
Dopo Tre donne (sempre per la collana «Narratori») e Alla ricerca di Joyce (collana «Ossidiana», Ida Boni avvince il lettore con questo romanzo di stati d'animo, di solitudini, di bellezza. Un taglio di luce, un'increspatura marina, il colore di un cielo sono vissuti con l'intensità degli affetti, resti-tuendo alla letteratura il suo ruolo esclusivo: dire ciò che né le immagini né i suoni possono espri-mere (pp. 304).
Adele e Lorenzo si conoscono per caso un giorno d'estate, quando un acquazzone li costringe a rifugiarsi all'asciutto in un bar. Vogliono iscriversi entrambi a un corso di teatro, ma non potrebbero essere più diversi. Adele è riflessiva, le piace leggere e starsene per i fatti suoi, mentre Lorenzo è il classico bel ragazzo tutto muscoli che una come lei nemmeno la guarda. O almeno questo è quello che pensa Adele... E mentre a poco a poco imparano a conoscersi, ad aprirsi l'uno all'altra, a innamorarsi, capita la cosa più strana della loro vita. Perché quel bar è tutt'altro che normale: quel bar con i mobili anni Cinquanta e la musica fuori moda apre una porta verso il passato. Un varco che costringerà Adele a fare i conti con il mistero che avvolge suo padre, che non ha mai conosciuto ma che non ha nemmeno mai dimenticato.
Anna ha i capelli rosa, il volto coperto dai piercing e un dolore grande che solo l'amore potrà cancellare. Anna ha diciassette anni e, di fronte all'apatia e alla depressione in cui sono sprofondati i suoi genitori alla morte della sorella maggiore, reagisce solo con la rabbia. Verso di sé, verso i suoi, verso la sorella morta: ne sente la mancanza, vorrebbe non dimenticarla mai, nutrire il ricordo di lei con il suo dolore e nello stesso tempo vorrebbe ricominciare a vivere. Riuscirà a farlo tra i palazzi antichi di Belmonte, cittadina della Pianura Padana, dove deve ricominciare tutto da capo. Qui conosce l'amore: quello tra Ete e Paolo, quello gratuito di Silvia, quello di Marco e riscopre quello dei suoi genitori. Qui impara che il passato non si cambia e che non è una colpa lasciare che il dolore si plachi per tentare di essere felici. Età di lettura: da 12 anni.
Uno sbandato "che scappa da tutto e da tutti", sullo sfondo di una guerra civile tra le montagne vicino al confine. Si imbatte in una dimora abbandonata, costruita in un luogo inospitale ma protetta da una faggeta antichissima, sorta tra gole inesplorate. Un giovane canuto, incontrato nella casa, promette di aiutarlo a passare il confine come guida di un viaggio di cui entrambi conoscono i rischi. Ma qual è la presenza che ossessiona il protagonista e che sembra nascondersi dentro la casa? A partire da prestiti importanti (Racconto d'autunno di Tommaso Landolfi e Stalker di Andrej Tarkovskij) l'autore costruisce un libro che può essere letto come un gotico, un racconto filosofico, un poema in prosa o un romanzo d'avventura. Si tratta in realtà di un viaggio di parole attraverso il quale prendono vita tre personaggi senza nome e una casa sventrata. Racconto d'inverno è la storia della loro storia.
