
In un futuro imprecisato ma spaventosamente vicino, gli uomini hanno costruito rifugi sotto l'oceano per ripararsi dalla forza assassina della luce del sole. E negli abissi hanno scoperto una specie nuova, cosi favolosa e leggendaria da volerla subito imprigionare. Le sirene sono feroci e bellissime donne del mare: hanno capelli azzurro vivo, capezzoli verdecupo, il muscolo della coda capace di spezzare in un istante la schiena del maschio. Scoprono piccoli denti perlati e affilatissimi quando schiudono le labbra per emettere il loro richiamo, un canto che fa impazzire i cani - e forse anche gli uomini. Un'atmosfera sospesa e sensuale domina questa favola nera: la scrittura di Laura Pugno ha una potenza incantatrice, capace di coniugare visioni apocalittiche e inquietudini del nostro presente in un unico, ipnotico racconto di amore e di morte.
"Tessa aprì la porta sul buio del bosco": così comincia "La ragazza selvaggia", e davvero il quinto romanzo di Laura Pugno è tutto uno spalancarsi di porte sul buio: sul buio del bosco; sul buio del dramma della famiglia Held - la madre alienata dopo la sparizione della figlia adottiva Dasha e l'incidente in seguito al quale Nina, la gemella, vive in stato vegetativo; sul buio di Nicola Varriale, il cui padre generoso ed entusiasta - socio di Held in affari con la riserva naturale sperimentale di Stellaria - si è gettato ubriaco dal balcone; sul buio, finalmente, della protagonista Tessa, biologa, che vive in un container ai margini della riserva conducendo osservazioni e studi: una donna che ormai "abita la solitudine come un altro corpo". A lei toccherà la sorte di ritrovare casualmente Dasha, vissuta anni nel bosco e ormai del tutto selvaggia. Ci interroga, questo romanzo che può essere descritto come una storia di revenant, o il racconto d'un groviglio di vite umane osservato con una compassione senza lacrime. Ci interroga su che cosa è - attorno a noi, in noi - ciò che chiamiamo "natura"; sui confini tra l'umano e l'animale; sul senso di legami familiari frutto di scelte, o del caso, e non della carne.
Renata Pucci Di Benisichi, docente universitaria, traduttrice, giornalista siciliana e nobildonna, raccoglie in questo volume gi scritti apparsi sulla sua rubrica del principale quotidiano di Palermo: le analisi dei modi di dire, le storpiature della lingua, usati inconsapevolmente dai siciliani come se fosse l'italiano corretto, variazioni a metà tra l'aneddoto e l'antropologia che diventano, attraverso l'esame divertito dei dialettismi correnti anche tra i parlanti colti, critica di costume, tagliente, ironica, ma divertente e affettuosamente partecipativa.
Un vecchio cuoco tossico uscito da un libro d'avventure, uno stasatore di cessi innamorato della lirica e un anziano attore shakespeariano lobotomizzato, con un corredo di giovani assistenti dediti a piccoli crimini e decisi a sopravvivere in ogni modo a mille guai. Questa è la banda che condivide vita, avventure e lavoro con un italiano emigrato in Inghilterra. Altro che 'cervelli in fuga': qui si parla dei sotterranei, dalle pulizie dei bagni a Bristol a una mensa scolastica nel Dorset, fino a una pizzeria di turchi che si fingono napoletani. Sullo sfondo la Brexit e una classe operaia impoverita che cerca il proprio orgoglio. Tra risse, birre e calcio, personaggi di vecchi romanzi si rincarnano nelle cucine d'Oltremanica mentre il fantasma della Baronessa Thatcher perseguita il protagonista. Fino al ritorno in un'Italia dove le acciaierie di Piombino, quelle delle rotaie di 108 metri, rimangono come torri arrugginite a sfidare il cielo terso della Toscana.
Prudenzio, nato a Calagurris, in Spagna neL 348 d.C., fu avvocato e governatore della provincia ed è considerato il poeta più rappresentativo della lelteratura cristiana latina. La "Psychomachia", ispirata alle scene belliche dell'Eneide, narra l'allegorica battaglia tra vizi e virtù per il possesso dell'anima umana.
