
Le pupille di Sandrino diventano laser.
«Non c’è mai stato nessuno, e mai ce ne
sarà un altro, come il Coppi. Se vuoi ti
racconto la sua storia. Io la so tutta. Non
c’è giorno che non la ripassi. Ho paura di
scordare i dettagli. Non voglio dimenticare
niente. Da quando è morto, e sono ormai
cinquant’anni, ho incominciato a morire
un po’ anch’io. Sono nato per fare sacrifici,
quei ricordi per me sono tutto.»
Ci sono incontri casuali che ti trascinano in un altro mondo. È quello che accade ad Antonio e Andrea, padre separato e figlio alle soglie dell’adolescenza, un sabato qualunque, mentre vanno in visita all’anziana nonna nell’Alessandrino. Entrando in un bar anonimo, Antonio rimane colpito da un omone in canottiera blu e pantaloncini, solo un po’ ricurvo per l’età avanzata. È come se l’avesse già visto in tanti anni passati a fare il giornalista sportivo. Ma certo: è Sandro Torino, grande gregario di Fausto Coppi, anche lui di quelle colline. Basta un breve scambio di battute per capire che è un’occasione irripetibile per tutti: per il vecchio gregario di regalare a due menti entusiaste la storia preziosa di un’amicizia lunga una vita, per Antonio e, specialmente, per Andrea di immergersi nel mito più emozionante del ciclismo. In una serie di incontri sulle sedie di plastica del bar, fra spuma nera e calici di bianco, Sandro evoca l’epopea di Coppi, dalla prima bici — la Trifusì — al Giro del ’40 vinto quando ancora era gregario di Bartali, dalla leggendaria Milano-Sanremo del ’46, in cui staccò inesorabilmente tutti, agli anni mirabili 1949 e 1952 delle doppiette Giro e Tour, alla romantica, scandalosa follia della Dama Bianca… E dalle belle storie d’un tempo nascono altre belle storie d’oggi che parlano di poesie nascoste sotto un sellino, di un amore che sboccia, di corridori-ragazzini e di alberi felici.
"'Rievocare i paesaggi del passato non si può, diremo che Dio non vuole; vi è in essi alcunché dell'Eden consentilo all'uomo una volta sola... egli non può rientrarvi.' Questa frase mi tornava alla mente mentre mettevo insieme questo libro dove appunto si parla di quell'Italia perduta che oggi ci appare attraverso le parole di alcuni degli ultimi viaggiatori che la videro in un tempo non lontano - come un Eden consentito all'uomo una volta sola. E proprio quelli della mia generazione, che ne conservano il ricordo, possono ancora fare il raffronto tra i luoghi di una volta e i luoghi di oggi, nati dal rapporto sbaglialo fra tradizione e modernità, cultura e classe dirigente. È questo rapporto sbagliato che ha dato origine a quell'ibrido per cui oggi un luogo non è quello che era né quello che vorrebbe essere. Questo è accaduto a tutti i luoghi che nomino in questo libro, ai 'sacri siti' di una volta, a Positano, a Ischia, a Procida, a Capri, e a gran parte dei luoghi più prestigiosi dell'Italia Meridionale e della Sicilia; e naturalmente a Napoli stessa." (Raffaele La Capria)
Il volume raccoglie sei studi danteschi, editi in rivista tra il 1992 e il 2010: cinque letture di canti, di If. XV e XXXIII-XXXIV, di Pg. XVI e XXXI, di Pd. XV, seguite da una riflessione sulla fortuna della Commedia attraverso il caso specifico di Tommaso Campanella. Unifica la raccolta l'intento di far emergere in quale misura si debba al primo e più grande dei nostri poeti l'avvio non solo della prima fase, teocentrica, della storia italiana ma altresì della seconda, umanistica, cosmocentrica e cristocentrica, sullo sfondo di una prospettiva che riconosce nella letteratura la principale e autentica forza spirituale specificamente costitutiva dell'unità nazionale italiana. Ne deriva una lettura nuova e coerente di momenti, episodi e temi della Commedia - dall'incontro di Dante con Brunetto Latini a quello con Marco Lombardo, con Cacciaguida e, soprattutto, con Beatrice nel Paradiso terrestre -, che rappresenta un'occasione di riflessione e ripensamento per semplici appassionati della poesia dantesca, e in generale della cultura letteraria italiana, per gli studenti e per gli studiosi.
