
Lena è giovane, bellissima e intelligente e accanto ha un marito che farebbe qualunque cosa pur di renderla felice. Ma lei non sa più dare né ricevere amore fin da quando - aveva nove anni - qualcuno le ha rubato l'innocenza, segnandola per sempre. Un segreto nascosto con cura, sepolto nell'anima, un fantasma di cui però non riesce a liberarsi e che a poco a poco sgretola il suo equilibrio. L'affetto e la dedizione di Lorenzo non bastano, e nemmeno la nascita di Prisca scalfisce la scorza di questa donna gelida, nemica, distante. C'era la guerra all'epoca in cui Lena aveva vissuto sulla propria pelle la follia degli adulti; da allora è trascorso molto tempo, eppure lei continua a combattere un'infinita battaglia dentro se stessa, contro i demoni che l'assediano. La sua bambina la teme e la respinge fino al punto di odiarla, di non volerla vicino, e la tragica scomparsa di Lorenzo accelera il distacco della figlia dalla madre. Un rapporto distruttivo, logorante, che lentamente intacca anche la psiche di Prisca, inducendola a difendersi con una straziante, terribile forma di rifiuto... Ambientata fra il 1939 e i giorni nostri, una storia di infanzia tradita, di sentimenti calpestati, di amori molesti, cui la scrittura limpida e affilata di Barbara Garlaschelli imprime un pathos e una drammaticità crescenti, che catturano il lettore sino al liberatorio finale.
Avete presente quei momenti della vita in cui qualcosa inizia a non funzionare, e in un attimo sembra trascinarsi dietro tutto il resto? Ecco, prendete Cristina: per una diabolica serie di coincidenze nel giro di ventiquattr'ore perde il lavoro, la casa e il fidanzato. E se pure non c'è dubbio che certi fidanzati sia meglio perderli che trovarli, scovarne uno decente dopo i trent'anni sembra un'impresa più disperata che cercare un lavoro. Così Cristina si ritrova a vivere con il fratello e i genitori - che da quarant'anni si amano pazzamente e si chiamano fra loro "Cip" e "Ciccetta" -, a dover fare "l'inviata imbranata" in una trasmissione televisiva in diretta nazionale... e, come se non bastasse, a scoprire che il giovane medico del pronto soccorso che sin dal primo incontro l'ha folgorata è una meta irraggiungibile. Nemmeno i consigli di Carlotta, l'amica maestra di yoga e dispensatrice di amorevole saggezza, riescono a impedire che Cristina perda definitivamente il baricentro, infilandosi in una serie di situazioni sempre più complicate. Ma la realtà non è mai come sembra, e la vita le riserva ancora molte, moltissime sorprese... Perché spesso è necessario andare a sbattere contro il muro delle proprie ambizioni, perdersi nella selva delle proprie paure, fermarsi a riprendere fiato, per scoprire che la felicità è nascosta dove non la andremmo mai a cercare. Solo abbandonando ogni certezza si impara a cavalcare l'onda, anziché farsene travolgere...
Orgoglio, patriottismo, odio, amore: passioni pure e antiche si mescolano e si scontrano tra loro, intorbidate più che raffrenate dal senso, anch'esso antico, di reticenza e onore. Villa Spada, dimora signorile di un paesino a pochi chilometri dal Piave, nei giorni compresi tra il 9 novembre 1917 e il 30 ottobre 1918: siamo nell'area geografica e nell'arco temporale della disfatta di Caporetto e della conquista austriaca. Nella villa vivono i signori: il nonno Guglielmo Spada, un originale, e la nonna Nancy, colta e ardita; la zia Maria, che tiene in pugno l'andamento della casa; il giovane Paolo, diciassettenne, orfano, nel pieno dei furori dell'età; la giovane Giulia, procace e un po' folle, con la sua chioma fiammeggiante. E si muove in faccende la servitù: la cuoca Teresa, dura come legno di bosso e di saggezza stagionata; la figlia stolta Loretta, e il gigantesco custode Renato, da poco venuto alla villa. La storia, che il giovane Paolo racconta, inizia con l'insediamento nella grande casa del comando militare nemico. Un crudo episodio di violenza su fanciulle contadine e di dileggio del parroco del villaggio, accende il desiderio di rivalsa. Un conflitto in cui tutto si perde, una cospirazione patriottica in cui si insinua lo scontro di psicologie, reso degno o misero dall'impossibilità di perdonare, e di separare amore e odio, rispetto e vittoria.
