
Giallo che fin dall'inizio vede innescarsi, nella vita di una famiglia, un groviglio di intrecci e un susseguirsi vorticoso di azioni che ingenerano suspance. All'interno di questo gruppo, amori nascono e muoiono, fraintendimenti e passioni si mescolano in un gioco dove però l'amore con la 'A' maiuscola saprà dar luce ai misteri di tutta la vicenda.
«Mi aiuti a scoprire chi era mio padre? Non l'ho mai conosciuto, ma è sempre con me.» Per mesi questa richiesta, arrivata alla fine di una presentazione de "La mattina dopo", è rimasta sepolta nei miei pensieri. Poi, la mail di un missionario che vive nel deserto algerino mi ha convinto a mettermi in viaggio. Il padre di Marta scomparve nel 1975 quando lei non era ancora nata, risucchiato nel gorgo del terrorismo che aveva cominciato a insanguinare l'Italia. Carlo Saronio, figlio di una delle famiglie più benestanti di Milano, non aveva ancora ventisei anni quando venne tradito dagli amici con cui condivideva ideali rivoluzionari. Marta per anni non ha mai fatto domande, immersa in un faticoso silenzio. Ma non si può vivere in eterno con i fantasmi, arriva sempre il giorno in cui dobbiamo fare i conti con le memorie, anche le più dolorose. Così le ho detto di sì, e ho cominciato un viaggio alla ricerca delle tracce di quel ragazzo che viveva sospeso tra due mondi inconciliabili, che trovò il coraggio di scegliere la sua strada quando era troppo tardi. Scavando nei ricordi di una Milano in cui il passato è ancora presente tra noi, sono riuscito a riannodare i fili di una storia mai raccontata, che appartiene anche a me.
Roma durante il fascismo. Il commissario di polizia don Ciccio Ingravallo è incaricato di svolgere un'inchiesta su un furto di gioielli avvenuto al 219 di via Merulana, una via popolare nel cuore di un vecchio quartiere. Nella casa abitano due amici del commissario: i coniugi Balducci, dai quali è solito andare a pranzo nei giorni festivi. Per lo scapolo don Ciccio Liliana Balducci è l'incarnazione della dolcezza e della purezza femminile. Un mattino, Liliana viene selvaggiamente assassinata nel suo appartamento: il furto dei gioielli e l'assassinio sono opera di una stessa persona? Da questi episodi prende il via il romanzo gaddiano, che, apparso in "Letteratura" nell'immediato dopoguerra, fu scritto a Firenze nel ricordo di un lontano soggiorno nella capitale (1926-27). Basandosi su un reale fatto di sangue, Gadda costruisce un intrigo poliziesco che gioca su un duplice registro: può essere letto, infatti, come eco del mondo e come bricolage letterario.
Nel giro di pochi giorni, nel marzo del 1927, un furto di denaro e gioielli ai danni di una svaporata e fantasiosa vedova, la contessa Menegazzi, e poi l'omicidio della ricca, splendida e malinconica Liliana Balducci, sgozzata con ferocia inaudita, incrinano la decorosa quiete di un grigio palazzo abitato da pescecani, in via Merulana, come se una «vampa calda, vorace, avventatasi fuori dall'inferno» l'avesse d'improvviso investito - una vampa di cupidigia e brutale passione. Indaga su entrambi i casi, forse collegati, Francesco Ingravallo, perspicace commissario-filosofo e segreto ammiratore di Liliana: ma la sua livida, rabbiosa determinazione, il suo prodigioso intuito per il «quanto di erotia» che ogni delitto nasconde e le pressioni di chi pretende a ogni costo un colpevole da dare in pasto alla «moltitudine pazza» non basteranno ad aver ragione del disordine e del Male. L'inchiesta sui torbidi misteri del «palazzo dell'Oro» gli concederà, al più, la medesima, lacerante cognizione del dolore di Gonzalo Pirobutirro. Giallo abnorme, temerario, enigmatico, frutto della irresistibile attrazione che su Gadda esercitavano il romanzo e i crimini tenebrosi ma insieme di una tensione conoscitiva che finisce per travolgere ogni possibile plot, il Pasticciaccio è anche il ritratto di una città e di una nazione degradate dalla follia narcisistica del Tiranno, dove si riversa a ondate tumultuose una realtà perturbata e molteplice - e dove, a rappresentarla, sono convocate, in uno sforzo immane, tutte le risorse della nostra lingua, dei dialetti, delle scienze e delle tecniche.
