
Gino Mastruzzi è un investigatore privato per modo di dire. Di tanto in tanto gli viene affidato un caso da risolvere, ma le sue indagini finiscono sempre con lo scoprire una realtà che non si può risolvere. Si tratta della realtà metropolitana dell'emarginazione e del razzismo, delle sacche di povertà e della malavita dentro la cornice di una città civile e opulenta come Bologna. Piuttosto che investigatore, Mastruzzi è una sorta di assistente sociale, ha molti amici tra vagabondi e immigrati, mendicanti e disoccupati. Insieme a loro lotta quotidianamente, non vince mai, ma conserva l'unico bene per lui prezioso: la dignità.
1046, Mantova. Tutto ebbe inizio con un sogno: un campo di battaglia, il fuoco, centinaia di morti. E poi una donna, i capelli rossi, l'armatura bianca, la spada in pugno, a ottenere la vittoria, riprendersi la sua terra. Questo sognò Beatrice di Canossa poco prima di dare alla luce la sua terza figlia, Matilde. Sapeva che la bambina avrebbe avuto un grande avvenire, ma mai avrebbe immaginato che potesse diventare un simbolo, la donna più temuta e rispettata del suo tempo, una combattente. Il suo destino, secondo la tradizione, era al fianco di un guerriero di nobili natali scelto dal padre. Solo una moglie, quindi, anche se blasonata, o una badessa di un importante convento. Ma le cose andarono diversamente. Dopo la morte prematura del padre, la cui posizione era considerata scomoda dall'imperatore Enrico III, e del fratello, avvelenato, Matilde si trovò costretta a governare, Grancontessa di tutte le terre italiche a nord dello Stato Pontificio, a combattere per difendere i suoi sudditi, al fianco del papa durante la Lotta per le investiture, a trattare per la pace tra Gregorio VII ed Enrico IV. Mai un giorno della sua vita venne speso per se stessa, ma la Storia la vede ancora oggi protagonista.
IL LIBRO
Ultimi anni dell’VIII secolo, in Val di Susa, nel Piemonte occidentale. Rachi, il padre di Matolda, si mette in marcia verso Taurino per avvisare re Desiderio che il figlio Adelchi è stato tradito da uno dei suoi duchi. Ma è troppo tardi. Rachi viene ucciso, mentre l’esercito di Carlo Magno sorprende alle spalle le truppe longobarde e le spazza via come fa il primo vento d’inverno con le foglie gialle ancora attaccate ai rami.
In mezzo alla follia della guerra, Matolda diventa in fretta adulta e inizia una nuova vita. I boschi nei quali fino a poche settimane prima giocava allegramente con il padre ora la nascondono dal nemico che depreda e razzia ogni villaggio. Costretta a una vita randagia nella sua stessa terra, in fuga dalle ombre, atterrita dai rumori, divisa tra il ricordo struggente del passato e la speranza di ricostruirsi comunque una vita, Matolda scoprirà di non essere sola. Un giovane soldato franco sta percorrendo i suoi stessi sentieri, lontano dalla violenza degli uomini.
In una terra di confine aspra e selvaggia, in un tempo remoto e misterioso, Matolda incontrerà la forza dell’amore, capirà il significato dell’amicizia, ritroverà la speranza e, soprattutto, sconfiggerà l’odio e la sete di vendetta che come una tenebra avvolgono i cuori e spengono le menti.
L'AUTORE
BARBARA DEBERNARDI ha compiuto studi filosofici, storici e teologici. È giornalista e insegnante in un liceo sperimentale. Vive e scrive in Val di Susa, vicino ai boschi di Matolda. Questo è il suo primo romanzo.