La paura è un respiro trattenuto, le parole diventano un sussurro e cedono al silenzio. Quando riceve la telefonata, la voce femminile che lo strappa al sonno è spaventata e gli dà appuntamento per il giorno successivo, in un’aula di tribunale. Un incontro che non avverrà, perché in quell’aula, davanti ai suoi occhi, un uomo uccide la ragazza e si toglie la vita. Da lei, fa in tempo a udire solo poche sillabe. Solara.
Basta quel nome. Un nome che lo riporta al pomeriggio in cui sua moglie muore in un incidente stradale, lasciandolo solo a crescere Giulia. E ancora più indietro, all’estate in cui una bomba fa esplodere in una strada di Palermo la vita di un magistrato. Solo un episodio di una lunga stagione di stragi che, ancora una volta, getta l’Italia nel terrore. La verità di quei giorni è sepolta sotto un cumulo di macerie che in troppi hanno interesse a non rimuovere.
Forse, l’uomo avrebbe dovuto lasciar perdere, il giorno in cui ha sentito quel nome. Fingere di non sapere che l’inchiesta su cui si erano inutilmente accaniti suo padre e sua moglie, entrambi giornalisti, aveva lasciato nervi scoperti.
Perché in un Paese che si regge sui silenzi e le menzogne, la verità può diventare inafferrabile.
Matteo ama la pioggia. Gli piace sentirne il tocco leggero sulla pelle. Perché quello è l'unico momento in cui è uguale a tutti gli altri. Perché Matteo è nato sordo. Oggi è giorno di esercizi. La logopedista gli mostra un disegno con tre uccellini. Uno vola via. Quanti ne restano? La domanda è continua, insistita. Ma Matteo non risponde, la voce non esce, e nei suoi occhi profondi c'è un mondo fatto soltanto di silenzio. All'improvviso la voce, gutturale, esce: "Pecché vola via?". Un uccellino è volato via e Matteo l'ha capito prima di tutti. Prima della mamma, Sandra. Prima della sorella, Alice. È il padre a essere volato via, perché ha deciso di fuggire dalle sue responsabilità. All'inizio non era stato facile crescere il piccolo Matteo. Eppure tutti si erano fatti forza in nome di un comandamento inespresso: "Restare uniti grazie all'amore". Ma è stato proprio l'amore a travolgere Alberto, un amore perduto e sempre rimpianto. Uno di quei segreti del passato che ti sconvolge la vita quando meno te l'aspetti. E lo fa quando credi di essere al sicuro, perché sei adulto e sai che non ti può succedere. E che poi ti trascina nell'impeto di inseguire i tuoi sogni. Ma adesso Alberto ha una famiglia che ha bisogno di lui. Sandra, la donna che ha sacrificato tutto per il figlio. Alice, la figlia adolescente che sta diventando grande troppo in fretta. Ma soprattutto ha bisogno di lui Matteo, che vorrebbe gridare "Papà, non volare via."
PG - il protagonista - non ha mai pensato che la vita fosse una cosa seria e forse è per questo che ha sempre preferito il sorriso all'autocommiserazione. E adesso, alla soglia della vecchiaia, ragiona su quella forza quasi sovrannaturale capace di mettere in moto l'universo intero: la donna. E la donna si chiama Marie - giovane, lunghi capelli neri che incorniciano un volto da bambola, due tizzoni ardenti al posto delle pupille, la camminata aristocratica, seducente. Marie è volubile, colleziona amanti e capi firmati, per poi stufarsene il giorno dopo. Vive sempre in luoghi diversi (Argentina, NewYork,Venezia) e sempre trova qualcuno pronto a corteggiarla e a mantenerla. E come tanti uomini prima di lui, PG se ne innamora. Perdutamente. Inevitabilmente. Senza via di scampo. Comincia una lunga storia d'amore dove i ruoli dell'amante e dell'amata si alternano e si confondono, in un crescendo di patti, promesse, prove d'amore, silenzi, separazioni e focosi riavvicinamenti. PG insegue Marie, e Marie si fa inseguire, fino a quando le bugie e le verità diventano sfumature. Arrigo Cipriani "sfrutta" il modello della storia d'amore per giocare sui sentimenti e divagare leggermente sulle "cose della vita".
