
Luisito Bianchi scrive questo romanzo negli anni Settanta, rappresentando con i mezzi della letteratura un'esperienza per lui profonda e cruciale, seppur vissuta in giovanissima età: la Resistenza italiana. Nel 1989 - dopo una profonda revisione da parte dell'autore - gli stessi amici ne curano la prima pubblicazione, autofinanziata e ora esaurita. Il libro inizia così a diffondersi "da mano a mano, da amicizia ad amicizia", secondo le stesse parole dell'autore. L'editore Sironi, imbattutosi come tanti altri in quest'opera e convinto della sua forza, la propone ora al grande pubblico.
Un’opera inedita, per incontrare ancora una volta l’autore della Messa dell’uomo disarmato in tutta la potenza della sua scrittura.
Un romanzo di formazione ambientato nell’Italia fascista a ridosso della guerra. La storia di una vocazione drammaticamente intrecciata agli eventi della Resistenza.
«Un po’ Meneghello, un po’ Fenoglio, un po’ Bacchelli, un po’ Attilio Bertolucci, ma soprattutto la voce di un combattente felice e disarmato di cui ci ricorderemo.»
Paolo Di Stefano, Corriere della sera
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Il seminarista protagonista di questo romanzo muove dall’ingenuità dell’infanzia alla drammaticità dell’adolescenza in uno dei periodi più tragici della storia del nostro Paese: dalla vigilia della guerra fino alla Liberazione dai nazifascisti. Sullo sfondo di un’Italia contadina, vediamo maturare la sua vocazione, tormentata dai dubbi che lo spingerebbero verso scelte più immediate e radicali. Luisito Bianchi narra una storia sincera e commovente – i riferimenti autobiografici sono molto presenti – in cui non mancano momenti di grande levità, specialmente nel racconto della vita in seminario vissuta dal seminarista bambino.
Il seminarista pone in nuova luce molti degli interrogativi che hanno innervato il capolavoro La messa dell’uomo disarmato: il fuoco del racconto è il dilemma tra la fedeltà a una vocazione puramente spirituale e il bisogno di partecipare all’evento storico della Resistenza dalla parte dei “giusti”. Senza ideologia ma senza ambiguità, secondo una “regola” che ha improntato l’esistenza stessa dell’autore.
Fino all'adolescenza il protagonista ha avuto dal padre, oltre a un affetto smisurato, tutto ciò che può rendere felice un bambino: l'amicizia complice, favole fantasiose, sogni condivisi. Un giorno d'aprile del 1945, poco prima della fine della guerra, l'uomo scompare. Il figlio, disperato, lo piange per morto finché scopre una realtà meno tragica ma più devastante sul piano personale: il padre è fuggito in America con l'amante. Da quel momento il ragazzo cerca di sopprimere dentro di sé ogni traccia dell'idolo caduto, ma i ricordi lo ossessionano. Niente può aiutarlo, nemmeno l'amore e un matrimonio felice coronato dall'arrivo di un figlio: anzi, proprio il suo bambino, che porta indelebili, nell'aspetto fisico e nei comportamenti, le impronte genetiche del nonno scomparso, lo induce a mettersi sulle tracce del padre. La ricerca si protrae per lunghi anni, fino all'inattesa e dolorosa conclusione, legata all'indagine su un inquietante episodio di guerra partigiana e all'incontro con una donna indomabile, proprietaria di un vecchio albergo in riva al Po: La Dogana del Duca. Giuseppe Bianchetti, nato nel 1928, vive e lavora a Milano. Ha insegnato per decenni all'università e da alcuni anni ha lasciato la professione per dedicarsi a varie attività, soprattutto alla letteratura.
Felix è un ragazzo molto particolare: dopo aver passato l'infanzia chiuso in un enigmatico mutismo, indifferente ai tentativi dei genitori di scuoterlo dalla sua indifferenza ma capace di stupirli con improvvisi guizzi di genialità, è rimasto taciturno e riservatissimo. Se si eccettua la passione per i dolci, Felix non ha niente in comune con i suoi coetanei. Possiede inoltre un insolito talento che si compiace di coltivare in solitudine: una memoria prodigiosa che gli permette di catalogare in maniera precisissima - e all'occorrenza rievocare - milioni di ricordi. È il suo insegnante di filosofia, il professor Kobbe, a scoprire questa capacità e, affascinato, lo aiuta a coltivarla e a perfezionarla nella convinzione di poter fare di lui un grande filosofo. Ben presto, però, si rende conto delle potenzialità di questa dote se applicata alla politica e capisce che, se opportunamente guidato, Felix può diventare un grande statista. All'università Felix incontra un enigmatico insegnante nonché uomo politico, il Maestro, che - conquistato dalle straordinarie abilità di Felix e consapevole di poterle usare a proprio vantaggio - lo introduce nel mondo della politica. Felix si rivela un collaboratore preziosissimo. Soltanto la sua bizzarria rischia di ritorcersi contro il Maestro, divenuto intanto - dopo aver vinto trionfalmente le ultime elezioni - Presidente. Intanto, l'unanimità di consensi che il Presidente - ormai Gran Presidente - ha saputo creare intorno a sé si frantuma e a Felix tocca decidere se prendere le redini del comando o tornare da dove è venuto.
