
Bernadette Laudis vive da sempre con un peso inspiegabile sul cuore, un senso di vuoto che le fa mancare l'aria all'improvviso nonostante l'abbraccio caldo della famiglia, e che cerca di colmare con il suono del suo violoncello. Finché, un giorno, un oggetto stonato rinvenuto sul pavimento di casa rivela una verità affilata, che squarcia il velo di purezza di cui credeva ammantata la sua vita. E il dolore la getta in un crepaccio senza appigli, di quelli che si insidiano nei ghiacciai delle Alpi che fanno da contorno al paesino di Cimacase, dove lei da Milano si è trasferita per amore. Una notte, in cerca di ossigeno fresco, Bernadette si addentra nei boschi e scopre una radura protetta da un recinto di betulle. Lì, in una casa di sasso, vive Giosuè, un pastore solitario, un uomo anziano che si è fatto eremita per proteggere i ricordi. In paese lo chiamano «il re delle betulle»: dicono che i suoi consigli siano un balsamo per le ferite dell'anima; dicono che sappia leggerti dentro, ma che non tutti riescano a trovarlo. Parla poco, ma conosce la saggezza degli alberi e sa ascoltare. Anche la voce del silenzio. Grazie a quell'incontro, Bernadette inizierà a sciogliere i nodi del cuore. Grazie al bosco di betulle, troverà la chiave per spalancare una porta sul suo passato, sulla storia della sua famiglia e sul mistero delle sue origini. Liberandosi così da quell'antico peso sull'anima e ritrovando la strada di casa. Perché ci sono destini che solo gli alberi sono in grado di preservare.
275 d.C., confine renano. La foschia della notte aleggia ancora sul villaggio addormentato quando i soldati romani irrompono tra le capanne, rovesciando sugli abitanti una valanga di ferro e di fuoco. Per Valerio e per l'Impero una nuova quanto inutile vittoria. Qualcosa di nuovo sta succedendo oltre il Reno. Una coalizione di tribù di dimensioni mai viste si sta riunendo per invadere le Gallie. Il destino di Roma sembra segnato. Alla valorosa XXII legione di Valerio Metronio spetta il compito di tentare l'impossibile.
275 d.C., confine renano. La foschia della notte aleggia ancora sul villaggio addormentato quando i soldati romani irrompono tra le capanne, rovesciando sugli abitanti una valanga di ferro e di fuoco. Per Valerio e per l'Impero una nuova quanto inutile vittoria. Qualcosa di nuovo sta succedendo oltre il Reno. Una coalizione di tribù di dimensioni mai viste si sta riunendo per invadere le Gallie. Il destino di Roma sembra segnato. Alla valorosa XXII legione di Valerio Metronio spetta il compito di tentare l'impossibile.
Ad Abacrasta di vecchiaia non muore mai nessuno. Tutti gli uomini, arrivati a una certa età, si impiccano con una cinghia. Le donne usano la fune. Al bambino che chiede il perché la nonna risponde che quando la Voce chiama tu non puoi fare altro che ubbidire. Un giorno, però, in paese è arrivata, non si sa da dove, una donna cieca, con i capelli lucidi come ali di corvo e i piedi scalzi. Ha detto di chiamarsi Redenta Tiria, e di essere figlia del sole. Da allora, ad Abacrasta, la gente ha smesso di impiccarsi.
"È con l'anima sulle labbra che scrissi in quegli anni appassionati la maggior parte delle pagine incluse in questa raccolta che a suo tempo interessarono giovani incatenati da una guerra non voluta, da un linguaggio grottesco, da coercizioni medievali e ritrovarono non tanto nelle mie parole quanto nei libri che proponevo le loro ansie libertarie, i loro sogni di anarchia, di democrazia, di sincerità. Ancora adesso, cinquantanni dopo questa Antologia di Spoon River, questo libretto tanto disprezzato dalle Accademie, viene scambiato tra ragazzi innamorati come una specie di pegno d'amore. E anche per questa passione di poco spenta dagli anni che Edgar Lee Masters apre la presente edizione. Ecco. Ormai questi autori che io amavo mentre stavano trasformando la storia della letteratura americana sono diventati dei classici: se dovessi scrivere adesso queste presentazioni potrei aiutarmi con decine e decine di biografie e monografie che riempiono i miei scaffali. Ma quella felicità di scoperta, quella gioia di trasmetterla ad altri, forse oggi non l'avrei più; forse l'anima non mi salirebbe più sulle labbra." (dalla prefazione di Fernanda Pivano)
Sedici anni di vita in Giappone. La storia d'amore tra una donna occidentale e un paese inconoscibile e affascinante, così radicalmente straniero.