Nina è una signora che custodisce il tesoro della memoria di un secolo di vita della città di Genova: una storia segnata dalla caducità di tutte le cose umane, dall'alternanza di momenti di gioia irripetibile e di profondo dolore, dal conflitto tra una vita improntata ai valori cristiani e, tutto intorno, il grigiore di un regime di politicanti oppressori della Chiesa e delle identità locali e tradizionali. Tutto ciò senza però mai scendere a compromessi con il male e senza perdere la speranza (sostenuta da una fede senza incertezze) in un mondo nel quale sarà asciugata ogni lacrima.
Si può scrivere la storia vera di una donna che non è mai esistita? La risposta è sì: lo hanno fatto le centodiciannove voci di donne realmente esistite che si alternano in questo romanzo in un montaggio sapiente, che trascina ed emoziona. Donne del Novecento italiano diverse per età, inclinazioni, livello d'istruzione, estrazione sociale, che hanno lasciato lettere, diari, memorie private. Scrivere, per loro, ha significato soprattutto portare in salvo se stesse. «Un corteo di donne che cercano, per una di loro, il posto in un universo maschile». Il primo romanzo della collana Unici è un libro sulle donne diverso da tutti gli altri. Il suo gesto rivoluzionario è questo: al posto di parlare dell'oggi resta avvinghiato alle radici, al Novecento, e fa parlare i documenti senza aggiungere un commento. Accosta delle voci vere e lascia fare a loro. La protagonista di "Nonostante tutte" si chiama Nina ma potrebbe chiamarsi con oltre cento nomi differenti. La sua storia è immaginaria, il suo racconto no: è affidato alle parole di chi ha lasciato una traccia di sé in una pagina fuggita all'oblio. È attraverso questi frammenti di voci, scelti dall'autore tra migliaia e poi assemblati come tessere di un mosaico, che la protagonista di questo romanzo prende vita. Come se quelle centodiciannove donne si passassero in una staffetta senza fine il testimone e la parola per raccontare un'unica storia con un brillio diverso. L'infanzia incantata e spaccata, il desiderio di una vita differente, il sesso, il lavoro, il matrimonio, la maternità, la malattia, l'amicizia, l'impegno civile, la vecchiaia... Esperienze individuali irriducibili, certo, eppure collettive. Per questo il romanzo dalla struttura originalissima a cui dà vita Filippo Maria Battaglia può dirsi anche un romanzo politico. L'emozione nasce da lì: nel vedere, nel sentire, ciò che è simile e ciò che invece resta legato a una vita, a quella vita. Nell'accostare le storie alla Storia, senza mai rinunciare alle zone d'ombra. Perché le parole possono essere anche cicatrici e «a questo - dice Nina - devono servirmi le mie, a ricordare».
Dodici personaggi per dodici storie: una più appassionante dell'altra, una più cruda dell'altra. Così si apre questo romanzo d'esordio in cui, come in un girotondo, Susy (intrepida ragazza di una certa età) è la moglie di Carlo (un playboy disarmato), che è padre di Leonardo (un uomo che sembra triste, e infatti lo è), che è in cura da Paola (un abile psicologa, purtroppo innamorata di lui), madre di Camilla (la ragazzina alla quale non manca niente) e di Gianmaria (la promessa del calcio) nonché moglie di Edoardo (un ingegnere che funziona) che, a sua volta, ha un'amante, Rebecca (la donna sola), ex fidanzata di Andrea (un uomo pentito), convivente di Irina (una gran bella ragazza), ex amica di Peppe (un uomo ricco che suda tanto), sposato da anni con Gloria (la brava moglie). Un libro vero e amaro che, con occhio lucido e senza pregiudizi, descrive vite apparentemente slegate ma in realtà vicine. Dalle vicende dei protagonisti, il cui ritratto è sempre completato e a volte addirittura ribaltato da quello successivo, a sottolineare l'incomunicabilità e la solitudine del tempo presente, emerge una visione cupa e quasi cinica della vita, anche se a venir fuori, alla fine, è l'idea che "nonostante tutto" ci possa ancora essere speranza e addirittura amore.
