
"All'Inferno fa freddo. Racconti dal carcere" è un romanzo corale dove gli autori coincidono con i protagonisti delle tante storie che in comune hanno solo il luogo dove a turno si muovono: l'inferno. Il girone è quello dei condannati. Uomini e donne che provengono da mondi diversi, a volte molto lontani. Carcerati che narrano squarci di vite consumate nel freddo di una cella, la melma prima di finire dentro, il sogno di un riscatto. Nessuna retorica, né autocommiserazione. Piuttosto, parole taglienti che non risparmiano al lettore la violenza e l'asprezza della prigionia, di vicende criminali. Ma anche di destini dannatamente crudeli, come quelli di alcuni adolescenti, giovani fiori del male. Il camorrista, la prostituta, il rapinatore, lo spacciatore, l'assassino, il sequestratore, il tossico, il violento, il ladro, il terrorista, il ricattatore... E poi il profugo in balia degli scafisti, l'imprenditore fallito che cambia pelle, l'abusato che diverrà colui che abusa. C'è chi non ce l'ha fatta, chi è diventato pazzo, chi più cattivo di quando era entrato. Per qualcuno, il carcere è diventato una casa, oppure luogo di espiazione. E c'è anche chi ha riassaporato la libertà e, come colto da capogiro, è ricaduto all'inferno. Ma un giorno, "la neve che non ti aspetti" può farti vivere anche dietro a quelle sbarre una giornata insolita. Venticinque grandi scrittori ed artisti introducono, ciascuno, ogni storia...
C’è una linea immaginaria eppure realissima, una ferita non chiusa, un luogo di tutti e di nessuno di cui ognuno, invisibilmente, è parte: è la frontiera che separa e insieme unisce il Nord del mondo, democratico, liberale e civilizzato, e il Sud, povero, morso dalla guerra, arretrato e antidemocratico. È sul margine di questa frontiera che si gioca il Grande gioco del mondo contemporaneo. Questa soglia è inafferrabile, indefinibile, non-materiale: la scrittura vi si avvicina per approssimazioni, tentativi, muovendosi nell’inesplorato, là dove si consumano le migrazioni e i respingimenti, là dove si combatte per vivere o per morire. Leogrande ci porta a bordo delle navi dell’operazione Mare Nostrum e pesca le parole dai fondali marini in cui stanno incastrate e nascoste. Ci porta a conoscere trafficanti e baby-scafisti, insieme alle storie dei sopravvissuti ai naufragi del Mediterraneo al largo di Lampedusa; ricostruisce la storia degli eritrei, popolo tra i popoli forzati alla migrazione da una feroce dittatura, causata anche dal colonialismo italiano; ci racconta l’altra frontiera, quella greca, quella di Alba Dorata e di Patrasso, e poi l’altra ancora, quella dei Balcani; ci introduce in una Libia esplosa e devastata, ci fa entrare dentro i Cie italiani e i loro soprusi, nella violenza della periferia romana e in quella nascosta nelle nostre anime: così si dà parola all’innominabile buco nero in cui ogni giorno sprofondano il diritto comunitario e le nostre coscienze. Quanta sofferenza. Quanto caos. Quanta indifferenza. Da qualche parte nel futuro, i nostri discendenti si chiederanno come abbiamo potuto lasciare che tutto ciò accadesse. Quella parola indica una linea lunga chilometri e spessa anni. Un solco che attraversa la materia e il tempo, le notti e i giorni, le generazioni e le stesse voci che ne parlano, si inseguono, si accavallano, si contraddicono, si comprimono, si dilatano. È la frontiera.
I film di Hollywood raccontano le vicende degli indiani sconfitti. Ma ignorano la storia dell'unica tribù che non si arrese mai: i Seminole, una società matriarcale e pacifica, nemica della schiavitù, con protagonisti indimenticabili. Come John Horse, un nero scatenato capace di truffare i bianchi e di conquistare alla causa del suo popolo gli schiavi delle piantagioni facendo comizi-spettacolo. O come Mae Tiger, condottiera meticcia che organizzerà una decisa ed energica azione culturale. O James Billie, veterano seminole del Vietnam che dovrà affrontare, al ritorno in patria, il nemico più insidioso, la droga, e per difendere la sua gente sbaraglierà le truppe del narcotraffico. Un'incredibile storia di resistenza umana e comunitaria lunga secoli, dai primi insediamenti in Florida allo sbarco dei conquistadores spagnoli, alle battaglie contro le truppe inglesi e poi statunitensi, scritta come un romanzo da un grande ribelle del nostro tempo.
