
Una setta segreta di suicidi, le Sfingi. Tutti appartenenti all'alta società, stanca e corrotta. Un funzionario del Ministero degli esteri. L'omicidio di una ragazzina, sua figlia. Un fascicolo dei servizi segreti che prova che l'uomo nato con Edipo è davvero morto: l'uomo non è più che carne da macello. Il giovane Livio passerà suo malgrado attraverso tutto questo, e attraverso la scoperta di un Sud non corrotto, sfiorando l'amore per una quattordicenne e finendo realmente sulle acque del fiume indiano invisibile, la terza via che cercava dentro di sé. Ispirato a una vicenda reale, un'indagine della magistratura italiana sul traffico di organi dall'India ad alcune cliniche del nostro paese ancora in corso di svolgimento, il libro stilisticamente e filosoficamente fondato di un giovane autore sulle tracce, alla maniera di "Gomorra" di Roberto Saviano, della via italiana al romanzo socio-psichedelico contemporaneo.
Giorgio De Franchis è un uomo duro, deciso e pronto all'azione. Dopo un passato nei servizi segreti ha iniziato a collaborare come free lance con gli apparati di sicurezza dei Paesi a maggior rischio terroristico e non è tipo che ama lasciare gli incarichi a metà. Una sera riceve una telefonata: a Parigi, all'uscita dall'Opéra, in piazza della Bastiglia, Daniel Morel è stato aggredito e gravemente ferito. Daniel è il grande amore di Giorgio, un amore nato sui banchi di scuola. L'unica relazione davvero importante nella vita di un solitario come lui, un rapporto profondo, capace di superare le convenzioni e creare un legame indissolubile. E per lui Giorgio si precipita a Parigi. Nel seguire le tracce degli aggressori, però, si trova coinvolto in un intrigo legato al capolavoro di Claude Monet "Impression, soleil levant", il quadro che ha dato origine all'Impressionismo e che è conservato al museo Marmottan di Parigi, di cui Daniel è direttore. Il dipinto era tornato nella collezione del museo in seguito al suo ritrovamento in Corsica, in circostanze mai del tutto chiarite, assieme ad altre otto importanti tele, dopo essere sparito per cinque anni. Ma Daniel aveva scoperto che qualcosa non tornava. Giorgio si ritroverà solo contro tutti, contro la malavita, perfino contro le stesse forze della polizia francese, mosso dall'incrollabile desiderio di vendetta e dalla ferma volontà di scoprire la verità. E non si fermerà davanti a nulla.
Questo libro è un incrocio di idee, biografia e autobiografia, e racconto. Cataluccio dice di non credere a una realtà che sia separabile dalle finzioni che coerentemente ha suscitato, né a una finzione disancorata da ciò che si considera evento storico. Così il suo narrare, che stilisticamente ricorda un procedere sempre visitando luoghi e situazioni prima che fatti, attraversa nella stessa pagina e nello stesso pensiero generi diversi, ma con un piacere di scoprire legami nascosti, un'immedesimazione nei personaggi, un sentimento del ritmo del tempo e una sensibilità naturale verso lo spirito dei luoghi, in grado di rendere complice il lettore con la stessa gioia evidente del momento in cui furono scritti. Un grande bacino di cultura come sottofondo: è la cultura della cosiddetta Mitteleuropa, tra Trieste e il Baltico, la Germania e la Russia, un'Europa di catastrofi storiche, unita solo "dalla memoria comune", "popoli di nazioni mai vincitrici" e per questo, come ha scritto Milan Kundera, "un'altra Europa, il rovescio dell'Europa dei grandi, il vero contrappunto". Da questo serbatoio, Cataluccio trae un'opera, uno scrittore, un'idea, e li proietta su un orizzonte di situazioni da lui vissute o riportate, di incontri memorabili, di notizie storiche tragiche e comiche, di casi e personaggi esemplari perlopiù a noi ignoti ma più espliciti di qualunque descrizione. Ci scorrono dinanzi, uniti strettamente ai nessi culturali, idiomi di popoli negati, villaggi inghiottiti...