Lei fa la giornalista finanziaria. Ha due hobbit di sesso maschile. Il più grande ha quattro anni, ama le donne, il cioccolato e "Il Signore degli Anelli". Da grande farà il cavaliere Jedi. Il più piccolo ama le papere e le scarpe. Ha gli occhi tondi, come il protagonista di un fumetto giapponese. Nei suoi quasi due anni di vita ha detto "sì" una volta sola e se n'è subito pentito. Lei ha un marito part-time, barese e comunista, che passa buona parte del suo tempo a Londra dove lavora e dove probabilmente ha una vita parallela con un'altra moglie e altri figli, inglesi. Insieme a loro c'è spesso Valentina Diolabenedica, la baby sitter degli hobbit, la persona più importante dell'elasti-vita. Abitano a Felicity Place. Intorno a loro c'è Milano, ma i residenti di questo bizzarro posto tra le magnolie sono convinti di vivere in un ridente sobborgo americano e crescono i figli a Coca-Cola con ghiaccio, tacchino ripieno e pop corn cotti nel microonde. Lei ha i piedi per terra, i capelli a carciofo e un cronico senso di colpa. Ha giornate complicate e notti impegnative. Non si veste da strafiga perché sta scomoda, non si trucca perché non ne ha il tempo, non si mette la crema idratante perché se ne dimentica. Se per sbaglio chiude gli occhi, crolla addormentata. Lei è un'elasti-mamma, nel bene e nel male.
"Nordest", scritto a quattro mani da Massimo Carlotto e Marco Videtta, raccontaa un tema antico, il rapporto tra padri e figli, inserito nell'attualità del Nordest italiano. Un territorio ricco e complesso, considerato la locomotiva dell'economia italiana, che oggi sta vivendo una crisi epocale che ha determinato la fuga degli industriali verso Cina e Romania. Ed è proprio l'ambiente delle grandi famiglie industriali quello in cui matura il delitto di una giovane donna prossima al matrimonio. Sullo sfondoo il "paese" il nome non ha importanza perché in tutto il Nordest le grandi famiglie sono tutte uguali e il territorio non ha più identità. "Nordest" è un noir che, a partire da un delitto, racconta l'illegalità diffusaa che ha permesso di accumulare grandi ricchezze e un sistema economico che non si è mai posto problemi rispetto al saccheggio del territorio. Personaggio principale è Francesco, rampollo della seconda famiglia più ricca del "paese", giovane avvocato dal futuro già scritto che dovrà confrontarsi conn il suo ambiente e scegliere tra verità e "normalità".
Felice Lasco torna a Napoli, nel rione Sanità, dopo quarantacinque anni trascorsi fra Medio Oriente e Africa. La madre sta morendo e lui la accudisce fino all'ultimo con tardiva ma amorosa pazienza. Poi, invece di tornare al Cairo dove lo aspetta l'amata compagna, Felice sembra obbedire al richiamo delle radici e di un destino, e resta. Resta perché in attesa dell'incontro fatale con Oreste, noto ormai come delinquente incallito. Felice racconta a un medico dell'ospedale San Gennaro dei Poveri e a don Luigi Rega, prete combattivo e maieuta, la sua storia. Ha diciassette anni, fiero della sua Gilera e della sua amicizia con Oreste Spasiano, detto Malommo, compagno di sortite per i vicoli e di piccoli scippi. Poi, imprevedibile, il delitto di un usuraio. Oreste gli sfonda la testa. Felice è agghiacciato, non tradisce l'amico ma si chiude in un silenzio pieno di angoscia finché uno zio non lo porta con sé a Beirut, dove comincia una nuova vita. Ora, dopo tanto tempo, Felice si espone alla sofferta bellezza della sua città, alla disperazione e anche al formicolare di speranze che agitano il Rione Sanità, illuminato dal testardo operare di don Rega. Come da copione, però, Oreste attende Felice perché in realtà alla Sanità il Male lavora anche contro la Storia. E non c'è riscatto veramente possibile.