La vicenda inizia un pomeriggio di settembre del 1285 nei pressi di Fròsini, a una ventina di miglia da Siena: due agostiniani soccorrono il giovane Berretta, un giullare che si guadagna da vivere andando di castello in castello a intrattenere con canti e storie di paladini le corti signorili di Maremma, malmenato e derubato dai mercanti di strada. I frati lo portano con loro a Prata dove, durante una cena nella sala del palazzo, alla luce delle torce, Berretta conosce la splendida consorte del signore del luogo, la giovanissima Pia di Ranuccio Malavolti. Per conquistarla il bel giullare abbraccerà il mestiere delle armi, in un turbine di intrighi e avventure che hanno come sfondo la turbolenta storia toscana del Duecento. La storia è emersa da un misterioso fascicolo, ritrovato dallo stesso Mario Sica all'interno di un codice riferito all'ambito cistercense di San Galgano e custodito nella Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena. Costituito da una ventina di pagine scritte recto e verso, il fascicolo è redatto in volgare in una minuta e confusa scrittura trecentesca e reca il titolo Ricordanze di Placido Abbate Sancti Galgani da me Messer Ranieri ricolte ad utile consiglio de' giovani. Una storia vera dunque, che l'autore dichiara di aver solo tradotto nell'italiano odierno e romanzato. Una storia che permetterà finalmente di penetrare il mistero della Pia de' Tolomei: figura evanescente nel poema dantesco, qui personaggio storico a tutti gli effetti.
Una donna monumentale, Antonia, avvolta in un caffettano rosso. Una scultrice avanti con gli anni, grassa e malata. Una donna giovane, aspirante scrittrice, accetta di scriverne la biografia ed entra in rapporto con lei, un rapporto difficile, che genera incontri e conversazioni registrate. Un file che man mano si riempie, un file chiamato Matrioska, perché Antonia assomiglia a una bambola russa con i pomelli rossi e gli occhi bistrati, una bambola che ne contiene altre, sempre più piccole. I ricordi della scultrice, le storie d'amore, la relazione appassionata con un giovane gay si intrecciano con altre storie, con la quotidianità della giovane biografa, con la sua vita di madre, con le sue aspirazioni a scrivere davvero in modo creativo.
“Il colore della storia è soprattutto affidato al continuo, simbolico gioco di buio e di luci, di albori e di notti. Così come è altra metafora l’insistenza del ritratto etico che punta tutto sullo sguardo o sul dettaglio. Ma il collante del romanzo è affidato alla secchezza e alla spezzatura di uno stile senza trasalimenti. Impeccabile nel rendere il tono da cronaca esistenziale di un animo.” Giovanni Pacchiano, “Il Sole 24ore”
“Il trentenne Davide Longo ha scritto un libro scabro, essenziale, che ricorda da vicino le pagine di Fenoglio e Pavese, per via di una narrazione fatta di vuoti ed elisioni, e tuttavia perfettamente tornita e compiuta. Molto belle le descrizioni del paesaggio africano, vuoto e misterioso. Alla pari del tenente di Flaiano, Pietro esprime un male di vivere, un senso di disagio, che in Tempo di uccidere prende la forma della paura e dello squilibrio mentale, mentre qui quella di un impulso improvviso e inatteso,un piccolo colpo di scena nella storia. Il destino manovra la vita e Pietro si culla nell’illusione di esserne fuori, mentre è già stato giocato. Scritto con piglio sicuro, Un mattino a Irgalem è decisamente una storia del nostro tempo, un buon esempio di romanzo italiano di cui si erano smarrite le tracce.” Marco Belpoliti, “L’Espresso”
Etiopia 1937: lo scenario insolito di una guerra che si è preferito per questo bellissimo romanzo
d’ esordio di Davide Longo. Pietro, tenente avvocato torinese, viene mandato in Africa per difendere la causa del sergente Prochet, un uomo che nessuno difenderebbe, perché ha commesso atrocità ingiustificabili, con una ferocia che si spiega solo con le parole del medico Viale, “ne vedo tutti i giorni di gente che dà fuori per colpa di questo posto”. In realtà il destino di Prochet è già segnato da tempo: è stato uno strumento nelle mani di superiori che si sono serviti di lui e della sua natura indubbiamente violenta, per poi sbarazzarsene quando è diventato una figura scomoda e fuori controllo. Pietro tenta di aprire un varco nel silenzio ostinato di Prochet, per alcuni un eroe della guerra che ha dato all’Italia un impero, secondo i più “un matto, una bestia, uno che l’Africa gli ha fatto male”. Scortato da un “ragazzino dagli occhi azzurri, in una divisa cachi troppo grande”. Incalzato dai superiori, che vogliono il caso chiuso al più presto. Accompagnato dalle partite a scopa e dalle conversazioni con il tenente medico Viale, gay e amico di vecchia data rifugiatosi nell’altipiano per non incappare nell’intransigenza fascista. Ma… perché hanno affidato proprio a lui quel caso a duemila chilometri dal suo Paese? Si sale sul treno polveroso dei militari, al primo capitolo, e fra una sigaretta fumata “stretta” da Pietro e un ruvido paesaggio africano, non si scende fino all’epilogo. In meno di 200 pagine, con uno stile asciutto e un’economia di linguaggio che gli è valso nel 2001 il Premio Grinzane Cavour come miglior esordio dell’anno, Davide Longo racconta attraverso la storia personale di un singolo, quella“impresa d’Africa” che è stata uno sfogo delle manie di grandezza e di imperialismo di tutta una nazione.