Pasqua bassa del 1989 tra Arcevia e Urbino. Il protagonista, alle prese con la propria passione imperfetta – una sorta di gelosia non del tutto vissuta – sperimenta la propria educazione sentimentale come affetto per i luoghi, per una comunità e una famiglia in cui è incapace di radicarsi senza riserve, pur subendone il fascino. In Racconto di primavera, libro “indocile, sospeso e allarmato” (Walter Pedullà), i luoghi della memoria si fanno attualità di una crisi ormai manifesta: comunismo e identità religiosa, infatti, sembrano essere sul punto di dissolversi per sempre, e le pagine si popolano di figure vivide, colme di una tenerezza infantile e caparbia: Guerrino, Mira, Titti, Ghiga, Gaia… In questo mondo imperfetto e irraggiungibile ogni tradizione pare svanire nell’ultima data concessa, quella dell’89, dove è la storia stessa a gettarsi in una dimensione di euforica impossibilità. Nelle pagine si apre a tratti un varco, un’eco, una redenzione o solo una nostalgia, poi quando prendono corpo le voci delle bambine e degli alberi, la primavera si incarna finalmente nel mito come una ferita e una possibilità di salvezza.
GLI AUTORI
Leonardo Bonetti è nato a Roma nel 1963. Autore e compositore, Racconto d’inverno, oltre ad essere il suo primo romanzo, è anche una lunga suite musicale (ARPIA, Racconto d’inverno, Musea Records, 2009).
In un'estate che si trascina ormai da un secolo, sei ragazzi e un cane, personaggi picareschi e un po' infingardi, intraprendono il viaggio della loro vita in un concentrato di comicità e avventura attraverso il Mediterraneo e fino al cuore dell'Africa. Sono alla ricerca del punto dove finisce l'estate: è lì che potranno sconfiggere l'ipocrisia e il conformismo dei "signorini", dei "chi di dovere", veri idoli polemici di questa rivoluzione dal basso, sognata ma possibile.
Dicembre 1649. Il filosofo e matematico Cartesio si trova a Stoccolma su invito della regina Cristina di Svezia. È un pensatore scomodo, rivoluzionario, che ha finito per farsi molti nemici. In gioco c'è anche la paventata conversione della regina dal Luteranesimo al Cattolicesimo. Ma nel febbraio del 1650, ancor prima di compiere 54 anni, Cartesio muore di polmonite. A Stoccolma, però, si sparge la voce che il filosofo è stato assassinato. Febbraio 1654. Il generale asburgico Raimondo Montecuccoli - incaricato dalla regina Cristina di organizzare le tappe della sua conversione e della sua entrata solenne in Roma - viene a conoscenza di alcuni importanti dettagli sul decesso del filosofo. Molti anni dopo decide di liberarsi la coscienza e di tentare la riabilitazione di Cartesio - i cui libri, nel frattempo, sono stati messi all'indice - scrivendo al papa. Febbraio 2009. La dottoranda in filosofia dell'Università di Parma, Elisabetta Palatini, invita il filosofo di Oxford Thomas Doyle a partecipare come relatore a un convegno su Cartesio. Il motivo dell'invito è il desiderio di coinvolgere il famoso studioso in un progetto: scoprire e rendere pubblica la verità sulla sua morte. Elisabetta è infatti entrata in possesso di un documento che potrebbe essere il primo tassello di un puzzle in grado di cambiare i libri di storia e filosofia. Con "II caso Cartesio", Daniele Bondi ci presenta un thriller storico che getta nuova luce su uno dei più grandi misteri del '600.
La pubblicazione della "Divina foresta" (1969) fu propiziata da Giorgio Caproni, con un suo dettagliato parere di lettura: "Una suggestiva historia naturalis ambientata in una remotissima Sicilia agli albori della creazione, è il tema, svolto in chiave tra lucreziana e, al limite opposto, perfino kipliniana, di queste pagine che il lettore, da un capo all'altro, segue con mai rallentato interesse e, diciamolo pure, con innegabile incanto poetico. Protagonista è la vita stessa, o, per meglio dire, è un'entità vivente e "cogitante" dapprima indeterminata nella propria larvale forma e quindi, dopo una breve stagione vissuta vegetalmente, sotto la definitiva specie d'un avvoltoio e precisamente d'un filosofico avvoltoio, che nulla ha in sé della ferocia che il nome evoca ma che anzi è nutritissimo di classica saggezza (la greca in primo luogo) e che a suo modo disegna nell'arco della propria avventura (la perdita della compagna lo spinge, fino all'estenuazione, alla ricerca d'un messaggio iperuranico oltre i confini dell'isola d'oro, oltre gli oceani e addirittura verso l'irraggiungibile luna, in un alternarsi di roventi esaltazioni e di nere ipocondrie che rasentano le più moderne nevrosi) l'arco della nostra umana inquietudine di fronte al nostro stesso esistere e morire".
