
Elena non è soddisfatta della sua vita. Il suo matrimonio si trascina stancamente, senza passione né curiosità. Suo marito è diventato ormai come un fratello: "Non viviamo insieme, insieme ammazziamo il tempo. Abbiamo stupidamente pensato che due infelicità unite potessero dar vita a una felicità". Ha sempre deciso in anticipo come doveva essere la sua vita: la scuola da fare, l'università, l'uomo da sposare... perfino il colore del divano. È diventata moglie prima di diventare donna. Finché un giorno sente che qualcosa inizia a scricchiolare. La passione e il desiderio si affacciano nella sua quotidianità, costringendola a mettersi in discussione. Elena si rende conto che un altro modo di vivere è possibile. Forse lei si merita di più, forse anche lei si merita la felicità. Basta solo trovare il coraggio di provare, di buttarsi, magari di sbagliare. "Per anni ho aspettato che la mia vita cambiasse, invece ora so che era lei ad aspettare che cambiassi io". Un libro sincero e intenso, capace di affrontare i sentimenti senza trucchi o giri di parole, e di portarci faccia a faccia con le nostre emozioni più vere.
I Felici, una famiglia, ma anche un'identità in cammino. E un luogo d'incontro di tanti interrogativi sul senso della comunità, sul modo di vivere la fede, sul dovere dell'impegno civile e sul peso della responsabilità, sul perché del male e sulla legittimità di tornare a sogni "dalla pelle dura". Alexander Dubcek che si racconta in una visita inverosimile e il "Rossini" che fugge; la "torinese" con le sue sorprendenti battute e la sua ricerca senza fine; Sabato Felici, il vecchio combattente contro malattie e ingiustizie, preso dalle sue memorie e immerso nelle sue carte; la priora Letizia che si fa chiamare la Minore; Borges che appare in sogno nella notte di Baires; e soprattutto, gli ex ragazzi della Piana e i sentieri percorsi dalle loro vite e dalle loro speranze, tra successi effimeri e "sconfitte degne di risurrezione". Nel caleidoscopio dei colori che il romanzo teologico di Borgognoni di continuo compone e ricompone, in un crescendo di tensione che è insieme narrativa, religiosa e politica, il verde chiaro degli occhi di Evel sembra mescolarsi con il verde di uno scassatissimo Maggiolino, il rosso di uno straccio che sa di Resistenza e di giustizia sociale richiama quello di una scritta murale che parla di risurrezione, la luce della candida tunica di Marco pare fondersi con il bianco della barba del padre di Evel, complice un abbraccio lungo e muto.
La prima edizione di 'Le poesie' di Tommaso Campanella, fu pubblicata da Einaudi a Torino, nel 1998. Esaurita da tempo viene sostituita da questa nuova edizione, che la accresce notevolmente con aggiunte che il curatore ha tratto da propri lavori successivi e con altre aggiunte inedite.
"Arturo si era convinto di potere una vita speciale, ma poi non muoveva passi, verso l'ignoto, per paura di una vita vera. Il risultato era una vita fasulla, come quella delle formiche inoperose." E da dieci anni che Arturo non sale su un tram. L'ultima volta che lo ha fatto era un giovane attore di belle speranze e andava a incontrare una ragazza perfetta e misteriosa, con il nome di un'isola, quella leggendaria di Platone: Atlantide. Ma il destino cancella il loro appuntamento e, da lì in poi, niente andrà come doveva andare. Oggi Arturo è un quarantenne tormentato da mille paure. Mentre attorno tutto si muove, lui resta fermo, immobile, come un divano rimasto con la plastica addosso in quelle stanze in cui non si entra per paura di sporcare. Quando sale sul tram 14, che da Porta Maggiore scandisce piano tutta la Prenestina, ha un cappellino in testa per nascondere i pensieri scomodi e nella pancia il peso rumoroso dei rimpianti. E mentre i binari scorrono lenti, in una Roma che si risveglia dall'inverno, e la gente sale e scende, ognuno con la sua storia complicata appesa al braccio come una ventiquattrore, Arturo, che nella sua vita sbagliata ha sempre aspettato troppo, fa i conti con il passato, cercando il coraggio di prenotare la sua fermata. Perché nel posto in cui sta andando c'è forse l'ultima possibilità di ricominciare daccapo, e di prendersi quel futuro bello da cui lui è sempre scappato.