È il racconto di uno smarrimento e di una seduzione. Per quadri, ritratti, storie intime, Antonietta Pastore ci porta con sé nel suo lungo viaggio di avvicinamento, rendendoci partecipi della bellezza e del mistero.
Per arrossire con lei nello scoprire, dopo molti anni e molti raffreddori, che soffiarsi il naso in pubblico è maleducazione. Per accorgersi che «dietro i volti serafici dei giapponesi, levigati come maschere del teatro no, si affollano le stesse emozioni che agitano l'animo umano sotto ogni cielo».
55 a. C. Una flotta da guerra giunge in vista di una terra ignota, popolata da feroci guerrieri, capaci di incutere timore persino ai soldati di Giulio Cesare. Di fronte al panico che coglie le truppe, un uomo si lancia nelle acque gelide. È Lucio Petrosidio, aquilifero della Decima Legione. Come un solo uomo, dietro la sua aquila, la legione degli immortali va all’assalto. Per Cesare e per Roma, Lucio e i suoi compagni, Massimo, Quinto, Valerio, si batteranno senza tregua per conquistare la Britannia, e per proteggere Gwynith, la schiava dai capelli rossi che ha conquistato il cuore dell’aquilifero. Fino a un luogo chiamato Atuatuca, dov’è in agguato un destino di sangue...
35 a. C. Dal ponte di una nave, un uomo osserva le coste della grande isola ormai prossima. Al suo fianco il gladio dei legionari, nella mente i ricordi di un’epopea di guerra e di morte, in cui aleggiano i fantasmi dei compagni caduti. È per dar pace a quei fantasmi, e alla sua coscienza, che il vecchio soldato sta tornando in Britannia. Perché da allora c’è una donna in attesa del suo uomo e c’è una battaglia iniziata vent’anni prima che aspetta lui per concludersi definitivamente.
Nella malinconica allegria di "A Roma con Bubù", Gian Carlo Fusco racconta della sua grande amicizia maschile, della reciproca infatuazione per il cantante marsigliese Rick Rolando che militò nella Legione straniera. Da qui i quattro articoli del 1961 sulla Legione straniera raccolti in questo volume. Quasi tutto, di questo scrittore irregolare ed estroverso, porta infatti il segno della testimonianza vissuta: e anche in questa storia della Legione, a tratti sembra emergere il segno del ricordo personale (mutuato evidentemente dall'esperienza dell'amico). Più che una storia è una rievocazione, finalizzata a spogliare il mito romantico dominante, ricca di aneddoti e ritratti, di episodi curiosi e paradossi viventi. Un movimento che corre rapido dalla presentazione del cliché, immortalato nel cinema con la faccia di Jean Gabin, alla sua distruzione. Vi sono gli eroi, e i retroscena taciuti di essi; le campagne militari e la vita quotidiana fatta di stenti e degradanti punizioni; i miti e i grandi orrori del colonialismo; le tradizioni e le viltà nascoste. Volano come una scorribanda dentro un'unica avventura, in quello stile scintillante e fragoroso di colui che è considerato il più grande narratore orale del dopoguerra, ma che resta ammorbidito nella spontanea, coinvolgente simpatia per tutto ciò, uomini e cose, di cui narra.