Alla morte del padre, il protagonista-scrittore ritorna al paese natale. Atterrato all'aeroporto di Catania, prende la strada per raggiungere Mineo. E se il territorio attraversato dal narratore quello reale, pure è trasfigurato in un alternarsi di boschi e valli animati da una moltitudine di uccelli e da una vegetazione fitta di erbe e alberi rari. Ecco che allora il viaggio si trasfigura in un pellegrinaggio fantastico: radunatisi sull'altura del castello che sovrasta il paese, amici, parenti, maghi al chiarore della luna si mettono alla ricerca del "tanatouccello" l'umano-animale in cui sono trasmigrati i simulacri del padre. Diviso il territorio in cinque settori, le squadre si mettono al lavoro e su consiglio di alcuni dotti del paese si tenta l'esperimento di innestare un corpo umano, quello del piccolo Diofar, nella corteccia di un albero per stabilire una corrispondenza con l'uccello. Ma l'impresa fallisce mentre la madre del piccolo, Aramea, disperata corre nel bosco sino a dissolversi ai piedi un carrubo.
Fu Vittorini a seguire passo passo la nascita e la crescita di questo romanzo. E fu Romano Bilenchi a volere per primo che il romanzo venisse pubblicato. L’enorme tempo apparve nel 1976. Ferdinando Virdia scrisse: «Il vero protagonista non è tanto il giovane medico narrante se stesso, ma il paese, con le sue case e con la sua luce, con le tracce delle innumerevoli generazioni che vi si sono succedute, con la gente viva e con i morti, con gli ammalati, con i vecchi, con i bambini, con gli animali che vivono insieme tra le medesime mura, con i ricordi delle generazioni che ognuno si porta dentro. Il giovane medico ritrova ogni giorno l’antica favola nella presente realtà, ma nel tempo stesso vi si immerge, la interroga, ne riscopre i segni profondi, i segreti di una umile vita di ogni giorno, la lunga assuefazione al tempo che scorre, l’enorme tempo che attutisce e diluisce drammi ed esistenze, dolori e passioni, fantasie e memorie, nel cuore di un microcosmo-Minèo, che può essere anche lo specchio di un macrocosmo, di quel continente-Sicilia che in altri suoi libri, La contrada degli ulivi, Il fiume di pietra, La divina foresta, L’isola amorosa, Bonaviri evoca in chiavi di mito e di fantasia, ma sempre con un vigile e immediato sentimento della realtà, nelle chiavi, vorrei aggiungere, di una “scienza nuova” che gli può suggerire la sua “favola” di medico. Ed anche di una sua “gaia scienza”, e non scrivo a caso, ma quasi per analogia, questo titolo nietzeschiano».
Qui, per la prima volta, vengono riproposti in appendice gli Appunti per un diario d’un medico siciliano: il memoriale sul quale Bonaviri lavorò per la costruzione del romanzo.
Giuseppe Bonaviri, nato nel 1924 a Mineo, in provincia di Catania, è scomparso nel 2009. Primo di cinque figli di un sarto, Bonaviri ha vissuto per anni a Frosinone dove ha esercitato la professione di medico. Fra le sue opere più note, tutte ora pubblicate da questa casa editrice: L’incominciamento (1983), Il dottor Bilob (1994), Il vicolo blu (2003), L’incredibile storia di un cranio (2006), Il sarto della stradalunga (2006), La divina foresta (2008) e Notti sull’altura (2009).