Quando Ugo Foscolo è a Bologna, nel 1798, compie la prima parziale stesura del romanzo Ultime lettere di Jacopo Ortis, che viene poi pubblicato in quello stesso anno. L'opera, profondamente riveduta, viene ripubblicata a Milano nel 1802; ispiratore di questa seconda redazione è l'amore del poeta per Isabella Roncioni, conosciuta in Toscana. Ma le Lettere hanno un destino movimentato perché subiranno ulteriori aggiunte e correzioni a Zurigo (1816) e a Londra (1817). Il travaglio "compositivo" dell'opera rispecchia la crisi, non solo politica, ma soprattutto filosofica ed esistenziale dell'autore, scaturita dal contrasto tra leggi meccanicistiche della natura e ansia di vita, tra razionalismo e nuove aspirazioni romantiche.
Fuggiasco da Venezia, dopo Campoformio, Jacopo si isola sui Colli Euganei. Qui conosce Teresa e se ne innamora, ma sa che questo è un amore impossibile, perché Teresa è promessa a Odoardo. Jacopo si mette in viaggio per l'Italia, senza una meta e ovunque vede la tragedia dell'oppressione straniera, né lo consolano le bellezze naturali o la saggezza del vecchio Parini, incontrato a Milano. La tragica conclusione è una denuncia al mondo di una doppia delusione.
Pubblicato nel 1802, "Ultime lettere di Jacopo Ortis" è un'opera ricca e stratificata, nella quale coesistono diversi libri: romanzo-verità, nel senso che si muove da un dato documentario (il suicidio "vero" del giovane Ortis) per rielaborarlo fantasticamente a specchio dell'esistenza biografica del giovane Foscolo, fortemente tentato dall'idea del suicidio; romanzo-saggio, nel senso che recupera, nella struttura epistolare, autocitazioni da lettere e opere giovanili e calchi da infinite letture, italiane e straniere; romanzo degli affetti, cioè itinerario labirintico tra due passioni fondamentali, il furor di patria e l'amore, di un prototipo, civile e politico, di Eroe Impossibile. Questo e altro rappresentano le "Ultime lettere di Jacopo Ortis", uno dei libri più sperimentali della letteratura italiana. Introduzione e commento di Guido Davico Bonino.
Fuggiasco da Venezia, dopo Campoformio, Jacopo si isola sui Colli Euganei. Qui conosce Teresa e se ne innamora, ma sa che questo è un amore impossibile, perché Teresa è promessa a Odoardo. Jacopo si mette in viaggio per l'Italia, senza una meta e ovunque vede la tragedia dell'oppressione straniera, né lo consolano le bellezze naturali o la saggezza del vecchio Parini, incontrato a Milano. La tragica conclusione è una denuncia al mondo di una doppia delusione.
Pubblicato per la prima volta nel 1802, è il romanzo che ha accompagnato Foscolo per quasi tutta la sua vita.
Erano tredicenni d'assalto: mettevano il calcio sopra ogni cosa. Il Dio del Calcio era il loro dio. E il Mister il suo profeta. L'estate macinavano polvere nel campetto di ghiaia. Appuntamento alle sette del mattino per la prima partita, e avanti fino a sera. Stava per cominciare la terza media, ma è solo un dettaglio. Era il calendario delle partite a scandire le tappe di un'avventura. Sprofondavano nella Bassa, sotto un cielo esagerato, circondati da milioni di peschi. Si inerpicavano tra i monti, su campetti gelati, in fondo a tornanti interminabili. Per scardinare squadre di geometri ben pettinati, che li disorientavano con finte, passaggi di prima e triangoli di perfezione assoluta. Per sopravvivere agli attacchi di Elliot il Drago, che aveva le cosce di Rummenigge, e quando cambiava passo staccava le zolle di terra dal campo. Scortati dalla Regina dello Sterrato, il furgoncino di George Balducci e una testa di cinghiale imbalsamata. Un tunnel che porta dritto a Borgo Ghibellino, una filiale dell'inferno. In una finale epica, dove ci si gioca il campionato e molto di più. Era il calcio che giocavano allora. Bruciava nel loro sguardo, e li faceva uscire dagli spogliatoi con i borsoni in spalla, fieri come i paracadutisti.
