
Molti anni fa, Carlo Malaguti ha ucciso. Da allora, la pena più dura non è quella che sta scontando nel carcere di Trieste, ma l'ostinato silenzio in cui ha seppellito la propria verità sul delitto, rinunciando persino a difendersi in tribunale. Tra le mura della sua cella sembra aver trovato un riparo dal rumore del mondo che lo aiuta ad affrontare la tenebra che sente dentro di sé. Adesso però Malaguti ha più di ottant'anni e un giudice ha stabilito che deve tornare libero. Ma libero di fare cosa? Di confessare? Di uccidere ancora? Sono queste le domande che non danno pace a Luca Rainer, stimato traduttore sulla soglia critica dei quaranta. I due non si conoscono, ma qualcuno vuole farli incontrare, sapendo che a legarli può esserci molto più di una fervida passione per la letteratura. Entrare nel labirinto fortificato che è la mente di Malaguti è un'impresa ardua: Rainer dovrà mostrarsi degno dei segreti che l'assassino custodisce, battersi con l'immensità della sua solitudine, e provare il sapore acre della paura.
Alice è una bambina obbligata dal padre a frequentare la scuola di sci. È una mattina di nebbia fitta, lei non ha voglia, il latte della colazione le pesa sullo stomaco. Persa nella nebbia, staccata dai compagni, se la fa addosso. Umiliata, cerca di scendere, ma finisce fuori pista spezzandosi una gamba. La lasciamo sulla neve credendo che morirà assiderata. Invece si salva, ma resterà zoppa e, soprattutto, segnata per sempre. Mattia è un bambino molto intelligente, ma ha una gemella, Michela, ritardata. La presenza di Michela umilia Mattia di fronte ai suoi compagni e, per questo, la prima volta che un compagno di classe li invita entrambi alla sua festa, Mattia abbandona Michela nel parco, con la promessa che lei lo aspetterà. Mattia non ritroverà più Michela. In quel parco, Michela si perde per sempre. Le vite di Alice e di Mattia, due esistenze segnate, si incroceranno. Diventeranno, Alice e Mattia, adolescenti, giovani, adulti.
Mario Giorgianni (1945-2011) era un architetto e urbanista, docente universitario, e, fino alla sua morte, non aveva pubblicato nulla di esterno alle sue discipline accademiche. Nei suoi cassetti si sono trovati scritti letterari e sono per molti aspetti sorprendenti: come il romanzo "La forma della sorte" (2012) e come questa complessa narrazione della Società della serra. È una storia sociale, una storia urbanistica e un romanzo che si fondono insieme in un'epopea con splendidi ritratti di eroi contadini dell'epoca della riforma agraria a Ragusa. Alla fine del testo, sulla narrazione romanzesca prevale l'immaginazione sociologica che raffigura una società resa speciale dal tipo di convivenza umana plasmata dalla ricca economia della serra.
Nei due estremi e intensissimi anni della sua vita (1955-57) Giuseppe Tomasi di Lampedusa mise insieme non solo gli otto capitoli del "Gattopardo", ma anche tre racconti e uno scritto di carattere autobiografico. Solo recentemente, però, in seguito al ritrovamento di alcuni manoscritti originali, è stato possibile sottoporre i testi brevi a una rigorosa verifica filologica e, in particolare, ricostruire nella loro interezza i "Ricordi d'infanzia", che ora acquistano una maggiore corposità. Il presente volume si apre appunto con i "Ricordi d'infanzia", scritti nell'estate del '55, che, come spiega Gioacchino Lanza Tomasi nella prefazione, "ci dischiudono il laboratorio dello scrittore al tempo del 'Gattopardo'". Segue "La gioia e la legge", un breve apologo, perfetto di tono e di misura. Ma il racconto più celebre della raccolta è senza dubbio "La Sirena" (precedentemente con il titolo imposto dalla vedova dell'autore, "Lighea"), scritto dopo una gita lungo la costa meridionale della Sicilia. Al centro della favola, al limite tra il reale e il surreale, si accampa un personaggio formidabile: il vecchio professor La Cura, il quale, da giovane, conobbe l'amore della Sirena, e non poté più gustarne altro. Chiude il libro "I gattini ciechi", che, dei tre racconti, è il più vicino come materia al "Gattopardo", sebbene sia nato come capitolo iniziale di un nuovo romanzo, del quale ha mantenuto il titolo. Introduzione di Gioacchino Lanza Tomasi.