Montechiasso è un borgo toscano arroccato sulle colline: nelle giornate di cielo nitido, scarno di nubi e con l'aria frizzante e pulita, si scorgono le vette delle Apuane, il mar Tirreno, le colline Metallifere, gli Appennini tosco-emiliani, il Casentino. Lì vive Sara, diciannove anni, figlia di Attilio, un tempo militante comunista nonché voce e chitarra del gruppo rock I Timidi. Ma a Montechiasso sono arrivati anche nuovi abitanti: per esempio il suo amico Averroè, giovane promessa dell'atletica nonché figlio dell'imam. Tutto sembra andare per il meglio, finché non arriva la notizia bomba: nel paese verrà costruita una gigantesca moschea, un'astronave aliena edificata tra le vigne e i campanili. Verranno tutti coinvolti in una discussione che rischia di degenerare, tra razzismi e idealismi, solidarietà e diffidenze: anziani con il pannolone e casalinghe disperate, preti troppo intraprendenti e affaristi senza scrupoli, politicanti di provincia e giornalisti ficcanaso, vecchi militanti e giovani rampanti, sciampiste pettegole e commesse della Coop.
Il neorealismo di Berto non era un’obbedienza alla moda
corrente dei neorealisti tesserati. Eterno goliardo, Berto
non si vendeva, restava imprevedibile e inclassificabile,
gregario neppure di se stesso.
Giancarlo Vigorelli
Settembre 1942-maggio 1943: è l’intervallo in cui si svolgono, sul fronte africano del secondo conflitto mondiale, le vicende raccontate da Giuseppe Berto nel suo “diario di guerra”. Biondo e scapigliato capo manipolo in camicia nera, il personaggio-Berto che anima questo memoir è un ben strano volontario, che parte a tutti i costi per l’Africa, salvo confessare subito la sua “profonda avversione per le divise”. Il resoconto di quei mesi passati sotto il cielo afri cano, dell’attesa estenuante del combattimento e dello scontro, è opera realistica e insieme di pura invenzione, romanzo che Berto stesso indicava come il “libro spartiacque” nel proprio itinerario di scrittore. La sua voce di autore irregolare, tra i più interessanti del nostro Novecento, si libera in queste pagine da qualsiasi retorica per chiedere, con sobria onestà, che “la guerra sia finalmente perdonata”.
Tre racconti, tre punti di vista, tre modi di descrivere una città e la sua periferia. Una città che può essere Napoli, Villeneuve, Newtown, Neustadt, Novigrad… Insomma, una di queste ‘Nea-polis’, di queste ‘città nuove’. Tre racconti diversi di Erri De Luca, Jennà Romano e Patrizio Trampetti, che si intersecano con le immagini di Sergio Siano e che pur vivendo di vita propria sono uniti dall’attaccamento alla terra Madre, simbolo di realtà e radicamento sul territorio. L’intensità e la varietà del tema, il contatto stretto con la città e la periferia, prendono vita nei racconti attraverso le parole e sullo schermo attraverso i volti e le testimonianze degli autori.
