
Sono i giorni del Covid. Per la prima volta nei loro ottant'anni suonati, i Vecchietti del BarLume si sentono tali. Sono isolati e dubitano di avere ancora un futuro. Il tempo gli svanisce spulciando «ogni tipo di statistica sul virus esistente al mondo». Il bancone di Massimo il Barrista, fino a ieri cabina della macchina del pettegolezzo investigativo, è vuoto di chiacchiere. Persino la mamma di Massimo, la Gigina, è ritornata a casa, un piccolo tormento in più nelle giornate di Massimo, e una voce spiritosa che si aggiunge al gruppo toscaneggiante; ingegnere geniale in giro per il mondo, con un intuito più acuto perfino del brillante figlio. Ma provvidenzialmente l'occasione «per non farsi i fatti loro» arriva. Alice, la vicequestora fidanzata del Barrista, bloccata in Calabria per un corso di aggiornamento per poliziotti, commette l'imprudenza di chiedere un'informazione innocua a uno dei vecchietti: quanto basta per insospettire la maldicenza e così scatenare i segugi venerandi. In Calabria c'è stata una strana doppia morte di due anziani coniugi. Lui, proprietario di una catena di pizzerie, è stato fulminato da una fucilata mentre era in coda al supermercato; forse criminalità organizzata. La moglie è morta per una ingestione di botulino. Anche se condannati a comunicare via computer e telefonini, per i vecchietti le coincidenze continuano a non esistere. Ritrovando il metodo confusionario che li ispira, il turpiloquio creativo, il dialogo immaginosamente sferzante, risolvono in smart working un intrigo a più piani. Ma usando anche tutta la pietà e la solidarietà sociale, che fu a lungo l'idea-forza di quella generazione. In questa nuova commedia gialla di Marco Malvaldi, ambientata in pieno lockdown, i Vecchietti del BarLume sono ancor più protagonisti e sottili risolutori, con tutte le balordaggini che si trascinano a ogni passo. E il loro sguardo, pur appannato, è più che mai penetrante nelle ingiustizie sociali e nelle diseguaglianze messe in risalto dal momento tremendo. Ma sarà Massimo, come al solito, a mettere la parola fine a tutta l'intricata indagine, con tanta capacità di entrare in sintonia col prossimo, e un'arguzia in più che sorprende tutti. Così, l'autore, avventurosamente, rappresenta in trasparenza la condizione di tutti gli anziani e ricorda la necessità dei valori che li animano.
Alla Sistemi Integrati - l'agenzia investigativa che Carlo Monterossi ha fondato per noia, per sfuggire alla tivù spazzatura che l'ha reso ricco, per «infilarsi nelle vite degli altri» - si presenta un ragazzo molto perbene, Stefano Dessì. Vuole che sia ritrovata una persona scomparsa, «la mia donna», dice. Una piccola questione di cuore, pensano Carlo e i suoi soci, il ruvido Oscar Falcone e l'ex poliziotta Cirrielli. Il ragazzo è molto giovane, ha solo ventidue anni, e il suo amore scomparso sfiora i quaranta, è rumena, bellissima, elegante, affermata, enigmatica. E nei guai. Che affari ha in corso Ana con un boss in giacca e cravatta, un re della zona grigia che lega denaro sporco e affari ufficialmente puliti? Perché è costretta a nascondersi? E soprattutto che cosa ha, o che cosa sa, Ana, da «barattare in cambio della sua vita»? Giorni dopo viene ucciso Federico Bastiani, «il nuovo fenomeno della finanza», giovane, rampante astro nascente del business, soldi e jet set. Lo trovano «con un buco in testa» in un piccolo appartamento affittato a giornata. Indagano, in modo semi-ufficiale, due poliziotti: Ghezzi, che si muove morbido come un gatto, e il ringhiante Carella. Scoprono in fretta che dietro la patina di brillante mondanità si nasconde molto altro, ma capiscono anche che la soluzione non è soltanto lì. A Ghezzi e Carella il delitto sembra «una cosa mezzo e mezzo», forse gli affari, certo, ma anche qualcosa di personale. Le due indagini finiscono per incrociarsi, Carlo Monterossi, Oscar Falcone, la Cirrielli, Ghezzi e Carella, formano un unico gruppo, tra battibecchi, divergenze e diverse visioni del mondo, tutti con le vite private perennemente in zona sismica, e tutti sorpresi di trovarsi a riflettere - ognuno a suo modo - su quella che Carlo chiama con un ghigno sarcastico «l'annosa questione dell'amore». A ogni romanzo della serie di Carlo Monterossi, la prosa rapida e precisa di Alessandro Robecchi (che sembra battere allo stesso ritmo del pensiero di chi lo legge) ci trascina dentro Milano, la grande protagonista delle sue storie. A volte amabile, a volte odiosa, «dinamica e turistica», città di grattacieli e periferie decorose con «un prato davanti, il centro commerciale a due passi, che volete di più dalla vita?», di milionari, di «ceto medio che scivola in basso» e di chi «si ammazza di lavoro». È la Milano Nera dello Scerbanenco del nostro tempo.
