
Tutte le mattine un padre accompagna la figlia a scuola, e quando passano davanti all'orologio lei fa "Den" e vuole che lui le racconti una storia. Le favole che il padre s'inventa sono piene di fantasia, delicate e divertenti: sono il commento fantastico alle piccole avventure di ogni giorno. La bambina e l'adulto si incontrano in un momento difficile e irripetibile delle loro vite. La piccola Maria sta uscendo dall'infanzia e si prepara a entrare nell'adolescenza, suo padre sta uscendo da un periodo cruciale della sua vita, e dissimula le sue amarezze dietro la comicità e la delicatezza per non gravare o ferire la persona più piccola e indifesa. Insieme sviluppano un piccolo romanzo, con la storia della loro relazione e delle reciproche difficoltà che risuona attraverso le vicende del principe Cagaquattro e della strega Orecchiamolla, le peripezie della lettera Y, le tecniche per mangiarsi la scuola...
Giorgio Manganelli è stato a Firenze nel 1984, vincendo tenaci resistenze che lo tenevano lontano dalle città "belle", irrimediabilmente diffidente nei confronti di monumenti e musei. Il volume raccoglie i reportages frutto di quel viaggio: sorta di Baedeker grazie al quale il lettore non vedrà i monumenti della città toscana, li "leggerà", decifrando l'occulta rete di rimandi che li lega. Ma Firenze è solo uno dei nuclei di questo viaggio che tocca, oltra alla Toscana, l'Emilia, le Marche e il Sud, in particolare l'Abruzzo, per Manganelli "grande produttore di silenzio".
Nel poetico e tenebro mondo boschivo di Mauro Corona, non è raro imbattersi in una favola. Ma non è scontato che si tratti di una favola idilliaca, perché è proprio quando la narrazione si avventura nel fantastico che l'autore trova l'occasione per far emergere con forza la sua vena più caustica e dissacrante. E questa volta è chiaro più che mai: "Ho scritto una fiaba cattiva sul Natale, perché il Natale è una festa cattiva dove si scoprono i cattivi che fanno i buoni". Se con "Una lacrima color turchese" ci aveva portato ad accettare lo straordinario, ovvero l'eccezionale scomparsa del Bambin Gesù, fuggito dai presepi di tutto il mondo per provocazione, in questo suo ideale seguito si spinge ancora più in là, sfidandoci ad accogliere il diverso. "Favola in bianco e nero" si apre, infatti, con la prodigiosa apparizione di due statuine del Bambin Gesù, una con la pelle bianca e l' altra con la pelle nera, che si materializzano, inaspettatamente, allo scoccare della mezzanotte in tutte le case del mondo. La reazione che si scatena, però, è piuttosto prevedibile, perché tutti cercano di rimuovere la statuina di colore; del resto, la tradizione vuole che Gesù abbia la pelle bianca, nessuno è in grado di tollerare una simile anomalia.
Nazareno, il cercatore di sogni, abita sulla montagna in una casa nella foresta. Immerso nella natura, crea con le erbe rimedi che guariscono le malattie del corpo e dell'anima, e ricette che fanno sognare chi lo desidera. Nazareno possiede infatti poteri miracolosi e molti si recano sulle montagne per incontrarlo. Un giorno riceve una bella ragazza, Marta, gravemente malata. Nello scenario della foresta, tra creature fantastiche e alberi parlanti, l'amicizia tra Nazareno e Marta si trasforma in tenerezza e poi in amore.
Due galline sorelle, l'"impettita e arcigna" Tuja e la"molle e trasognata" Chica, vivono insieme in una piccola casetta di legno appesa a un fico selvatico, finché in una notte buia e tempestosa la malvagia Tuja caccia di casa la sorella. Cosa accadrà ora alla povera Chica? Riuscirà a sfuggire alle grinfie del lupo? Saprà trovare un rifugio sicuro alle intemperie della notte? Come ha scritto Margherita Fenoglio, "La storia della gallina Chica vi saprà coinvolgere e affascinare come è accaduto a me... Mettetevi nei suoi panni. Al buio, sperduti nel bosco, con il lupo che vi aspetta al varco..." Composta tra la fine del 1960 e l'inizio del 1961, questa tenera fiaba fu il primo regalo di Beppe Fenoglio alla sua bambina, che volle accogliere nel modo a lui più congeniale, con un racconto. In questa edizione "La favola delle due galline" è illustrata dai disegni di Alessandro Sanna e accompagnata da una nota di Margherita Fenoglio. In appendice "Il bambino che rubò uno scudo", la fiaba rimasta incompiuta con la storia di Paolo, un bambino che somiglia molto al suo autore. Età di lettura: da 8 anni.
Dino insegue una farfalla gialla e nera che porta un teschio sul dorso e si addentra in un bosco nero: riesce a serrarla nel pugno ed è allora, quando l’ha catturata e sta per destinarla alla prigionia di una piccola scatola, che la sente parlare. La farfalla si chiama Atropo, appartiene alla Notte e gli racconta del Castello Senza Tempo, un luogo sinistro abitato dagli Immortali, anime scampate al diluvio universale e condannate all’eternità, che giocano un’eterna partita a dadi, unite a coppie, senza riuscire a ingannare il loro carceriere, il Tempo. Ma forse Dino ha il potere di liberarle: come, e con quali conseguenze? Gesualdo Bufalino gioca con atmosfere tenebrose, addensa il suo linguaggio scabro nei modi della fiaba e compone una storia di paura e mistero, impastata di elementi tradizionali, strana e inquietante. La versione del centenario è illustrata da Lucia Scuderi, artista catanese naturalmente affine alle atmosfere evocate, e introdotta da un testo di Nadia Terranova.