Davide Longo è nato a Carmagnola, nei pressi di Torino, nel 1971. È scrittore, documentarista e insegnante. I suoi romanzi Un mattino a Irgalem (Premio Grinzan e Opera Prima 2001 e Premio Via Po) e Il Mangiatore di pietre (Premio Città di Bergamo e Premio Viadana 2004) sono stati pubblicati da Marcos y Marcos e poi da Fandango Libri. Per Corraini, dopo La vita a un tratto (2006) e Lettera prima (2007) ha scritto il libro per bambini Pirulin senza parole, con Chiara Carrer. Ha curato la raccolta Racconti di montagna (Einaudi, 2007). Collabora con la Scuola Holden di Torino e insegna lettere in un piccolo paese tra le colline del Roero.
Chi è Max Fox? Chi è il trentenne ex allievo carabiniere, provinciale ambizioso nell'Italia berlusconiana, che strizza l'occhio all'idolo cinematografico della sua adolescenza - al Bud Fox arrampicatore di borsa in Wall Street - quando deve scegliere un contatto Skype per presentarsi nel mondo del terzo millennio? E perché questo figlio unico di due ligi funzionari comunisti somiglia piuttosto a un (dubbio) eroe ottocentesco, al Julien Sorel di Stendhal? Perché il suo sogno di «arrivare» lo rende disponibile a qualunque compromesso, con la destra o con la sinistra, con i chierici o con i laici, con la verità o con la menzogna, con gli onesti o con i disonesti? È quanto si domanda Sergio Luzzatto, lo storico che proprio su Skype accetta di intrecciare con Max Fox - con l'eroe ormai caduto - una sorprendente liaison dangereuse. Pericolosa, così come pericolose si sono rivelate, nel tempo, un po' tutte le relazioni di Massimo De Caro. Il pigro studente universitario che diventa, da giovanissimo, il portaborse di un senatore dell'Ulivo. Lo spavaldo mercante di libri che mette le mani su inestimabili tesori della Biblioteca Apostolica. L'astuto falsario che si fa beffe degli accademici del mondo intero fabbricando dal nulla, con lo scanner, un'opera di Galileo meravigliosamente unica nel suo genere. Il manager non laureato che fa carriera, nel settore delle energie rinnovabili, per conto di un elusivo oligarca russo. Il predatore di libri antichi che svaligia pubbliche biblioteche, ai quattro angoli del Belpaese. Ma ad attirare Luzzatto verso la relazione pericolosa non sono unicamente le varie, sconcertanti incarnazioni di un fenomenale Zelig del nostro tempo. Ad attirarlo è anche l'ombra dispettosa che qualunque storia del presente finisce per gettare sulla storia del passato, è la vertigine che lo storico prova quando si misura con il lato oscuro del suo mestiere.