Non erano mercenari, né ladroni, coloro che nel decennio dal 1860 al 1870 impugnarono le armi per difendere Pio IX. Erano principi, conti, marchesi, duchi, baroni. Provenivano dalla Francia e dall'Austria, dalla Germania e dalla Spagna. Li univa un forte sentimento cattolico e una discreta avversione nei confronti della nuova Italia, secondo loro in mano alla massoneria. Poi c'erano soldati di ventura olandesi e tedeschi attratti dal discreto soldo, irlandesi venuti a Roma in odio all'Inghilterra protestante, canadesi obbligati dai vescovi. Dal 1860 al 1870 costituirono il nucleo principale dell'esercito del Papa. E nell'anno di porta Pia ne arrivarono un migliaio sicuri di ripetere le prodezze di Mentana. A loro si unirono tanti emiliani, toscani, marchigiani, laziali cementati da un odio profondo per l'unità d'Italia e convinti che l'unica forma di Paese accettabile potesse coagularsi sotto l'egida del pontefice.
Ernesto Ragazzoni avrebbe voluto che sulla propria tomba fosse scritto: "D'essere stato vivo non gli importa". Poeta dei buchi nella sabbia e delle "pagine invisibilissime", dell'arte giullaresca realizzata nella vita fuori dal testo, è in un certo senso il testimone di questo "dramma giocoso in tre atti". Come grottesco contrappasso, accanto a lui, bohémien anarchicheggiante e antimilitarista, agirà come in duetto un rigido ufficiale dei regi carabinieri. Siamo nel 1901, tempo di attentati (il re Umberto è stato appena ucciso), e a Pisa, terra di anarchia. Al Teatro Nuovo si aspetta il nuovo re, per una rappresentazione della Tasca di Giacomo Puccini. Le autorità sono in ansia: il tenore della compagnia "Arcadia Nomade", i cavatori di marmo carrarini convocati per alcuni lavori, gli stessi tecnici de teatro, sono tutti internazionalisti e quindi sospetti. E nell'ottusa paranoia dei tutori dell'ordine, perfino il compositore, il grande Puccini, è da temere tra i sovversivi. A scombinare ancor di più le carte è l'intervento di quello stravagante di Ragazzoni, redattore del giornale "La Stampa". Fatalmente l'omicidio avviene, proprio sul palcoscenico al culmine del melodramma, e non resta che scoprire se sia un complotto reazionario o un atto dimostrativo di rivoluzionari. O un banale assassinio...
Genitori che faticano a diventare adulti, figli che faticano a crescere. È la famiglia adolescente. Nessuno vuole emanciparsi, nessuno sembra volerlo davvero, perché la famiglia adolescente ha natura vischiosa e il distacco è molto più complesso che nel passato. Si mangia tutti assieme, insieme si guarda la tv. I nostri figli ci seguono quando viaggiamo, quando si va fuori con gli amici. Discutiamo di fronte a loro di quasi ogni argomento e, talvolta, li coinvolgiamo nei nostri contrasti coniugali. Condividiamo con loro i modi di vestire, i gusti, i comportamenti. Li difendiamo con i professori, parliamo con loro delle prime esperienze amorose e sessuali. A prima vista sembra una condizione ideale. Ma siamo proprio sicuri che sia così? Uno dei più importanti psicanalisti italiani racconta i nuovi rapporti tra genitori e figli.
Ci sono sogni capaci di metterci a nudo. Sono schegge impazzite, che ci svelano una realtà a cui è impossibile sottrarsi. Lo capisce appena apre gli occhi, il maestro Nani Sapienza: la bambina che lo ha visitato nel sonno non gli è apparsa per caso. Camminava nella nebbia con un’andatura da papera, come la sua Martina. Poi si è girata a mostrargli il viso ed è svanita, un cappottino rosso inghiottito da un vortice di uccelli bianchi. Ma non era, ne è certo, sua figlia, portata via anni prima da una malattia crudele e oggi ferita ancora viva sulla sua pelle di padre. E quando quella mattina la radio annuncia la scomparsa della piccola Lucia, uscita di casa con un cappotto rosso e mai più rientrata, Nani si convince di aver visto in sogno proprio lei. Le coincidenze non esistono, e in un attimo si fanno prova, indizio. È così che Nani contagia l’intera cittadina di S., immobile provincia italiana, con la sua ossessione per Lucia. E per primi i suoi alunni, una quarta elementare mai sazia dei racconti meravigliosi del maestro: è con la seduzione delle storie, motore del suo insegnamento, che accende la fantasia dei ragazzi e li porta a ragionare come e meglio dei grandi. Perché Nani sa essere insieme maestro e padre, e la ricerca di Lucia diventa presto una ricerca di sé, che lo costringerà a ridisegnare i confini di un passato incapace di lasciarsi dimenticare. Con questo romanzo potente, illuminato per la prima volta da un’intensa voce maschile, Dacia Maraini ci guida al cuore di una paternità negata, scoprendo i chiaroscuri di un sentimento che non ha mai smesso di essere una terra selvaggia e inesplorata.