Maggio 2007. Una drammatica telefonata nella notte sconvolge l'esistenza di una famiglia: Giulio, 18 anni, terzo di sette figli, lotta tra la vita e la morte dopo un gravissimo incidente. Resterà in coma per due mesi e ricoverato per nove. È un avvenimento che sembra distruggere tutto, ma l'angoscia iniziale è rischiarata da una luce inattesa. Giorno dopo giorno la vita diviene un'implorazione fiduciosa che permette a Giulio di continuare a vivere e alla sua famiglia di continuare a sperare. Le persone più care e gli amici, che per mesi sono loro vicini, testimoniano una storia positiva segnata da fatti e incontri importanti. Giulio rinasce rientrando faticosamente nella propria vita con uno sguardo di stupore e gratitudine, segnato per sempre dall'incontro con il mistero.
Nel 1960 D'Arrigo consegnò all'editore Mondadori per la stampa una prima redazione di Horcynus Orca, dalla quale furono estratte le prime cento pagine e pubblicate sul Menabò di Vittorini. Già allora Vittorini chiosò con queste parole: "Fa parte di un work in progress ch'io non sono riuscito ad appurare in che anno, e come, e perché, sia stato iniziato, e come sia andato avanti finora, ma che ritengo possa restare soggetto a mutamenti e sviluppi anche per un decennio". Questo libro è la prima stesura del capolavoro di D'Arrigo, pubblicato con il titolo originale.
Nell'intreccio di personaggi letterariamente trasfigurati oppure riconoscibili viene tracciato un affresco dell'Italia politica e civile dal dopoguerra agli anni Novanta. Le ragioni dell'impegno dei cattolici, pur nel pluralismo delle scelte, emergono con vivo senso di appartenenza, in un racconto avvincente, destinato a suscitare ampio dibattito (pp. 192).
«Non ci abbiamo capito niente, Deruta. Forza, al lavoro». Due coltellate hanno spento la vita di Romano Favre, un pensionato del casinò di Saint-Vincent, dove lavorava da «ispettore di gioco». Il cadavere è stato ritrovato nella sua abitazione dai pochi vicini di casa dell'elegante palazzina, e serra in mano una fiche, però di un altro casinò. Rocco Schiavone capisce subito che si tratta «di un morto che parla» e cerca di decifrare il suo messaggio. Si inoltra nel mondo della ludopatia, interroga disperati strozzati dai debiti, affaristi e lucratori del vizio, amici e colleghi di quel vedovo mite e ordinato. Individua un traffico che potrebbe spiegare tutto; mentre l'ombra del sospetto sfiora la sua casa e i suoi affetti. Ed è ricostruendo con la sua professionalità la tecnica dell'omicidio, la scena del delitto, che alla fine può incastrare l'autore. Ma il morto è riuscito a farsi capire? Forse non basta scavare nel passato: «Favre ha perso la vita per un fatto che deve ancora accadere». Il successo dei libri di Antonio Manzini deve probabilmente molto al loro andare oltre la semplice connessione narrativa tra una cosa (il delitto) un chi (il colpevole) e un perché (il movente). Con le inchieste del suo ruvido vice-questore, Manzini stringe il sentire del lettore a una vicenda umana complessa e completa. Così i suoi noir sono in senso pieno romanzi, racconto delle peripezie di un personaggio che vale la pena di conoscere, sentieri esistenziali. Sono, messi uno dietro l'altro, la storia di una vita: Rocco Schiavone, un coriaceo malinconico che evolve e cambia nel tempo, mentre lavora, ricorda, prova pietà e rabbia, sistema conti privati e un paio di affari. Sicché, in "Fate il vostro gioco", il vice-questore riconosce apertamente un semifallimento: ha smascherato il criminale ma troppe cose non tornano. Resta un buco nella sua consapevolezza che gli rimorde come una colpa, e deve colmarlo. Lo farà, si ripromette, la prossima volta e, per il lettore, nella prossima avventura.
In una scuola di un piccolo paese del Salento si presenta in qualità di insegnante il diavolo in persona. Portatore di sapere e corruzione, il professor Malennio giunge con il preciso intento di soggiogare Faustino, l'alunno più brillante della scuola. Le vicende di quell'anno scolastico sono documentate da una serie di componimenti svolti in classe, raccolti secondo un piano espositivo che descrive un duello senza risparmio di colpi e dall'esito imprevedibile fra il Signore delle Tenebre e un gruppo di ragazzini tutt'altro che ingenui. Su quelle pagine sfilano gli intrighi alla corte di don Ferrando d'Aragona e le peripezie di un musulmano con le stigmate, la minaccia del terrorismo islamico e un culto insolito della Vergine. Un apologo sul male e sul potere espiatorio del silenzio.
Il narratore risiede in un villaggio normanno. Nella solitudine brumosa della campagna, in una casa dalle scale scricchiolanti, piena di piccoli notturni rumori, raccoglie materiali documentali sul misterioso popolo dei Gamuna: le fonti maggiori sono le lettere e i taccuini di un amico viaggiatore, gli articoli di un aviatore argentino e il diario che una suora vietnamita gli legge quando egli si reca a trovarla al di là della Manica. Gianni Celati dà vita a un romanzo di antropologia fantastica ricreando la storia dei Gamuna, della loro lingua, dei loro costumi, del mistero che li circonda.