Seduto alla scrivania di casa – sopra di lui lo sguardo vigile di Kurt Vonnegut, accanto a lui una finestra aperta su campi e boschi –, Michele Serra scrive le sue amache. Se non è a casa, le scrive dove capita: in treno, in macchina, al bar, in autogrill, ovunque. Praticamente senza sosta, ogni giorno, da un quarto di secolo. Ormai sono quasi ottomila corsivi, quasi ottomila opinioni: abbastanza per sentirsi “un caso umano”, per voltarsi indietro e interrogarsi sulle ragioni e la sostanza di tutto questo. Ecco allora la precoce familiarità di Serra con libri e macchine per scrivere, il debito di riconoscenza nei confronti di persone e luoghi che lo hanno formato, la scoperta delle parole più ricorrenti tra le centinaia di migliaia battute sulla tastiera. Fra tutte, le più utilizzate sono due, sinistra e politica. “Se l’ho scritta ben 1321 volte, la parola ‘sinistra’, è sicuramente perché stavo cercando di spiegare prima di tutto a me stesso che cosa volevo dire esattamente, dicendo sinistra. Lo stimolo fondamentale della scrittura, direi non solo della mia, è l’ignoto.” Una riflessione emozionata e comica sul mestiere di scrivere, pubblicata in sincrono con Il grande libro delle amache, in cui si può leggere la storia di questi venticinque anni mentre accadevano. Questo libretto ne è la postilla e il compendio.
Vienna, 1827. Un'immensa folla riempie le strade, riunita per l'estremo saluto al sommo musicista. Tra gli altri anche il giovane Gerhard von Breuning, scosso dai singhiozzi. Lui ha capito che Beethoven, l'uomo collerico, allergico a ogni servilismo, reso burbero dalla sordità, è colui che più di ogni altro ha saputo attingere dagli abissi primordiali dell'umanità il mistero del suono con cui la vita si dichiara. Tokyo, 1872. Mori Noboru rientra in Giappone dopo cinque anni in Europa. Ha studiato la cultura "barbarica" ed è uno dei più convinti fautori del nuovo. La filosofia e le tecniche più moderne dovranno ispirare l'era inaugurata dall'imperatore Meiji, insieme alla musica per pianoforte e alle sinfonie di Beethoven. Ma l'ostilità all'apertura verso l'Occidente cresce intorno a lui sino alla violenza. Solo l'amatissima sorella Yumi si lascerà contagiare dalla meraviglia arcana della musica insieme a Noboru, fino alla vertigine... Berlino, 1947. Il famoso direttore d'orchestra Wilhelm Furtwangler - reduce dall'umiliante "processo di denazificazione" per aver diretto i Berliner Philharmoniker negli anni hitleriani - giunge nella città colma di macerie, percorsa da figure della follia e del dolore e sente che le ombre della storia continuano a soverchiarlo.
Quattro amici guardano in televisione la finale dei Mondiali di calcio del 1998. Non hanno ancora trent'anni, e hanno condiviso la giovinezza, gli studi, l'esercito, le avventure, i sogni e le difficoltà, le speranze e gli amori. Sono uniti da un legame intenso, dal bisogno profondo di parlare e di confrontarsi su tutto, senza vergogna, affrontando le lacrime e la gioia, la vita in ogni suo aspetto. Yuval, il narratore, ha un animo buono e una spartana educazione anglosassone; Churchill è un egoista irresponsabile ma trascinante, ed è il fondatore della loro gang dai tempi del liceo. Ofir vive di parole e brucia ogni giorno la sua creatività in un ufficio pubblicitario. Amichai vende polizze mediche ai malati di cuore, è già sposato e ha due figlie. Durante la partita Amichai ha un'idea: perché non scrivere su un foglietto i propri desideri, i sogni per gli anni a venire, per poi attendere la prossima finale della coppa del mondo e vedere se si sono realizzati? Quel giorno in cui sta per scrivere il suo bigliettino Yuval ha da poco incontrato Yaara, e sa già che è la donna della sua vita. Nel bigliettino dei desideri Yuval scrive: "Ai prossimi Mondiali voglio stare ancora con Yaara. Ai prossimi Mondiali voglio essere sposato con Yaara. Ai prossimi Mondiali voglio avere un figlio da Yaara. Possibilmente una figlia". Il suo destino, e quello dei suoi amici, è pronto a mettersi in moto.
Siamo negli anni Trenta, all'epoca del fascismo più placido e trionfante. Nella stazione dei Carabinieri di Bellano, sotto gli occhi del carabiniere Locatelli (bergamasco), rivaleggiano il brigadiere Mannu (sardo) e l'appuntato Misfatti (siciliano). Un'anziana signora vuole a tutti i costi parlare con il maresciallo Maccadò. La donna - anzi, la signorina Tecla Manzi - è venuta a denunciare un furto improbabile: il quadretto con il Sacro Cuore di Gesù che teneva appeso sopra la testata del letto. Inizia così una strana indagine alla ricerca di un oggetto senza valore, che porta alla luce una trama di fratelli scomparsi e ricomparsi, bancari e usurai, gerarchi fascisti e belle donne, preti e contrabbandieri.