Gli improbabili investigatori isolani immaginati da Gaetano Savatteri sempre dentro situazioni strane e incontri un po' paradossali eppure non insoliti in Sicilia, scivolano nella trama gialla quasi involontariamente, ma sempre spinti dalla curiosità di entrare nei segreti più profondi della loro terra. Al di là dell'indagine il vero scopo del raccontare è quello di disegnare una giostra di caratteri umani nella loro irripetibile originalità. E a sostegno di questo osservare, indagare e rappresentare la vita, Savatteri gioca la carta dell'ironia, campione senza pari di un sarcasmo che usa come antidoto contro i luoghi comuni sulla Sicilia e la retorica dell'isola. Saverio Lamanna, giornalista disoccupato e freddurista incallito, e Peppe Piccionello, siciliano di scoglio, quello di Màkari, infradito, mutande e maglietta con gli slogan made in Sicily. Accanto ai due, chiude un triangolo di segugi ficcanaso, Suleima, la cameriera di Marilù proveniente da Bassano del Grappa, fiamma di Saverio e ora tornata al Nord a lavorare come architetto. Investigazione dopo investigazione, Saverio Peppe e Suleima, con passo farsesco, risalgono il filo di quattro casi precedentemente usciti nelle antologie a tema e che qui, riuniti sotto la stessa copertina, si leggono quasi come un unico romanzo in cui si ride senza sosta, ci si commuove talvolta, e sempre sotto il velo comico va in scena mascherata la miseria umana.
Questo volume comprende i racconti inediti "La prova" e "La guerra privata di Samuele, detto Leli". Le altre storie sono state pubblicate in tempi diversi: "L'uomo è forte" in Articolo 1. "Racconti sul lavoro", Sellerio, 2009; "I quattro Natali di Tridicino" in Storie di Natale, Sellerio, 2016; "La tripla vita di Michele Sparacino" in allegato al «Corriere della Sera», 2008 e Rizzoli, 2009; "La targa" in allegato al «Corriere della Sera», 2011 e Rizzoli, 2015. Una rete di storie, ovvero una proliferazione di intrecci sorprendenti, è questo libro di racconti. La consueta concentrazione espressiva, la scrittura scenica di geniale lucidità, e il talento umoristico, consentono a Camilleri di tradurre con spigliatezza il ludico nel satirico, facendo giocare il tragico con il comico: senza però escludere momenti d'incanti emotivi, come nel racconto "I quattro Natali di Tridicino". La raccolta si apre con una «commedia» di equivoci e tradimenti, dai guizzi sornionamente maliziosi. Si chiude con un racconto di mare di potente nervatura verghiana, calato in un mondo soffuso di antica e dolorosa saggezza: «La vita è come la risacca: un jorno porta a riva un filo d'alga e il jorno appresso se lo ripiglia. [...] Ora che aviva portato 'sto gran rigalo, cosa si sarebbi ripigliata in cangio l'onda di risacca?». Nella montatura centrale, tra varie coloriture sarcastiche, si ingaglioffa nell'abnorme e nell'irragionevole. Ora è la vita da cane di un poveruomo, che si araldizza nel gesto finale, nella desolazione estrema di una autoironia catartica sorvegliata dalla moglie: «C'è luna piena, fa 'na luci che pare jorno. E allura vidi a sò marito, 'n mezzo allo spiazzo, mittuto a quattro zampi, che abbaia alla luna. Come un cani. "Sfogati, marito mè, sfogati" pensa. E torna a corcarisi». Ora è la stolidità ilarotragica del fascismo, in due episodi: sull'impostura di un falso eroe patriottico, al quale non si sa come dedicare una targa di pelosa commemorazione; e sulla discriminazione razziale, in un ginnasio, nei confronti di uno studente ebreo che sa però come boicottare e sbeffeggiare, fino alla allegra e fracassosa rivalsa, la persecuzione quotidiana di professori istupiditi dal regime. Si arriva al grottesco di un eccesso di esistenza. All'ignaro Michele Sparacino vengono cucite addosso più vite fasulle. I giornali lo raccontano come «sovversivo», «sobillatore», «agitatore» e infine «disfattista» durante la guerra. È sempre «scangiato per un altro». Ed è ricercato da tutte le autorità. Il vero Michele Sparacino morirà al fronte. Gli verrà dedicata, con tanti onori, una tomba monumentale al milite ignoto. E verrà «scangiato» anche da morto. Un giornalista scriverà infatti: «Avremmo voluto avere oggi davanti a noi i traditori, i vili, i rinnegati, i disertori come Michele Sparacino, per costringerli a inginocchiarsi davanti al sacro sacello...».
