
Queste "ombre bianche", cioè "storie brevi, divertimenti e dialoghi; infine occasioni, satire scritte negli ultimi quindici anni" che Flaiano radunò nel 1972 nella certezza che la realtà avesse ormai superato la satira, raccontano di «un "io" che detesta l'inesattezza ed è stato sopraffatto dalla menzogna». Vi ritroviamo dunque il Flaiano più risentito, impassibile e feroce, capace come pochi di mostrarci le allucinazioni di cui siamo vittime: e mentre legge e sorride è come se uno spiffero gelido investisse d'improvviso il lettore, perché nei mostri messi in scena riconosce, non solo la realtà che lo circonda, ma a tratti, e con raccapriccio, un po' di se stesso.
Questa "Storia di Troia" è un volgarizzamento in prosa del francese "Roman de Troie" di Benoît de Saint-Maure. Dell'autore di questa traduzione, Binduccio dello Scelto, si sa soltanto che fu senese: ma la sua opera ebbe una fortuna e una diffusione larghissima. Essa divenne così, in secoli in cui i versi in greco di Omero erano ignoti anche a letterati come Dante e Petrarca, uno dei più noti veicoli di diffusione della cultura antica, piegata però al gusto moderno. Il racconto della guerra di Troia occupa solo una ridotta parte del libro, che dedica invece largo spazio, tra una battaglia e l'altra, alle storie d'amore e alle digressioni di carattere mitologico. Il volume è corredato da ampie note di commento e da un glossario dei termini più desueti.
La storia della propria vita raccontata attraverso i letti. Brevi sequenze narrative sull'atto del dormire come momento cui dedichiamo, in automatico e distratti, un terzo della nostra vita. I letti dell'amore da soli, poi quelli dell'amore in due e dell'affrancamento dalla famiglia. I letti degli altri come l'erba più verde; i letti del desiderio, dell'amore consumato e di quello solo sognato. Le abitudini del dormire, la sfortuna dell'insonnia... stralci di un'esistenza per lo più orizzontale.
Il libro è dunque, il ritratto di una terra, dei suoi miti, dei suoi archetipi immutabili, ma nel contempo della sua storia, del suo mutare, del suo divenire nel tempo. Il miele che una volta c'era ed ora è finito, come indica il titolo, sta a significare che la Sardegna non è una terra senza tempo, immobile, ma una realtà nella quale si avverte, nel ritornare, il moto della storia. "Qui nell'isola dei sardi, ogni andare è un ritornare", ma nel ritornare alle cose di un tempo si avverte, pur nella fissità delle sue immagini primitive e originarie, la trasformazione, la diversità, il cambiamento.
La provincia emiliana, nel dopoguerra: un mondo il cui segno più forte e distintivo sembra essere quello di una rissosa e allegra vitalità. Protagonista è una famiglia a metà borghese a metà contadina, che riassume in sé un po' tutti gli umori, i sentimenti, i rancori, le contraddizioni di una società provinciale, in anni piuttosto cruciali. C'è la nonna che è rimasta monarchica e fascista; una madre attenta alla posizione sociale della famiglia; un padre (soprattutto un padre) che la coerenza politica porterà a fare scelte spregiudicate e generose. E c'è il figlio che vive tutto questo periodo di tumultuose passioni da bambino, e che tutto guarda, appunto, con gli occhi avidi e incantati dell'infanzia.