"Erano gli anni Ottanta - e le chiedevo se aveva messo 'pen on paper', come amava dire Marella. A volte sì, più spesso no, rispondeva. C'erano sempre troppe cose che succedevano e si succedevano. Eppure le pagine lentamente si depositavano. Ma non sarebbero mai state rievocazioni arrotondate, piallate, aggiustate da quella somma falsaria che è la memoria. Erano schegge di infanzia e adolescenza, giustapposte, imperiose. Fra vaste lacune, si disponevano in una sequenza di tracce vivide: impressioni, espressioni, vestiti, colori, frasi, materie, piante, odori, accenni di sentimenti, che si profilavano e si nascondevano. Nomi di luoghi che schiudevano immagini accessibili soltanto a chi ne stava scrivendo. Innanzitutto una villa, 'I Cancelli', sulle colline di Firenze, dove era apparsa "la Signora Gocà", in un gioco di bambini. E poi Ratzötz, Balta-Liman, il Roncaccio. Alla fine, Roma. La psicologia: sempre implicita, mai dichiarata, come se stesse a poco a poco uscendo dal bozzolo dell''opaca adolescenza'. E, più ancora della narratrice, illuminava di sguincio la madre Margaret, i fratelli Carlo e Nicola, il padre Filippo, la nonna Meralda, le prime amiche, che avevano lasciato un segno indelebile. E un mondo intero, fascinoso e angoscioso, che si sarebbe dissolto per sempre con la fine della guerra e il boogie-woogie." (R. C.)
Bet non è bella ma fa tipo. È appassionata, grintosa e ha una lingua corrosiva. Ripete il terzo anno di liceo e abita in Barriera di Milano, un posto che si chiama così anche se si trova a Torino. Bet ce l'ha con il mondo. Con il padre, ex operaio ed ex sindacalista, che si è trasferito nella capitale. Con la madre, che non riesce a tenerle testa per quanto si sforzi, e con il passivo compagno di lei, Leonardo. Con il Guardone del palazzo, che la spia da dietro le tende. Con la scuola, che tenta di irreggimentarla. Con la gente, che ha perso la voglia di ribellarsi. E persino con se stessa. Perché si incolpa della tragedia che ha distrutto la sua famiglia. Bet non ce la fa proprio a frenare la lingua e a non dire quello che pensa. In modo ingenuo, a volte goffo, ma obbedendo a un istinto incontrollabile, perché vuole cambiare le cose. Prima si oppone allo sfratto di un'anziana signora, finendo in caserma. Poi cerca di aiutare Viola, una ventiduenne incinta dalla risata esplosiva, ma riesce a ficcarsi in un altro guaio. Infine, insieme al suo amico Andrea, organizza uno sciopero nella fabbrica dove la madre rischia il licenziamento. Ma la delusione e la rabbia per i soprusi subiti la spingono a un gesto impulsivo e lucidissimo, dagli effetti inarrestabili. Il ritratto di un'intera generazione precaria, incatenata e muta, che però non sa smettere di sognare.
La notizia è di quelle che richiedono un brindisi speciale. Su una terrazza incastonata nel Supramonte, in uno degli hotel più incantevoli della Sardegna, il vicequestore Vito Strega sta festeggiando la nascita della nuova unità investigativa sui crimini seriali. Con lui ci sono le inseparabili ispettrici Eva Croce e Mara Rais. Finalmente tutto sembra andare per il verso giusto. Ma una telefonata li riporta alla realtà e i tre devono salutare il cielo terso e il sole dell'isola. Nelle terre paludose del Parco del Ticino è stato ritrovato il corpo di una ragazza. Quando l'ispettrice Clara Pontecorvo arriva sul posto, stenta a credere ai propri occhi: la vittima ha le mani legate dietro la schiena e indossa una maschera bovina. Mancava solo questo per Clara, che ha già un grosso problema: è alta 1,98, non trova mai dei vestiti adatti a lei. Tantomeno un uomo. L'istinto le dice che quella scena del crimine potrebbe essere la riproduzione di un altro delitto avvenuto in Sardegna.
Da sempre la cucina è la più grande passione di Matilde, una passione tramandata in famiglia: il nonno aveva una trattoria e un avo era un celebre cuoco degli Estensi. Da loro Matilde ha ereditato l'amore per il cibo che prepara, gusta e serve ai suoi clienti dell'Osteria della Fola. La sua vita tranquilla cambia il giorno in cui per caso incontra Jacopo, un vagabondo sbucato come un fantasma dalla nebbia che avvolge Ferrara. Matilde sente di potersi fidare di lui e lo accoglie nel suo ristorante, dove, vedendolo a suo agio tra spezie e tortellini, scopre il suo dono: è un brillante cuoco. Il suo modo di cucinare è unico al mondo. Conosce le più antiche tradizioni culinarie e gli ingredienti perfetti per esaltare ogni manicaretto. I due cominciano a lavorare insieme, per il successo dell'osteria e la felicità di Matilde. Eppure all'improvviso qualcosa minaccia quest'armonia: due amici di Matilde, un noto giornalista-gourmet e un anziano cuoco, muoiono tragicamente dando il via a una macabra serie di delitti orchestrati da un'oscura società segreta. La setta dei Golosi è disposta a tutto per raggiungere il suo scopo: trovare chi custodisce la Sublime ricetta, che secondo la leggenda sa regalare l'immortalità. Nessuno chef è più al sicuro. Perché, come accade nella vita, anche in cucina arriva il momento in cui non è più possibile tenere nascosti i propri segreti.