Ormai varcata la soglia dell'età adulta, i figli cresciuti si raccontano ai genitori, per dare voce al travaglio emotivo che ha accompagnato il processo della loro emancipazione. I guasti prodotti dall'incomprensione e dalla latitanza degli adulti, così come gli effetti positivi della loro adeguatezza di educatori, vengono analizzati e descritti attraverso il filtro delle parole di quei figli, ormai cresciuti, che hanno sviluppato un'autonomia di giudizio e, talvolta, sono giunti a formulare un'impietosa condanna. Ivana Castoldi, psicologa e psicoterapeuta, ha operato per diversi anni presso il Centro per lo studio e la terapia della famiglia dell'Ospedale Niguarda-Cà Granda. Attualmente esercita la libera professione.
Il volume raccoglie l'intero corpus epistolare di un uomo che fu al centro delle questioni culturali, artistiche e politiche nei primi, decisivi decenni del Cinquecento.
Pubblicato a ridosso del sacco di Roma, nel 1528, pochi mesi prima della morte del suo autore, e accompagnato subito da un immenso successo, "Il libro del Cortegiano" è un testo dalla complessa e affascinante architettura retorica, nella quale si riflettono i grandi modelli classici. Considerato per molto tempo la grammatica della società di corte, è soprattutto una prova letteraria che affonda le proprie radici nei problemi di un'epoca percorsa da cruciali dilemmi e lacerazioni. Un trattato che affronta i temi caldi di un momento di grandi cambiamenti: la crisi italiana nel contesto europeo, la dubbia moralità degli uomini di governo, l'assenza di un principe italiano, la centralità della Roma pontificia, l'emergere di nuove istituzioni monarchiche. L'introduzione e il commento di Walter Barberis lo riportano alla sua filigrana politica ed esistenziale, fornendo al lettore le chiavi per comprenderlo e apprezzarlo nella dimensione piú peculiare e innovativa.
Pubblicato nel 1528, dopo una tormentata storia di riscrittura, Il Cortigiano diventa subito uno dei libri più letti e amati nell'Europa delle corti. In questa edizione, in cofanetto, viene presentato il testo e un volume di guida alla lettura curato da Amedeo Quondam.
Nell'agosto 2016 la giornalista Martina Castigliani è partita alla volta della Grecia per lavorare nei centri di accoglienza per migranti, insieme ad altri volontari provenienti da tutto il mondo. La realtà che si è trovata di fronte non poteva non essere raccontata. Questa raccolta di storie rappresenta una testimonianza unica, che intende restituire le vicende di uomini e donne che cercavano la libertà e sono diventati fantasmi a causa dell'indifferenza delle istituzioni e di parte dell'opinione pubblica. Quando la lingua non riusciva a stabilire un contatto con gli intervistati, è stato chiesto loro di esprimersi con i disegni. E se Yassin ha raffigurato la facciata del suo ristorante di falafel ad Aleppo, Mleka e Rava (11 anni) hanno disegnato le facce degli "uomini con la barba" che andavano casa per casa a cercare le persone da uccidere. Dlônan (8 anni) ha tracciato il mare che sembrava infinito e il barcone dove si è nascosto tra le braccia del padre, sperando che il viaggio finisse presto. Sullo sfondo di questa tragedia ci sono i greci, popolo tradito dall'Europa quasi quanto i migranti, ma ancora capace di gesti di grande umanità, come quello di Elias, farmacista che distribuisce farmaci gratuitamente a chi ne ha bisogno. Che si tratti di uomini o bambini, di siriani, curdi, afgani o iracheni, non c'è alcuna differenza: quando i migranti devono disegnare la loro storia, quasi tutti scelgono il pennarello colore blu del mare o rosso del sangue.
