
La raccolta degli scritti autobiografici di Fulvio Tomizza, che ora si pubblica, è l'ultima costruita dall'autore scegliendo tra le molte pagine d'occasione che era venuto accumulando negli anni mentre tornava insistentemente a riflettere sui grandi nodi che avevano segnato la sua esperienza di uomo, di cittadino e di scrittore, alla ricerca di un'interiore coerenza che ogni volta sembrava sfuggirgli e di nuovo inseguiva caparbio. Tomizza è rimasto fedele a se stesso, alla sua origine contadina e terragna, in sintonia con la quale ha ricostruito le drammatiche vicende del cambiamento rivoluzionario all'indomani della guerra e al tempo stesso dell'esodo di massa in Italia, lasciando case e cose, se non addirittura la vita. Dieci anni fa, il 21 maggio 1999, Tomizza se n'è andato: per un verso sembra ieri e nei pensieri è facile riprendere il colloquio con l'uomo che cercava e donava amicizia e solidarietà per poi improvvisamente chiudersi in una cupa solitudine e in un disperato pessimismo; per l'altro è passato un secolo e si è voltato pagina, cosicché certe sue ansie ideali e morali appaiono terribilmente distanti, quasi più non ci appartenessero. Rileggere le sue pagine, quelle più definitive e solenni e queste più divaganti e quotidiane, serve a capire cos'è accaduto, a riflettere su quanto il mondo è diverso oramai. (Introduzione di Cesare De Michelis)
Nei due estremi e intensissimi anni della sua vita (1955-1957) Giuseppe Tomasi di Lampedusa mise insieme non solo le otto parti del Gattopardo, ma anche tre racconti e uno scritto di carattere autobiografico. Solo di recente, però, in seguito al ritrovamento di alcuni manoscritti originali, è stato possibile sottoporre i testi brevi a una rigorosa verifica filologica e, in particolare, è stato possibile ricostruire nella loro interezza i "Ricordi d'infanzia", che ora acquistano una maggiore corposità. Il presente volume si apre appunto con i "Ricordi d'infanzia", scritti nell'estate del 1955, che come spiega Gioacchino Lanza Tomasi nella prefazione "ci schiudono il laboratorio dello scrittore al tempo del suo capolavoro". Segue "La gioia e la legge", un breve apologo. Ma il racconto più celebre della raccolta è "La sirena" (precedentemente con il titolo "Lighea"), scritto dopo una gita lungo la costa meridionale della Sicilia. Al centro della favola, al limite tra il reale e il surreale, spicca il vecchio professor La Ciura, che da giovane conobbe l'amore della Sirena e non potè più gustarne altro. Chiude il libro "I gattini ciechi", dei tre racconti il più vicino come materia al "Gattopardo", sebbene fosse nato come capitolo iniziale di un nuovo romanzo del quale ha mantenuto il titolo.
Don Fabrizio, principe di Salina, all'arrivo dei Garibaldini sente inevitabile il declino e la rovina della sua classe. Approva il matrimonio del nipote Tancredi, senza più risorse economiche, con la figlia, che porta con sé una ricca dote, di Calogero Sedara, un astuto borghese. Don Fabrizio rifiuta però il seggio al Senato che gli viene offerto, ormai disincantato e pessimista sulla possibile sopravvivenza di una civiltà in decadenza e propone al suo posto proprio il borghese Calogero Sedara.
Nei due estremi e intensissimi anni della sua vita (1955-1957) Giuseppe Tomasi di Lampedusa mise insieme non solo le otto parti del "Gattopardo", ma anche tre racconti e uno scritto di carattere autobiografico. Solo di recente, però, in seguito al ritrovamento di alcuni manoscritti originali, è stato possibile sottoporre i testi brevi a una rigorosa verifica filologica e, in particolare, è stato possibile ricostruire nella loro interezza i "Ricordi d'infanzia", che ora acquistano una maggiore corposità. Il presente volume si apre appunto con i "Ricordi d'infanzia", scritti nell'estate del 1955, che come spiega Gioacchino Lanza Tomasi nella prefazione "ci schiudono il laboratorio dello scrittore al tempo del suo capolavoro". Segue "La gioia e la legge", un breve apologo, perfetto di tono e di misura. Ma il racconto più celebre della raccolta è "La sirena" (precedentemente con il titolo "Lighea", imposto dalla vedova dell'autore), scritto dopo una gita lungo la costa meridionale della Sicilia. Al centro della favola, al limite tra il reale e il surreale, spicca un personaggio formidabile: il vecchio professor La Ciura, che da giovane conobbe l'amore della Sirena e non potè più gustarne altro. Chiude il libro "I gattini ciechi", dei tre racconti il più vicino come materia al "Gattopardo", sebbene fosse nato come capitolo iniziale di un nuovo romanzo del quale ha mantenuto il titolo.