Una coppia. Il narratore e la sua compagna. Fanno l'amore la notte dell'elezione di Barack Obama a presidente e lei resta incinta. Siamo in quello che con affettuoso termine burocratico viene chiamato "il Nostro Distretto", un'area geografica compresa fra il mare della Versilia, il profilo aguzzo delle Alpi Apuane e la severa sequenza di cime e valloni dell'Appennino tosco-emiliano. Nei nove mesi di attesa la meravigliosa pazienza della memoria fa sì che il futuro padre torni alla propria storia, e a tutte le storie che, quasi a custodia di un evento che non può consumarsi senza la benedizione del tempo, riaccendono la sostanza leggendaria della gente del Distretto. Continuità e chiave emotiva del romanzo la Duse, intrepida maestra elementare di pastori, suonatrice di tanghi nelle osterie della Garfagnana, custode del suo solo amore perduto, il giovane e bel soldato arrivato dal Brasile che è stato il padre del narratore. Intorno alla Duse, una ruota di personaggi: la Santarellina, orfana comprata a otto anni da una famiglia di contadini, friggitrice di patatine a Newcastle per vent'anni; l'Omo Nudo, tornato con i suoi due stracci dai campi di concentramento tedeschi e diventato macellatore illegale di maiali; l'Otello, iscrittore di lapidi funerarie in Argentina; don Gigliante, severo pastore d'anime e "sindacalista" radicale dei tecchiaioli; la staffetta partigiana Marta.
In un freddo pomeriggio d'inizio gennaio 1930, alla stazione di Bellano scendono sei uomini malvestiti e con la barba lunga. È la squadra di meccanici che dovrà montare i nuovi telai elettrici nel cotonificio: come spesso accade nei momenti di crisi economica, servono macchine moderne per produrre di più con meno operai. Ma non è questo l'unico turbamento che gli intrusi portano nella piccola e quieta cittadina. Perché si trovano subito al centro di una memorabile rissa, che turba il ballo organizzato per festeggiare le nozze del principe Umberto con Maria José. Nel gruppetto c'è un meccanico dall'aria fascinosa e dal nome bizzarro: Landru. Saranno in molti, e per diversi motivi, a sperare che il misterioso ospite possa aiutarli a realizzare i loro desideri.
Con Il meccanico Landru, Andrea Vitali conferma le sue straordinarie qualità di narratore: a cominciare dalla capacità di reinventare una storia (una prima versione del romanzo era stata pubblicata nel 1992), riequilibrando divagazioni e aneddoti, arricchendola di vicende e personaggi, ma soprattutto della sua esperienza umana e artistica.
Attraverso una vicenda di apparente semplicità, Il meccanico Landru racconta come l'irruzione di un elemento estraneo possa alterare i fragili equilibri di una comunità. E lo mostra con grazia e leggerezza, attraverso una piccola folla di personaggi destinati a imprimersi nella memoria dei lettori. In sottofondo c'è la lotta tra due giovani politici in carriera, l'irruente Aurelio Pasta e l'astuto Eumeo Pennati. Intorno a loro, l'intrigante prevosto don Ascani e il dottor Lieti, che cura gratuitamente gli operai, il direttore dello stabilimento ingegner Galimbelli e il capostazione Amedeo Musante, puntuale confidente del maresciallo Rodinò. Poi ci sono loro, le tre giovani protagoniste: la rossa e focosa Mirandola, la timida ma determinata Emilia e Maddalena, alla ricerca di un possibile riscatto.
A vederlo da lontano, Belcolle sembra un paese da cartolina, una barca arenata su una montagna verde, e sullo sfondo il mare di Cefalù. Ma da vicino è ben altra cosa: d'inverno è gelido e nevoso, e per tutto l'anno è abitato da persone taciturne e diffidenti, "genti di montagna". Son cinque anni che il maresciallo Antonio Brancato, "un omo preciso al quale piaciva che tutto stava al posto indovi doviva stare", è a capo della Stazione dei Carabinieri di questo isolato paesino siciliano. Cinque anni non facili, ma durante i quali il maresciallo Brancato è riuscito a guadagnarsi la confidenza e la stima dei belcollesi. Forse addirittura troppo, infatti ormai tutti lo cercano, anche a sproposito, per ogni problema...
Marcello Morandi è un giovane medico milanese. Idealista e un po' ingenuo, esercita al policlinico San Luca diretto dal professor Bandini. Questi è un personaggio ambiguo: indubbiamente un'autorità nel campo della chirurgia, grande maestro per i suoi collaboratori coltiva però nepotismi e fornisce appoggi interessati arrivando a coprire medici incapaci. Queste manovre coinvolgono anche Marcello che accetta di seguire un importante progetto sperimentale sugli interventi al fegato pur sapendo che il merito delle sue fatiche andrà in gran parte ad altri. Questo progetto lo assorbe a tal punto da allontanarlo da Helen che, non sopportando di essere trascurata, tenterà il suicidio...