La consapevolezza che "i rapporti tra le arti devono essere casti", non impedí a Francesco Biamonti di rincorrere in pitture, poesie e prose altrui le tracce di comuni demoni artistici. In opere nelle quali il paesaggio si fa metafora dell'animo umano; con forme, colori e parole che si caricano d'essere per quanto sono spogli. In queste pagine sono molti quegli artisti che con il territorio ligure, o con il paesaggio marino mediterraneo, hanno dialogato. Alcuni pittori, Boine, Orengo, passando attraverso al rapporto purissimo con le cose che Calvino iniziò sulle rive della sua Liguria e che si fece fantastico, perché cristallino, nelle "Città invisibili". Biamonti si sente in armonia con chi dà voce alla natura, al paesaggio verticale, tra cielo e mare, della Liguria e della vicina Francia: il Valéry del "Cimitero marino", Cézanne e l'amico Ennio Morlotti. Con quegli artisti che hanno saputo, come lui, coniugare un linguaggio spoglio, scarno e materico con un lirismo corroso e pieno di luce.
Nelle terre di confine tra Liguria e Francia, un gruppo di personaggi il cui ago della bilancia è Veronique, con la sua malinconica bellezza, si incontra nelle case, lungo i sentieri delle colline, sulle strade vicino al mare. Nel fitto intreccio delle loro parole prende corpo il senso profondo della civiltà che quella terra ha espresso: il saper guardare gli alberi e i colori, il ricordo di guerre combattute senza doversi nascondere, i simboli malati delle culture nate da quello scontro. La conversazione è come sospesa sull'abisso. Nell'oscurità della notte si agita un mondo clandestino regolato dalle leggi della violenza e dello sfruttamento: l'universo dei disperati che si riversa in Occidente come un'onda oscura e inarrestabile. Prefazione di Giorgio Ficara.
Un romanzo apocalittico che, con ironia e leggerezza, sbeffeggia la sindrome millenaristica e getta uno sguardo inquietante sulle conseguenze dell’apostasia dalla Chiesa di Roma.
L’avvento dell’anticristo e la fine del mondo: che temi allegri. Roba dell’altro mondo, proprio. Roba da fare scongiuri o da sbellicarsi dal ridere? La sindrome millenaristica, che di quando in quando attanaglia molta gente, è giustamente motivo di ilarità, specie quando deriva da fisime neopagane, come i calcoli basati sui calendari Maya, le elucubrazioni New Age e altre ciarlatanerie. Ma spaventare la gente rende, ed ecco perché tanti ne scrivono. Bisogna allora dire due cose. Primo: non ci sono dubbi, succederà; tutte le religioni monoteistiche dicono chiaramente che il mondo è destinato a finire; lo stesso, con linguaggio diverso, dice la scienza. Secondo: non sappiamo quando avverrà, ma non è affatto imminente; non vedranno niente di simile né i nostri bisnipoti né i bisnipoti dei nostri bisnipoti, e via di generazione in generazione. Perciò riponete i cornetti e i ferri di cavallo e godetevi questo racconto.
Quattro commedie giudiziarie, ambientate in una terra fantastica che simboleggia lo spirito umano. Valenti avvocati che si battono per portare alla luce il seme sepolto della verità. È questo il quadro narrativo che viene precisandosi da un episodio all'altro, finché il pubblico accusatore, il nemico, il persecutore, affascinato da Petra, la Pietra immortale, la Santa Madre, personificazione della Chiesa, si converte e crede. Anche lui è il seme sepolto, il peccatore che alla fine trova la Fede e si prepara ad affrontare la via crucis della salvezza.
L'Autore
Emilio Biagini (Genova, 1941) è ordinario della cattedra di Geografia all’Università di Cagliari ed autore di una dozzina di volumi di saggistica e ricerca, oltre ad un centinaio di articoli scientifici. Ha tre lauree: Scienze Naturali, Biologia e Geografia, conseguite presso l’Università di Genova; parla inglese, tedesco, francese, nederlandese e afrikaans. Ha trascorso lunghi periodi di studio negli Stati Uniti (borsa Fulbright), in India, nel Sud Africa (borsa del Ministero degli Esteri), in Gran Bretagna (borsa dell’Accademia dei Lincei) e in Irlanda. Ha diretto il gruppo di studio “Conflitto e globalizzazione”, dell’Associazione Geografi Italiani: in tale veste ha studiato sul terreno le violenze no-global a Genova del 2001. Ha vinto il Premio Colamonico per la ricerca geografica e il premio dell’Accademia dei Lincei per la ricerca socio-economica. È stato Visiting Fellow all’Università di Southampton, nonché Visiting Professor e Hatfield College Fellow all’Università di Durham. Da poco ha cominciato a pescare nella montagna di inediti letterari ed ha pubblicato due romanzi (La luce, 2006; Labirinto oscuro, 2008), un volume di racconti (L’uomo in ascolto, 2008) e un volume di pièces teatrali satiriche (Saccenti ed altri serpenti, 2008). Ulteriori notizie sul sito www.itrigotti.it.
La nuova terra, dove cessino le sofferenze e sia possibile trovare la serenità, è raggiungibile? Quello che appare essere un male può rivelarsi un bene? Esiste una prospettiva superiore che dà senso alla vita? Questo romanzo, ambientato nel Sudafrica dell'apartheid e poi nella multietnica Londra, offre una risposta positiva a tutte queste domande.