla madre nelle fiabe classiche alla mamma immortalata dalle ansie proustiane; dalla mamma chioccia narrata dal russo Tolstoj alla sospettosa madre della pianista del dublinese Joyce; dalle madri raccontate con sensibilità tutta femminile dalle scrittrici (Giara Sereni, Natalia Ginzburg, Silvina Ocampo, Sandra Petrignani e Alice Munro) a quelle descritte da Svevo, De Roberto, Tozzi, Gadda, Piero Chiara; dalla madre canterina di John Fante, che non vuole proprio credere che il figlio sia un ladruncolo, alla Maria Annunziata di Giulio Mozzi che dopo la morte del figlioletto di quattro anni trova nella vita col fantasma del bambino un'immaginaria e verissima felicità terrena.
Il diario di Masha Rolnikaite, cominciato nel 1941, è stato scritto su fogli occasionali, poi a mente, poi sulla iuta strappata ai sacchi di cemento, quindi copiato su minuscoli striscioline nascoste in una bottiglia, e infine trasferito - nella primavera del 1945, di getto - sulla carta. All'inizio Masha è una ragazzina di tredici anni che assiste allo smantellamento della Vilna ebraica (la Gerusalemme d'Europa), e annota tutto, fino a quando la madre, troppo preoccupata delle possibili conseguenze, glielo vieta. Ma Masha sembra non poter smettere di osservare, e di raccontare. Pubblicato per la prima volta nel 1963 nella traduzione lituana procurata dalla stessa autrice, il diario apparve in versione integrale solo nel 2002 in lingua tedesca.
Iran, 1920. Shapur ha dieci anni e sa che quella notte non riuscirà a chiudere occhio. Il giorno seguente, infatti, suo padre lo condurrà con sé nella città di Yadz, la sposa del deserto, nel negozio di dolciumi più rinomato di quelle parti. Shapur sente già in bocca il sapore delicato del caramello e del burro e pensa che non esista felicità più grande di quella che lo aspetta. L’indomani, però, un infausto incidente rovina le sue aspettative. Quando l’ombra di suo padre sfiora inavvertitamente un reale musulmano, l’uomo viene preso a calci, gettato a terra, la polvere a insozzare gli abiti nuovi. Quel giorno la vita di Shapur cambia per sempre: suo padre, incapace di sopportare le umiliazioni inferte alla sua gente, gli zoroastriani, decide di lasciarsi alle spalle la terra che ama e di partire per inseguire un destino migliore.
Il lungo viaggio li conduce a Dahanu, un piccolo villaggio alle porte di Bombay. Padre e figlio non possiedono nulla, ma la scoperta di un frutto dal sapore dolcissimo cambierà la loro vita per sempre.
Ottant’anni più tardi Shapur è diventato ricchissimo, la sua fortuna risiede tutta nella terra che lo ha accolto molto tempo prima, in quel frutto, la sua piantagione è cresciuta e per lui è la figlia prediletta. Da anni nella sua vita non esiste che quello, ma ora è giunto il momento di ritirarsi e, tra tutti i figli e i nipoti, Shapur ha scelto il suo erede, colui che custodirà le sue memorie, la sua storia. Zairos è giovane, viziato, ma Shapur nei suoi occhi ha visto se stesso e vuole donargli ciò che ha imparato.
Quando, però, Zairos si innamora di una schiava warli, una donna indegna, è costretto a mettere in discussione tutto il suo mondo. Attraverso quell’amore proibito scoprirà un segreto riguardante la sua famiglia che il nonno aveva cercato di seppellire più di cinquant’anni prima.
Il romanzo racconta la relazione complessa tra Ruben Olivier, bibliotecario ultrasessantenne ormai in pensione, e Tessa Butler, una giovane neanche trentenne, spigliata e vivace che Ruben prende a vivere con sé. Tessa dichiara profondi sentimenti e movimenta le sue giornate, ma gioca con lui e gli fa intravedere possibilità che non si realizzano. E Ruben vede il suo mondo, un tempo ordinato e pacifico, vacillare a poco a poco.
In questo "Diario palestinese", in cui i protagonisti non hanno nome né volto, la drammatica storia della Palestina rivive nei ricordi di due uomini. Tutto si svolge dentro la notte, in due tempi di narrazione: il presente, rappresentato dal viaggio verso il nulla, e il passato che riaffiora e s'impone. Come perle in una Terra lacerata e contesa, riemergono anche i pochi ricordi sereni d'infanzia e d'amore. L'autore, nato e cresciuto egli stesso in un campo profughi, crea senza alcun compiacimento una perfetta ambientazione storica, sospesa tra realtà e trasfigurazione poetica.
Radko Suban, alter ego dell'autore, torna a Trieste dopo la drammatica esperienza del lager e la degenza nel sanatorio dove l'amore per l'infermiera francese Arlette gli ha fatto riscoprire il gusto per la vita. La città natale, con i suoi caffè che un tempo echeggiavano delle conversazioni di una intellighenzia tra le più brillanti d'Europa, è la stessa di ieri ma Radko fatica a riconoscerla, mentre le grandi potenze ne tengono ancora in sospeso il destino. La comunità slovena è più straziata che mai dopo la costituzione della Jugoslavia che un tempo sembrava incarnare l'anima della resistenza a tutti i fascismi e che già versa, appena nata, nella peggiore caricatura totalitaria. Arlette, che prometteva di aiutarlo con la sua presenza, gli scrive ma si guarda bene dal raggiungerlo. Presto Radko comprende che i rapporti che riesce a intessere sono falsati dalle ideologie, dal calcolo. Ormai dovrà avanzare su un terreno minato, eredità trasmessa dalla guerra alla pace ritrovata, ricavarsi la strada in un labirinto ostile. Imparare di nuovo a orientarsi nella notte: questo è il compito che si trova davanti. Impossibile, forse, il solo però che valga la pena di affrontare se si è uomini.