Vi siete mai chiesti come fosse la realtà prima della creazione universale, dato che Dio - ovviamente - esisteva già pure allora? L'autore racconta una storia indipendente da teorie religiose codificate, e spiega in forma di romanzo cosa accadde veramente nel tempo antecedente la Genesi e la nascita dell'Universo. La verità su cosa "fisicamente" siano il Paradiso, l'Universo e le sue particelle chiamate "tachioni" è raccontata in una lunga fiaba per adulti costruita all'interno di una "realtà quantistica", dove "tempo" e "spazio" non sono quelli che si conoscono. L'Umanità prega Dio sin dall'alba dei tempi: è arrivato il momento di capirne la vera ragione, tramite le rivelazioni di questo romanzo: non spaventatevi se il Paradiso esiste davvero.
Alberto Boatto, saggista e storico dell'arte, firma questo ritratto di Giacomo Casanova, l'avventuriero, seduttore, giocatore di professione, baro, viaggiatore, scrittore, traduttore e spia. La vita di Casanova non può essere però scissa da quella di Venezia: la città in cui nacque, in cui visse, che lo fece imprigionare con l'accusa di ateismo, libertinaggio, e pratiche magiche. E anche quando sarà lontano dalla città lagunare Casanova ritornerà lì con la mente, rendendo Venezia la città della memoria. Con una nota di Massimo Cacciari.
Quando una madre e un padre aspettano l'arrivo di un bambino si pongono molti interrogativi. Le dieci lettere che formano questo libro aiutano a trovare risposte ad alcune delle domande più importanti di chi si prepara a essere padre, madre e anche educatore. La loro originalità sta nel fatto che non sono i soliti consigli per futuri genitori, asettiche raccomandazioni e istruzioni per l'uso calate dall'alto della saggezza di qualche esperto. Irene, voce narrante del libro, vive l'attesa del suo primo bambino lasciandosi andare al pieno coinvolgimento di cuore e sentimenti. Così le lettere che scrive mese dopo mese al figlio che nascerà parlano ai tanti mamma e papà 'in divenire' che, come lei, devono imparare poco per volta a guidare e farsi guidare dall'amore e dall'esperienza.
Nella pozza insanguinata del Mar Egeo, dove si incontrano le navi achee e Troia va in fiamme, dove i pirati cretesi vanno saccheggiando le coste, uomini e dèi sono morti, tutti morti. C'è un unico sopravvissuto: Ulisse. Ma non si chiama Ulisse; si chiama Nessuno. Ha il cranio rasato, un corpo che trabocca, il volto coperto da una maschera di gesso. Porta gli occhiali da sole, la pistola nella cintura, una triplice cartucciera di traverso su petto e pancia sformata. Assediato da una schiera di fantasmi, temuto e adorato, si agita per le stanze della sua reggia délabrée, nelle valli nude di un'Itaca sottratta alla levigatezza del mito e restituita al pulsare disordinato della vita: Nessuno la spazza, da capo a fondo, e ricorda. Ricorda la carne di Nausica, la sua carne pallida e virginale, la carne che non ha mai potuto possedere e che lo ossessiona, le braccia di panna, le cosce di seta, gli occhi blu e verdi e neri insieme; ricorda gli eroi della guerra e i suoi ignavi, l'inganno del cavallo e il massacro notturno, le rotondità di Circe, Calipso dalla pelle liscia, le sirene pennute; ricorda una moglie e un figlio che lo hanno tradito e abbandonato. Ricorda e ricordando racconta: cinico e sboccato, non si arresta davanti ad alcuna brutalità, mai pago di stupri, stragi e razzie. Vestito ora come un esploratore coloniale e ora come un gentiluomo russo, essere enorme al di là del Tempo e della Storia, Nessuno passa i giorni crapulando ed emettendo leggi che subito abroga, incurante dei suoi sudditi...