I sonetti; Le favole; Nove poesie; Lupi e agnelli; Le cose; Le storie; Ommini e bestie; La gente; Libro n. 9; Giove e le bestie; Libro muto. Trilussa è il poeta dialettale più famoso d'Italia, grazie a un linguaggio romanesco che ha il dono di farsi capire da tutti. Questo volume presenta il meglio della sua produzione, con le edizioni integrali delle raccolte pubblicate tra il 1922 e il 1935. Nelle parole di Trilussa la cronaca della vita romana e nazionale, filtrata attraverso una bonaria ironia, si svolge dai Sonetti a La gente , approdando alla "favola" di Lupi e agnelli e a Ommini e bestie . La sua poesia divenne interprete della borghesia, che vide riflessi nei versi i propri vizi e le proprie debolezze: così è in particolare nel Libro n. 9 (del 1929). Vicende e costumi italiani furono espressi da Trilussa con affabile arguzia, venata a tratti da una crepuscolare malinconia: elementi di un classico da riscoprire oggi più che mai e da tornare a frequentare. Introduzione di Claudio Rendina.
Non esistono colpe, se nessuno paga. Lo sgomento nel cuore di Palma è sconfinato, quando ritrova sua sorella in punto di morte. È tutta colpa di quello che le hanno fatto. E Maria Rosaria in fondo si era solo innamorata di Cosimo Logreco, il primogenito di una famiglia poco raccomandabile. Lei che era sempre stata la bella del paese, che ogni anno vestiva i panni della vergine durante la processione, ha perso famiglia e futuro in un istante. Quando con una borsa e niente più si è presentata a casa del ragazzo, la sorella di lui l'ha fatta entrare e, promettendole di portarla da Cosimo, l'ha scortata fino a una masseria cadente; allora è successo tutto e tutto è finito. Lei era incinta. Per Palma è impossibile dimenticare, l'impotenza la logora, nonostante siano passati anni e con il marito e la figlia piccola si possa dire felice. Nel momento in cui vede la sorella di Cosimo al sesto mese e piena di gioia qualcosa di primitivo nasce in lei. Prepara la propria vendetta con minuzia. In una lingua asciutta e aspra, capace di guardare alla tragedia con quieta disperazione, Carmen Totaro ci racconta una storia ancestrale e attualissima. Ci descrive un mondo costellato da donne, sempre in bilico tra grazia e orrore, ma le cui leggi sono ancora brutalmente stabilite dagli uomini.
"In ogni pagina di questo libro c'è il modo di essere donna (di Natalia Ginzburg): un modo spesso dolente ma sempre pratico e quasi brusco, in mezzo ai dolori e alle gioie della vita... Tra i capitoli del volume si ricorda 'Ritratto d'un amico', certo la più bella cosa che sia stata scritta sull'uomo Cesare Pavese. E le pagine scritte subito dopo la guerra, che riportano con una forza più che mai struggente il senso dell'esperienza d'anni terribili (e sanno pur farlo, serbando, come 'Le scarpe rotte', un quasi miracoloso senso del comico). Poi, le prove (come 'Silenzio' e 'Le piccole virtù') d'una Natalia Ginzburg moralista, dove una partecipazione acuta ai mali del secolo sembra nascere dalla matrice d'un calore familiare. E soprattutto, perfetto capitolo d'una autobiografia in chiave obiettiva e ironica, 'Lui e io', in cui la contrapposizione dei caratteri si trasforma, da spunto di commedia, nel più affettuoso poema della vita coniugale." (Italo Calvino). L'edizione è corredata dal saggio di Domenico Scarpa "Le strade di Natalia Ginzburg" e da un apparato comprendente le Notizie sul testo, un'antologia della critica, una bibliografia e una cronologia della vita e delle opere. Prefazione di Adriano Sofri.
Il 10 settembre 1649, da un porto olandese, un viaggiatore straordinario si imbarca per Stoccolma. Chi invita in Svezia René Descartes è la regina Cristina. A Stoccolma, che vive uno dei suoi autunni più gelidi e cupi, Descartes incontra amici fidati (l'ambasciatore di Francia Chanut e sua moglie Emilie), molta gente singolare (il pittore Machado, inetto nella pittura ma poeta esperto) e moltissima malfida. Rintanato in casa, isolato da tutti, in attesa della chiamata della regina, si rende conto che solo la vanità lo ha indotto al durissimo viaggio. A sostenere Descartes è la corrispondenza che tiene con mezza Europa, in particolare con la principessa Elisabetta, oggetto di una straordinaria passione intellettuale: a lei dà consigli filosofici, medici e politici e confida la sua speranza di ritorno. Nel contempo però commette imperdonabili errori, come dedicare alla regina il trattato "Le passioni dell'anima" che ha scritto per Elisabetta. Ma in un'alba di ghiaccio, mentre aspetta di esser ricevuto dalla regina, Descartes ha il malore che lo conduce a morte. Nella narrazione delle sue ultime ore, fatta a più voci, in un'insostenibile concitazione si affacciano tutte le interpretazioni, anche le più perturbanti. "Le passioni dell'anima" racconta tutto questo con un'impercettibile tessitura di testi autentici, interpolazioni e apocrifi, doppiando così nella scrittura una storia in cui il vero e il falso, il detto e il non detto s'intrecciano senza posa.