Siamo in Sicilia, all'epoca del tramonto borbonico: è di scena una famiglia della più alta aristocrazia isolana, colta nel momento rivelatore del trapasso di regime, mentre già incalzano i tempi nuovi (dall'anno dell'impresa dei Mille di Garibaldi la storia si prolunga fino ai primordi del Novecento). Accentrato quasi interamente intorno a un solo personaggio, il principe Fabrizio Salina, il romanzo, lirico e critico insieme, ben poco concede all'intreccio e al romanzesco tanto cari alla narrativa dell'Ottocento. L'immagine della Sicilia che invece ci offre è un'immagine viva, animata da uno spirito alacre e modernissimo, ampiamente consapevole della problematica storica e politica contemporanea.
Don Fabrizio, principe di Salina, all'arrivo dei Garibaldini sente inevitabile il declino e la rovina della sua classe. Approva il matrimonio del nipote Tancredi, senza più risorse economiche, con la figlia di Calogero Sedara, un astuto borghese. Don Fabrizio rifiuta però il seggio al Senato che gli viene offerto, ormai disincantato e pessimista sulla possibile sopravvivenza di una civiltà in decadenza e propone al suo posto proprio il borghese Calogero Sedara.
Nei due estremi e intensissimi anni della sua vita (1955-57) Giuseppe Tomasi di Lampedusa mise insieme non solo gli otto capitoli del "Gattopardo", ma anche tre racconti e uno scritto di carattere autobiografico. Solo recentemente, però, in seguito al ritrovamento di alcuni manoscritti originali, è stato possibile sottoporre i testi brevi a una rigorosa verifica filologica e, in particolare, ricostruire nella loro interezza i "Ricordi d'infanzia", che ora acquistano una maggiore corposità. Il presente volume si apre appunto con i "Ricordi d'infanzia", scritti nell'estate del '55, che, come spiega Gioacchino Lanza Tomasi nella prefazione, "ci dischiudono il laboratorio dello scrittore al tempo del 'Gattopardo'". Segue "La gioia e la legge", un breve apologo, perfetto di tono e di misura. Ma il racconto più celebre della raccolta è senza dubbio "La Sirena" (precedentemente con il titolo imposto dalla vedova dell'autore, "Lighea"), scritto dopo una gita lungo la costa meridionale della Sicilia. Al centro della favola, al limite tra il reale e il surreale, si accampa un personaggio formidabile: il vecchio professor La Cura, il quale, da giovane, conobbe l'amore della Sirena, e non poté più gustarne altro. Chiude il libro "I gattini ciechi", che, dei tre racconti, è il più vicino come materia al "Gattopardo", sebbene sia nato come capitolo iniziale di un nuovo romanzo, del quale ha mantenuto il titolo. Introduzione di Gioacchino Lanza Tomasi.
Siamo in Sicilia, all'epoca del tramonto borbonico: è di scena una famiglia della più alta aristocrazia isolana, colta nel momento rivelatore del trapasso di regime, mentre già incalzano i tempi nuovi (dall'anno dell'impresa dei Mille di Garibaldi la storia si prolunga fino ai primordi del Novecento). Accentrato quasi interamente intorno a un solo personaggio, il principe Fabrizio Salina, il romanzo, lirico e critico insieme, ben poco concede all'intreccio e al romanzesco tanto cari alla narrativa dell'Ottocento. L'immagine della Sicilia che invece ci offre è un'immagine viva, animata da uno spirito alacre e modernissimo, ampiamente consapevole della problematica storica e politica contemporanea.
Nei due estremi e intensi anni di vita Tomasi di Lampedusa mise insieme oltre al Gattopardo, anche tre racconti e uno scritto autobiografico: La gioia e la legge, La Sirena, I gattini ciechi e Ricordi d'infanzia.