"Il bosco di nessuno di voi" non è propriamente un luogo ma un'altra parte che ciascuno può interpretare e sentire come crede. Il libro - inconcluso per definizione perché il girotondo degli animali che lo popolano è infinito racconta di un incanto senza tempo dove lo spirito di osservazione sulla natura si mescola, nell'autore e nel lettore, con la voglia e la determinazione di dimenticare la civiltà, di buttar via l'orologio e di qui, in definitiva, tutto il resto. Un gatto che gira randagio per il bosco, un pipistrello che si cruccia di non saper cantare, un cuculo che quel problema non ha, un riccio che non vuole esserlo, un'upupa tutta di un pezzo, un frassino che litiga con un faggio e l'immancabile ghiro innamorato. Così le scene del bosco di Federico Pagliai non hanno memoria né coscienza della nostra realtà, ma più entriamo in quelle maglie invisibili più ci diventa insopportabile la vita che siamo costretti o abbiamo scelto di vivere. Il paese Italia, corrotto, indebitato, offeso dal cemento ci pare una mostruosità rispetto a quel mondo antico che ci raccontano le stagioni, le montagne, le piante e la vita nei campi e l'allevamento del bestiame. Pagliai è un uomo che dedica tutta la sua vita alla montagna e ce la riporta con la sua dolcezza e la sua crudeltà. Così il "mondo che gira" male viene sommerso dalle voci degli animali, da miliardi di alberi che respirano e, finalmente, dalla libertà.
Un uomo riceve l'incarico di andare alla Casa dei Matti, padiglione I, per far compagnia ai degenti. Ed ecco spalancargli di fronte il mondo dell'ex manicomio, diverso da quello riformato coraggiosamente da Franco Basaglia, ma al tempo stesso sempre uguale, come un mito che non tramonta. Qui tutti hanno un'identità e una storia, anche se in frantumi. Tra l'odore del disinfettante e quello degli alimenti si aggirano Amalia, che si crede nobile, Anita, la "donna down" sempre col cappotto addosso, Maria che non fa che cantare, Olga, senza denti e con la mania religiosa, Berto, fissato con le parole crociate. E poi Cecilia: una donna molto anziana, di novantasei anni, di cui molti, troppi, trascorsi in manicomio, non si sa neppure perché. Cecilia è litigiosa, solitaria, bizzarra. Ma forse ha solo bisogno che qualcuno riconosca che lei "è". Allora l'io narrante le offre una cioccolata. Lei si scioglie, cominciano a parlare. Gli racconta la sua vita, di quando faceva la commessa in una pasticceria e guadagnava settanta centesimi alla settimana. Altri tempi: ora lei, come gli altri, non sa più cosa accade nel mondo. E per quanti sforzi si facciano, non si può più tornare indietro, recuperare il tempo ormai trascorso. Si può solo ballare: un ballo reale e metaforico insieme, perché sulle note scorrono come in un sogno gli anni non vissuti da questi degenti, Cecilia compresa: gli anni perduti.
Nella vita piccoloborghese e addormentata di Gino Bonazza, tra la moglie poco amata e una figlia a lui indifferente, compare improvvisamente Giuliana, una fiamma di gioventù. Giuliana, un’attivista di sinistra, bella come il sole, getta lo scompiglio nella vita di Gino, il quale, abbagliato da lei, non si preoccupa di raccogliere informazioni su cosa faccia per vivere. Lei, dopo le notti di folle amore, esce di casa al mattino presto per rientrare tardi, mentre lui le presta soldi a perdere. Solo quando Gino finisce in galera inizia a capire di essere entrato in una spirale senza uscita. A nulla varranno i tentativi di Giuliana, stanca di essere legata a lui, di lasciarlo. Gino la ama e sarà con lei per sempre. Costi quel che costi. Pino Roveredo torna con un romanzo sentimentale che è anche un noir all’ultimo respiro e pervaso di sottile ironia. Nel suo stile caldo, avvolgente, intessuto di metafore mirabolanti che lo ha fatto amare dai lettori e dalla critica, La melodia del corvo è la canzone di un amore folle.