L'Italia che cambia degli anni settanta non sembra aver voglia di cambiare in via Icaro 15, Milano. Sì, certo, l'eco arriva anche lì ma Elvira, la portinaia, è, come un secolo prima, alla mercé di inquilini gretti, litigiosi, pettegoli. Un universo di maligne ottusità e luoghi comuni che tuttavia diventa teatro del mondo nell'immaginazione duttile e porosa di Chino, il figlio adolescente di Elvira. Quando, al quinto piano, prende casa Amelia Lynd, un'anziana signora dall'incedere altero, maniere impeccabili, madrelingua inglese, Chino ne avverte subito il carisma e ne diventa adorante discepolo. Da dove viene? Cos'ha da nascondere? Qual è il suo segreto? Gli inquilini la mettono al bando, la ostracizzano. Chino si muove, con una sorta di strana ebbrezza, fra i sogni combattivi della madre - diventare proprietaria di uno degli appartamenti abitati dai suoi aguzzini - e le utopie della nuova madre-maestra dalla quale apprende la magia delle parole, le parole che raccontano e le parole che semplicemente dicono. Proprio allora la commedia quotidiana cede al dramma e le vicende di via Icaro e della sua portineria subiscono una fortissima accelerazione. E Chino deve imparare più in fretta, di che passioni, di che ambizioni, di che febbri è intessuta la vita.
Nelle terre di confine tra Liguria e Francia, un gruppo di personaggi il cui ago della bilancia è Veronique, con la sua malinconica bellezza, si incontra nelle case, lungo i sentieri delle colline, sulle strade vicino al mare. Nel fitto intreccio delle loro parole prende corpo il senso profondo della civiltà che quella terra ha espresso: il saper guardare gli alberi e i colori, il ricordo di guerre combattute senza doversi nascondere, i simboli malati delle culture nate da quello scontro. La conversazione è come sospesa sull'abisso. Nell'oscurità della notte si agita un mondo clandestino regolato dalle leggi della violenza e dello sfruttamento: l'universo dei disperati che si riversa in Occidente come un'onda oscura e inarrestabile. Prefazione di Giorgio Ficara.
Due donne si parlano con gli occhi. Conoscono il linguaggio del corpo e per loro la verità è scritta sulle facce degli altri. Entrambe hanno imparato a non sottovalutare le conseguenze dell’amore.
Sara Morozzi l’ha capito molto presto, Teresa Pandolfi troppo tardi.
Diverse come il giorno e la notte, sono cresciute insieme: colleghe, amiche, avversarie leali presso una delle più segrete unità dei Servizi. Per amore, Sara ha rinunciato a tutto, abbandonando un marito e un figlio che ha rivisto soltanto sul tavolo di un obitorio. Per non privarsi di nulla, Teresa ha rinunciato all’amore.
Trent’anni dopo, Sara prova a uscire dalla solitudine in cui è sprofondata dalla scomparsa del suo compagno, mentre Teresa ha conquistato i vertici dell’unità. Ma questa volta ha commesso un errore: si è fatta ammaliare dagli occhi di Sergio, un giovane e fascinoso ricercatore. Così, quando il ragazzo sparisce senza lasciare traccia, non le resta che chiedere aiuto all’amica di un tempo. E Sara, la donna invisibile, torna sul campo. Insieme a lei ci sono il goffo ispettore Davide Pardo e Viola, ultima compagna del figlio, che da poco l’ha resa nonna, regalandole una nuova speranza.
Maurizio de Giovanni esplora le profondità del silenzio e celebra il coraggio della rinascita, perché niente è davvero perduto finché si riescono a pronunciare parole d’amore.
Pietro è un ragazzino di città, solitario e un po' scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico, un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia. I genitori di Pietro sono uniti da una passione comune, fondativa: in montagna si sono conosciuti, innamorati, si sono addirittura sposati ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. La montagna li ha uniti da sempre, anche nella tragedia, e l'orizzonte lineare di Milano li riempie ora di rimpianto e nostalgia. Quando scoprono il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, sentono di aver trovato il posto giusto: Pietro trascorrerà tutte le estati in quel luogo "chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe che ne ostacola l'accesso" ma attraversato da un torrente che lo incanta dal primo momento. E li, ad aspettarlo, c'è Bruno, capelli biondo canapa e collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si occupa del pascolo delle vacche. Iniziano così estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri più aspri. Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, "la cosa più simile a un'educazione che abbia ricevuto da lui". Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito più vero: "Eccola li, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino". Un'eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà a Bruno.