Ada è nata ed è sempre vissuta a Lecce. A cinquant'anni, tutto sommato, alla vita non ha molto da rimproverare. Un marito senza lavoro - un esodato - e consegnato al malumore dalla disoccupazione, due anziane mezze matte in casa, un figlio inconcludente e una figlia ambiziosa ma infelice che vuole diventare avvocato: questo il suo quadro familiare. Ma lei, a dispetto del suo nome di battesimo, Addolorata, non si piange addosso. Fa la donna delle pulizie e lo fa con passione: è "nata casalinga" e le piace. Ha la semplicità del popolo, ma anche la saggezza che deriva dall'abitudine a fare i conti con la vita. Tuttavia, non è una donna senza sogni. Solo che i suoi sono sogni piccoli, adeguati alle sue possibilità. E poi c'è Santa Teresina che veglia su di lei, una santa bambina cui sta a cuore la gente semplice. Eppure, qualcosa nella vita di Ada sta per cambiare. Un evento inaspettato, una scoperta sorprendente. Sarà una piccola rivoluzione, ma chi l'ha detto che non porti con sé la chiave della vera felicità?
Il Destino sembra essere l’unico regista di questo lungo racconto, e suoi protagonisti un plico di lettere di Casanova, un’Isotta Fraschini bianca e lo spazio infinito delle pianure del Sudamerica. Dalle rassicuranti colline di Treviso, dalla laguna di Grado inizia un viaggio che approderà al porto fluviale di Asuncìon. Garbata ma inesorabile discesa agli inferi, tra galopere sfrenate e canti di chiesa. In un mondo dove presente e passato convivono, dove l’assurdo diventa normale, Casanova rivive un’ulteriore storia d’amore nascosta e rivelata tra lettere perdute, ritrovate e ancora perdute, nel gioco infinito di illusione e realtà.
GLI AUTORI
Carla Tolomeo arriva al romanzo attraverso diverse esperienze. Nasce a Pinerolo e vive a Milano, si dedica ben presto alla pittura con ottimi risultati e meritato riconoscimento per le sue opere , la sua inquietudine d’artista la porta però a sperimentare sempre nuove forme d’espressione. Nel 1997 inizia a costruire le Sedie-Scultura, che hanno immediato successo in tutto il mondo. L’artista lavora per Hermès a Parigi, per Neiman Marcus a Dallas e New York, per Blumarine in Europa, America, Asia. Le Sedie sono esposte nelle più importanti gallerie d’arte e nei Musei. Non tralascia però i suoi studi letterari, approfondisce il settecento e Giacomo Casanova in particolare. Da qualche anno si dedica alla scrittura cercando nella parola un ulteriore mezzo di espressione e comunicazione.
L'abitudine intossica l'amore. Per questo motivo Ermanno Dick non ha voluto donne e vive da solo in una villa di tufo bianco dove dedica sentimenti e pensieri al suo harem botanico di rose. Un giorno, all'aranceto comunale, una giovane donna gli sorride. Un incantesimo che muta l'ordine inattaccabile delle sue giornate. È per lei, per Pambìra, che Ermanno decide di ridurre il proprio ventre enorme, centro di gravità e prolungamento fisico dell'intelligenza che lo ha reso ricco. Ma proprio quando lui è in ospedale, pronto ad affidarsi al chirurgo, Pambìra cade dal balcone di casa e muore. Nel condominio dove lei abitava, opera in segreto un crudele tribunale guidato da Giovanni Cocco Mossa, magistrato in pensione, confinato nell'attico. Il diritto è la sua folle religione e processerà la madre e il padre di Pambìra, accusato di un amore innaturale verso la figlia. Dal piano terra all'attico, ogni inquilino partecipa al processo. L'accusa, la difesa, i carcerieri, verbali, verdetti, colpe e punizioni. Un meccanismo inesorabile. Mentre la corte condominiale, rapida e inflessibile, emette la sentenza per un bisogno primigenio di giustizia, Ermanno Dick comprende come si sono svolti realmente i fatti. La verità che emerge è solo in apparenza paradossale, così come le feroci e candide creature di "Lettera ultima" sembrano bizzarre, ma sono in fondo molto comuni e quotidiane. Perché la giustizia, come l'amore, spesso sconfina nella terra della pazzia.