"Ci sono parole senza corpo e parole con il corpo. Libertà è una parola senza corpo. Come anima. Come amore. Parenti dell'aria e quanto l'aria senza confini definiti, hanno bisogno di qualcuno che presti loro la sua carne, il suo sangue e i suoi limiti perché diventino concrete. In questo libro è raccontata la storia di come una libertà, la mia, sia germinata dai luoghi vissuti da bambino e poi abbia preso il volo dal mio incontro con la lettura. Così queste pagine, nei mesi, sono diventate un'ossessione, la scrittura mi ha torto il collo e ha costretto il mio sguardo nei luoghi felici dell'infanzia o a muovere i miei passi dentro dolori intensi che pensavo di avere rimosso. Mentre ero in ospedale, tanti anni fa, con lo sguardo ostruito dalle sponde di un letto, il dolore stava accucciato in attesa di un nuovo sforzo, pronto ad aggredire. E tuttavia, col tempo, il letto si è trasformato in un tappeto volante, un luogo in cui per un po' ci si sottrae al mormorio del quotidiano e si vedono le cose da lontano e dall'alto. Da lassù gli anni scorrono via dalle nostre vene, si concede una tregua al corpo e il pensiero si libera del superfluo che ingombra la giornata. Ho concepito e scritto diverse poesie adagiato a letto. Non ci vuole molto: una matita, un taccuino e il mondo che si raduna intorno a te, e lascia i suoi segni sulla pagina da scrivere come baci sulla pelle di un'amata. Così possiamo darci alla sostanza tiepida dei sogni..." (Pierluigi Cappello)
Perché possiamo dirci italiani? A dispetto delle tante divisioni, storiche e attuali, c'è qualcosa che ci accomuna. Una serie di tratti che ci rendono immediatamente riconoscibili in qualsiasi luogo del mondo; nel male ma anche nel bene. Corrado Augias ci accompagna in un viaggio alla scoperta di ciò che definisce il nostro carattere nazionale. Un viaggio nei luoghi della nostra memoria collettiva e in quelli del suo cuore: dalla Milano del teatro alla Trieste di confine, transitando per Bologna dove il Nord incontra il Sud, poi Roma e Napoli per arrivare a Palermo, alle porte di un'altra civiltà con cui da sempre abbiamo dialogato. Un'opera civile e insieme intima, che scava alla ricerca di un'identità le cui radici affondano nei mille diversi volti di un paese grande, bellissimo e tormentato.
Una dichiarazione d'amore al nostro Paese, nonostante i suoi difetti.
A quarant'anni Andrea è un giornalista fallito che ha abbandonato da tempo ogni ambizione di vita e di lavoro. Quando viene colpito dalle prime avvisaglie di una terribile malattia neuromuscolare, Andrea sembra paradossalmente ritrovare le energie e le forze del passato. Rifiutandosi di diventare soltanto un caso umano da compatire, decide infatti di aiutare Francesco, un giovane praticante del giornale, in una pericolosa indagine sulla corruzione e le infiltrazioni mafiose nelle istituzioni torinesi. Lavorare su questo difficile e intricato caso aiuterà Andrea a riscattarsi, mentre il progredire della malattia lo spingerà ad affrontare ogni giorno qualcosa di diverso e a conquistarsi, a ogni nuovo respiro concesso dalla vita, il tempo per pensare, progettare, amare.
Emma ha trent'anni e lavora come avvocato nel prestigioso studio milanese di suo marito Lorenzo. La vita che ha costruito è esattamente quella che desiderava - riunioni, processi e serate mondane a cui è impossibile sottrarsi - ma non riesce a comprendere il senso di oppressione che prova ogni mattina al risveglio. Per questo tutti rimangono sconvolti quando annuncia la sua imminente partenza per l'Africa. L'arrivo in Mozambico, una terra così lontana da tutto ciò che ha conosciuto fino a quel momento, sancisce per lei l'inizio di una nuova vita, dove finalmente può essere davvero se stessa. Nuri vive ad Arusha, in Tanzania, ha ventidue anni e molti sogni nel cassetto, sogni segreti che non può confidare che al suo diario e che la metterebbero di sicuro nei guai se suo padre dovesse scoprirli. Sa che ci sono luoghi in cui i suoi desideri più arditi costituiscono la norma, ma per quella normalità lei è disposta a lottare, anche se in gioco c'è la sua stessa vita. Emma e Nuri, due donne agli antipodi, due esistenze apparentemente inconciliabili che si incrociano nella scelta di chi dice basta e vuole divenire artefice del proprio destino.