Nella memoria di ognuno la Storia con la "s" maiuscola si intreccia a quella personale, e così gli eventi cardine della propria genealogia si accostano ai fatti salienti del mondo. Seguendo lo stesso principio l'autore narra le vicende della famiglia d'Asaro e di una terra meravigliosa e difficile come la Sicilia. Ecco quindi che un rapimento d'amore avvenuto agli inizi del Novecento nelle strade di Enna ha come cornice un mondo di tradizioni e valori ormai quasi del tutto scomparso; una rocambolesca visita a un paesino sperduto si rivela il pretesto per riflettere sulla Sicilia tra moti garibaldini, sbarchi degli Alleati e gerarchie mafiose; un viaggio in treno Catania-Palermo fa da eco all'importante riforma agraria di Antonio Segni, Amintore Fanfani e Paolo Bonomi, che negli Cinquanta e Sessanta significò la fine di una secolare sottomissione per migliaia di contadini e l'unica ridistribuzione di ricchezza mai avvenuta dall'Unità d'Italia. Ma questa è anche la storia di un trasferimento a Reggio Calabria, a seguito del terribile terremoto del Belìce, che porterà nella sfera della famiglia d'Asaro una figura straordinaria e indimenticabile come Vito de' Bianchi (Giove Ionico), riservato benefattore, filantropo e deus ex machina della Locride. Un racconto arricchito da approfondimenti culturali, storici e gastronomici, capace di trasmettere al lettore quell'amore particolare che lega i protagonisti ai luoghi della propria esistenza.
L'ordine animale delle cose è nascosto sotto la superficie del potere umano sul mondo. Antonio Prete ci racconta di animali fantastici e animali reali, di animali che sono stati parte della sua vita o l'hanno attraversata con la forza del simbolo, dell'allegoria o della semplice presenza. Un bestiario privato e illuminante, cui l'autore affida la nostalgia di una purezza perduta. O, forse, un sogno: che all'uomo sia riservato "un tempo in cui, deposta infine la pretesa superiorità del genere umano, e appresa dagli animali la forma profonda del pensiero", saremo pronti per una nuova, inattesa metamorfosi. Un'evoluzione al contrario.
Non mi rimane che utilizzare la vecchia strategia del bacherozzo: quando si avvicina un pericolo, si distende sul dorso, immobile, e si finge morto.
Nel caso mio, non devo neanche fingere troppo».
«Io non ho piú interesse per niente e nessuno, rubo penne, passeggio per strade degradate, sbavo per una portinaia e basta, basta cosí», dice di sé il narratore di questa storia, un vecchiaccio sgradevole e scorretto, burbero, perfido. Irresistibile.
E se la portinaia di cui si è invaghito - una donna sulla sessantina, attraente, sciabile, che mentre pulisce i vetri del portone muove quell'architettura meravigliosa che si ritrova sul petto - accetta la corte di un barista con i denti rifatti; se la sua ex moglie, che era «un vortice di generosità, di capricci, di ovulazioni, di piccole iniziative stupefacenti», lo guarda come se fosse il suo gommista; se con la figlia parla per lo più del tempo, tanto che il loro «sembra un dialogo tra meteorologi, piú che tra consanguinei», a lui non resta che raccontare, divagando, di tutto questo. E raccontare di Armando, il suo migliore amico. La parte buona del carciofo che è lui. Una persona rara, gentile, positiva. Con un progetto folle in testa. Sì, perché se tutti vogliono lasciare qualcosa dopo la loro morte, «chi una tabaccheria avviata, chi un grande romanzo, qualcun altro una una collezione di lattine di birra», Armando vuole lasciare un amore.
Si è messo in testa che due ragazzi del quartiere che ancora non si conoscono, Chiara e Giacomo, sarebbero una coppia perfetta, e intende dare una mano al destino. Pretesa, questa, che l'intrattabile vecchiaccio reputa ridicola e tenta di osteggiare in tutti i modi. Ma dopo aver impiegato oltre settant'anni per convincere gli altri a non contare su di lui, si ritroverà coinvolto dalla fastidiosa, insistente, implacabile fiducia nella vita di Armando. E tra uno scherzo feroce e una battuta acida, contagiato dall'amicizia come da un virus, potrà scappargli anche un gesto spiazzante e diverso.