Londra è una miniera di notte e un cantiere di giorno. Tra i suoi ponteggi e i suoi tunnel, Duna si è laureata in Filosofia nell'università più illuminata d'Inghilterra, e ora legge sceneggiature o quasi sceneggiature: quasi legge, anzi, più che altro immagina. Nonostante sia molto giovane, Duna ha già una vita di prima. Tra la vita di adesso, seduta a una scrivania davanti a un collega più grande che le si rivolge in modo gentile e che di certo la ama, e la vita di prima a Roma, seduta in un'aula scolastica o su un motorino in compagnia di Veronica, c'è un proiettile la cui vittima non è ancora decisa. Duna voleva scrivere un romanzo, ma ha smesso. Il protagonista era un ragazzo vestito da pagliaccio armato di mannaia. Forse non era uno sconosciuto. Duna gioca con Alexander, un amico geniale e lunatico ricoverato in una clinica psichiatrica: si parlano attraverso gli slogan pubblicitari. E cammina, Duna, per Londra, cammina trascinando la sua bicicletta. Il suo disincanto è devoto all'idea di dimostrare che gli altri esistano e non ci abbandonino. Duna incontra un giovane e famoso cantante, Clement. Si innamorano, solo che il lieto fine, nelle favole come nella vita, dipende sempre da dove smetti di raccontare la storia, e qui non si sono fermati in tempo. Se non fosse che, tornando da una festa alla quale era andata con lui, Duna, attraversando il ponte dei Frati Neri, nella notte in cui più intensamente di altre medita il suicidio, incontra un uomo. E l'uomo ha una pistola. Tra la vita di adesso, a Londra, senza più un amore, e la vita di poi, ancora a Londra (ma chissà per quanto), ci sono quel proiettile e la sua vittima. E non c'è nulla nel mondo che possa farci cambiare: non c'è nulla negli altri, ci siamo noi.
Sita è l'unica figlia del capo di Kathputli - un villaggio del Rajasthan, nel nord-ovest dell'India -, un uomo ricco, discendente da una nobile stirpe di bramini. Rama è l'ultimogenito di una famiglia di dalit, gli intoccabili. Suo padre spazza le strade del villaggio e lavora in condizioni servili nelle terre del padre di Sita. L'invalicabile muro delle divisioni di casta separa i due ragazzini, che nonostante le rigide regole sociali iniziano a frequentarsi di nascosto. Quando Sita, contro la sua volontà, viene promessa in sposa a un importante medico di Jaipur, molto più vecchio di lei, i due ragazzi, alla vigilia del matrimonio combinato, decidono di fuggire e di far perdere le loro tracce. Ma la vendetta e la ritorsione li inseguiranno a lungo. Un'emozionante storia vera, che riverbera le tradizioni e le contraddizioni dell'India contemporanea attraverso la vicenda di due ragazzini.
Undici splendidi ritratti di firme illustri della narrativa, del teatro, della poesia tra fine Ottocento e pieno Novecento arricchiti di citazioni, di note e di saggi. Cominciando con la figura di Paul Verlaine, i cui vagabondaggi esistenziali e artistici altro non furono che una confusa, quanto appassionata, ricerca d’amore; di Joris-Karl Huysmans, convertitosi, cinquantenne, al cattolicesimo; di san Juan de la Cruz e di Ernest Hemingway, ambedue cantori della morte; di Eduardo De Filippo, di Antoine de Saint-Exupéry, Vasilij Semënovic Grossman, Eugène Ionesco, Friedrich Dürrenmatt, Stefano Jacomuzzi e Flannery O’Connor, ambedue tesi al «punto Omega» della loro realtà di credenti e di scrittori in modo inedito e sorprendente.
Già docente di letteratura e cristianesimo presso l’Istituto di scienze religiose della Pontificia Università Gregoriana, Ferdinando Castelli, gesuita, è redattore de «La Civiltà Cattolica» per il settore letterario. La vasta preparazione umanistica, filosofica e teologica lo annovera fra i critici più attenti che militino in campo cattolico. Oltre agli studi su Umberto Eco, Elsa Morante, Vasilij Grossman, Antoine de Saint-Exupéry, Michel Tournier, Flannery O’Connor, Eugène Ionesco, tra le sue numerose pubblicazioni ricordiamo: Letteratura dell’inquietudine (1963), Sei profeti per il nostro tempo (1972), I cavalieri del nulla (1977), Volti della contestazione. Strindberg, Péguy, Papini, Camus, Mishima, Kerouac, Böll (1978), In nome dell’uomo (1980), Carlo Bo. Una vita per la letteratura (1996). Citazione a sé meritano i tre volumi de I volti di Gesù nella letteratura moderna (1987, 1990, 1995), che furono il coronamento di un progetto accarezzato a lungo da padre Castelli: “leggere” il volto di Gesù negli scritti, a volte limpidi, a volte tortuosi, degli autori più rappresentativi della nostra epoca.