Manca ancora un mese a Natale, ma a Procolo Jovine, titolare del miglior ristorante di Bauci, piace fare le cose per bene e sta già preparando un menù coi fiocchi. Del resto, il suo pranzo del 25 è qualcosa di leggendario, un incantesimo di sapori e profumi capace di far tornare gli adulti bambini e riportarli nelle cucine delle loro nonne. I suoi segreti? Il rispetto rigoroso della tradizione e una ricerca maniacale degli ingredienti più genuini. Perciò, in questo meraviglioso paese della Costiera amalfitana, la sua autorità culinaria è indiscussa. Una mattina però, dall’altro lato della piazza, dove c’era una profumeria, Procolo nota una nuova insegna – “Experience” – che promette “percorsi emozionali in cucina”. Una fitta allo stomaco lo avvisa che qualcosa non va. E quel qualcosa prende presto il volto di Jacopo Taddei, il paladino della cucina molecolare, il principe della mondanità in tv, “colui il quale ha trasformato le ostriche in nuvole, scomposto i prodotti in particelle, e inventato il cappuccino di baccalà”. Un uomo bellissimo e, ça va sans dire, il sogno proibito di ogni donna. Per Procolo il suo arrivo è un oltraggio, un insulto, una sfida. Di più: un atto di guerra. Con la sapienza di uno chef stellato, Franco Di Mare mette in scena una brigata di personaggi irresistibili le cui bassezze e genialità sono quelle di tutti noi. Perché la cucina è vita, e la vita è fatta di gioie, grattacapi, rivalità e grandi amori.
Il senatore Publio Aurelio Stazio ha appena deciso di mettere la testa a partito rinunciando alle sue numerose eccentricità per mostrarsi ligio alle convenzioni - o almeno per fingersi tale - quando l'Urbe viene insanguinata da una serie di omicidi esplicitamente dedicati a lui, le cui vittime sono tutte donne con cui in passato era stato in rapporti intimi. Non volendo ammettere alcuna responsabilità nella tragica fine delle donne uccise - diversissime per aspetto, carattere, ceto sociale e stile di vita - il patrizio reagisce cercando ostinatamente un legame capace di unire le vittime al di là della sua persona, scavando a fondo nel passato di ciascuna, fino a portare alla luce molti inconfessabili e antichi segreti. Ma intanto i suoi avversari approfittano della situazione e della malattia del suo vecchio amico Claudio, ora imperatore di Roma, per estrometterlo dal Senato, accusarlo dei delitti e farlo dichiarare con false prove nemico di Roma, aspettandosi che si tolga di mezzo da solo dandosi dignitosamente la morte. Ma Aurelio è risoluto a vendere cara la pelle...
Da dietro il crinale della collina si vede arrivare il piccolo corteo, preceduto dal suonatore di fisarmonica e dal mescitore di vino. Lo sposo e la sposa sono in cammino dall'alba, raggiungeranno la chiesa non proprio freschissimi e poi, dopo la cerimonia, riprenderanno la strada insieme agli altri, di nuovo per mulattiere, pronti a godersi un pranzo e una cena con l'appetito rinvigorito dalla scarpinata. Un matrimonio oggi inimmaginabile, che era perfettamente normale quando il piccolo Francesco Guccini vi prendeva parte, portando in dono agli sposi un dono veramente prezioso... E ancora: il funerale del mitico Gigi dell'Orbo, il sarto sempre ubriaco, il tenore lirico appassionato di ciclismo, la contadina poetessa, l'uomo che era convinto di dover reggere il cielo e tante altre "istantanee", colme di ironia e appena velate di malinconia, di un tempo andato che non ritornerà. Qualche volta, tra queste pagine, la pellicola della memoria dell'autore resta impressionata da figure sfuggenti, sornione come gatti, dolci come il ricordo di chi se n'è andato, o forse un po' beffarde come fantasmi... Questi racconti sono un viaggio attraverso il tempo e i registri narrativi, e riportano in vita per noi esistenze minime, destinate a essere dimenticate se non giungessero le parole a rievocarle.
Brucia la città, bruciano le passioni. Nella notte di Roma, non c'è misericordia per nessuno. Dove è Suburra, comincia la notte di Roma. Il giovane Sebastiano ci prova, a reggere le fila di un regno del crimine. Ma se il re è lontano, gli incidenti capitano. E il Samurai è molto lontano. Chiara ci prova, a ben governare. Ma se il cuore è troppo scoperto, magari ti innamori di chi nemmeno vorresti guardare in faccia. E gli incidenti capitano. Adriano Polimeni ci prova, con un monsignore di buona volontà, a guardare in faccia il pericolo. Troppo da vicino, forse. Si accende la guerra che tutti vedono, continua quella che non vede nessuno, la più feroce. La lotta stavolta è per salvare l'anima.
Nuova edizione del best seller di Eugenio Corti.
Uscito nel 1983 Il cavallo rosso si è confermato col succedersi delle edizioni e delle traduzioni (spagnolo, francese, americano, lituano, romeno; ultimamente in giapponese) come caso letterario.
Le sue vicende romanzesche e insieme vere (ambientate in Brianza, in altri luoghi d'Italia e all'estero, soprattutto in Russia e in Germania) si intrecciano con gli avvenimenti che hanno sconvolto il mondo tra il 1940 e il 1974.
Catturato dalla trama densissima, il lettore compie l'esperienza straordinaria consentita dalla grande letteratura: si accorge di diventare più consapevole del perché della vita e del significato del mondo.