Gli italiani non sono portati per la rivoluzione. Bravissimi nel tiro al piattello e irraggiungibili nell'arte culinaria, la rivoluzione non rientra però nell'elenco delle loro specialità. In centinaia d'anni, mentre francesi, americani e russi si ribellavano all'andamento della propria Storia, gli italiani sceglievano strade alternative quali la diplomazia, l'iniziativa individuale, l'attesa della dipartita naturale del nemico, il superenalotto. "Il piantagrane" si svolge in un Paese che somiglia molto all'Italia dei giorni nostri. Narra la vicenda di un individuo qualunque che, suo malgrado, si trova a innescare un grande, strabiliante, radicale cambiamento. A causa della sua semplice presenza, tutti cominciano ad agire secondo logica e buonsenso. Addirittura secondo coscienza. Si tratta di un pericolo enorme, che nessuna società occidentale può permettersi di affrontare: il pover'uomo, quindi, diventerà ben presto oggetto di una feroce caccia da parte dei servizi segreti. Qualcuno cercherà di aiutarlo, inviandogli l'angelo custode più grottesco e maldisposto che si possa immaginare: un omino forzutissimo, che frulla parole storpiate dall'ignoranza e da un'oscura sapienza. E così il destino del pianeta e la possibilità stessa di una rivoluzione saranno nelle piccole mani di una coppia stralunata.
"Io non ho più interesse per niente e nessuno, rubo penne, passeggio per strade degradate, sbavo per una portinaia e basta, basta così", dice di sé il narratore di questa storia, un vecchiaccio sgradevole e scorretto, burbero, perfido. Irresistibile. E se la portinaia di cui si è invaghito - una donna sulla sessantina, attraente, 'sciabile'- accetta la corte di un barista con i denti rifatti; se la sua ex moglie, che era "un vortice di generosità, di capricci, di ovulazioni, di piccole iniziative stupefacenti", lo guarda come se fosse il suo gommista; se con la figlia parla per lo più del tempo, a lui non resta che raccontare, divagando, di tutto questo. E raccontare di Armando, il suo migliore amico. La parte buona del carciofo che è lui. Una persona rara, gentile, positiva. Con un progetto folle in testa. Sì, perché se tutti vogliono lasciare qualcosa dopo la loro morte, "chi una tabaccheria avviata, chi un grande romanzo, qualcun altro una collezione di lattine di birra", Armando vuole lasciare un amore. Si è messo in testa che due ragazzi del quartiere che ancora non si conoscono, Chiara e Giacomo, sarebbero una coppia perfetta, e intende dare una mano al destino. Pretesa, questa, che l'intrattabile vecchiaccio reputa ridicola e tenta di osteggiare in tutti i modi. Ma dopo aver impiegato oltre settant'anni per convincere gli altri a non contare su di lui, si ritroverà coinvolto dalla fastidiosa, insistente, implacabile fiducia nella vita di Armando.
Lorenzo è un geometra, ma ha imparato a proprie spese che di geometrico a questo mondo c'è veramente poco. Le rette parallele, nella realtà, finiscono spesso per incontrarsi, e il quadrato costruito sull'ipotenusa, probabilmente in modo abusivo, non equivale mai alla somma dei quadrati costruiti sui cateti. Vive con la madre, circondato da un piccolo gruppo di amici, tra cui Massimo, pervaso da un'insana passione per gli articoli da bagno, e Fabio, detto "Il Tranquillizzatore" per la sua capacità di confortare tutti con prevedibili ma graditissime frasi di rito. Lorenzo è serenamente disperato, perché gli manca una cosa fondamentale: il lavoro. Così si piega a fare di tutto, persino la statua vivente in una piccola piazza del centro. Trasformandosi da mite geometra a faraone immobile, dal suo angolo comincerà a vedere il mondo. Osserverà il microcosmo che gli sfila davanti: turisti euforici, connazionali annoiati e un cane bruttissimo, ad esempio. E s'innamorerà, molto, di una ragazza che non fa proprio per lui, d'altra parte "all'interno d'ogni amore deve esserci un circuito stampato, fragile e complicato, che lo rende unico e incomprensibile". Piloterà nell'ombra qualche vita che gli è cara, nel frattempo. Ma soprattutto, alla fine, lui, proprio lui, messo all'angolo e spalle al muro, farà un gesto imprevisto che ha la forza di un'esplosione: uno di quei gesti che possono inaugurare una nuova vita.