23 novembre 1980: il terremoto colpisce la Basilicata e la Campania, provocando migliaia di morti, dispersi e senzatetto. Un'antropologa milanese si precipita a Palmira, minuscolo centro dell'Appennino che ha la particolarità di non figurare sulle carte geografiche. Trova strade e ferrovie interrotte, dighe e ponti crollati, abitazioni rase al suolo, famiglie distrutte. Solo una falegnameria è rimasta in piedi e dentro, notte e giorno, mastro Gerusalemme fabbrica il mobilio per una sposa, l'ultima del paese. Sulle ante sta disegnando le leggende che si tramandano negli anni: misteriose profezie di gente senza tempo e memoria, miracoli di un luogo favoloso dove convivono cristiani, ebrei, musulmani. I pannelli dei mobili sono l'unica testimonianza che Palmira sia esistita veramente e in essi si compie il destino di ogni uomo. Tra l'antropologa e il falegname inizia un dialogo di sguardi sfuggenti e di parole arcane, un viaggio alla ricerca dell'ultima sposa, un'avventura nei segreti di questa comunità, dalla remota fondazione di Patriarca Maggiore all'apocalisse del terremoto che ha trasformato il paese in un immenso presepe di morti. Grazie a una lingua modulata sull'affabulazione dei sogni e a un gioco di incastro fra epica orale, mito e cronaca, con questo fantasioso romanzo Giuseppe Lupo celebra un evento che fa da spartiacque nella recente storia del Mezzogiorno e segna la fine di una civiltà.
Tomàs è una persona come tante. E, come tante, crede poco in se stesso, subisce la vita ed è convinto di non possedere gli strumenti per cambiarla. Ma una sera si ritrova proiettato in un luogo sconosciuto che riaccende in lui quella scintilla di curiosità che langue in ogni essere umano. Incomincia così un viaggio simbolico che, attraverso una serie di incontri e di prove avventurose, lo condurrà alla scoperta del proprio talento e alla realizzazione dell’amore: prima dentro di sé e poi con gli altri. Con questa favola moderna che offre un messaggio e un massaggio di speranza, Massimo Gramellini si propone di rispondere alle domande che ci ossessionano fin dall’infanzia. Quale sia il senso del dolore. Se esista, e chi sia davvero, l’anima gemella. E in che modo la nostra vita di ogni giorno sia trasformabile dai sogni.
Massimo Gramellini, torinese di sangue romagnolo, è giornalista e vicedirettore de La Stampa. Ha pubblicato: Colpo Grosso (con Curzio Maltese e Pino Corrias), 1994; Compagni d’Italia, 1996; Buongiorno, 2002; Granata da legare, 2006.
"È difficile dalla letteratura italiana moderna e contemporanea ritagliare, sia pure in antologia di non rilevante volume, una letteratura delle istituzioni. Che cosa è il Parlamento, che cosa una prefettura, un ufficio di polizia, un consorzio agrario, un ente di assistenza, una capitaneria di porto, uno stato maggiore, e così via, si ha l'impressione che soltanto la letteratura italiana ne abbia mancato la rappresentazione. Tanto vero che indelebili ci restano le eccezioni a questa regola: il Parlamento dell'Imperio di De Roberto, la questura di Roma di Carlo Emilio Gadda, l'Eca di Palermo di Matteo Collura... Questo libro di Luisa Adorno racconta che cosa è una prefettura, che cosa è un prefetto. E lo racconta con una vivacità, un'ironia, un brio da far pensare a certe pagine di Brancati." Leonardo Sciascia (1983)