Cosa c'è di divino nell'essere giovane madre di un figlio arrivato per grazia o per caso? Ci si augura per lui una vita buona: che non incontri il male, che il mondo lo accolga o almeno lo lasci in pace. È la storia umanissima di Maria, madre di Dio bambino, la stessa di ogni madre per cui il proprio bambino è Dio, vita che si consegna fragilissima e si promette eterna. Ma il figlio di Maria è troppo speciale perché la storia sia solo questa e infatti sarà altra, raccontata per generazioni in poesia, in pittura, in musica, nel vetro, nel ghiaccio immacolato, a punto croce, sulle volte delle cattedrali e sui selciati delle piazze. Qui parla Maria. Accanto a lei Giuseppe, padre che ha detto sì senza comprendere, senza nemmeno pronunciare questo sì, costruttore di un progetto di vita e di amore ben più grande di quello immaginato. Intorno a lei uomini e donne che pensano di capire, ma sanno solo chiacchierare; e gli amici del figlio, Giovanni, Simone, Giuda e anche Nicodemo, che si affannano di domande nella notte; e dottori e farisei che chiedono la verità solo per poterla negare. Sopra di lei, infine, gli angeli fanno corona, ma con le loro ali non riescono a tenere lontano il gran male del mondo, che si addensa fino a quando qualcuno griderà: «A morte». Ciò che resta è un corpo rotto senza grazia, consegnato a una madre ancora giovane, anche nel momento estremo così simile a tante madri. Ma questa è una storia troppo immensa perché tutto possa andare perduto.
Cosa c'è di divino nell'essere giovane madre di un figlio arrivato per grazia o per caso? Ci si augura per lui una vita buona: che non incontri il male, che il mondo lo accolga o almeno lo lasci in pace. È la storia umanissima di Maria, madre di Dio bambino, la stessa di ogni madre per cui il proprio bambino è Dio, vita che si consegna fragilissima e si promette eterna. Ma il figlio di Maria è troppo speciale perché la storia sia solo questa e infatti sarà altra, raccontata per generazioni in poesia, in pittura, in musica, nel vetro, nel ghiaccio immacolato, a punto croce, sulle volte delle cattedrali e sui selciati delle piazze. Qui parla Maria. Accanto a lei Giuseppe, padre che ha detto sì senza comprendere, senza nemmeno pronunciare questo sì, costruttore di un progetto di vita e di amore ben più grande di quello immaginato. Intorno a lei uomini e donne che pensano di capire, ma sanno solo chiacchierare; e gli amici del figlio, Giovanni, Simone, Giuda e anche Nicodemo, che si affannano di domande nella notte; e dottori e farisei che chiedono la verità solo per poterla negare. Sopra di lei, infine, gli angeli fanno corona, ma con le loro ali non riescono a tenere lontano il gran male del mondo, che si addensa fino a quando qualcuno griderà: «A morte». Ciò che resta è un corpo rotto senza grazia, consegnato a una madre ancora giovane, anche nel momento estremo così simile a tante madri. Ma questa è una storia troppo immensa perché tutto possa andare perduto.
Annemarie fu scrittrice, fotografa, giornalista; colta, ricca e bellissima, "sembrava incarnare tutta la storia d'Europa". Sullo sfondo della società letteraria cosmopolita degli anni Trenta fu una donna sempre in attesa, in fuga, che non smetteva mai di cercare: parole per i suoi libri, immagini per i suoi reportage, donne da sedurre, uomini da incantare. Senza realizzare mai il suo sogno di vivere di scrittura. Avrebbe potuto avere una vita agiata e oziosa invece ha scelto di portare il suo corpo androgino, il volto nobile, i fluenti capelli biondi tagliati corti continuamente in viaggio: ha attraversato l'Europa in guerra, l'Afganistan, l'Iran, il Congo da sola per far fotografie, alla ricerca di un senso. Scelse di essere fedele a se stessa pagandone le conseguenze. Ruppe con la famiglia, con una madre che detestava la sua libertà, e scivolò in una vita errabonda, in amicizie appassionate e distruttive, come quella con i terribili figli di Thomas Mann che la iniziarono alla tossicodipendenza, fino alla morte. Melania Mazzucco, con "Lei così amata", toglie dall'oblio "una vita che riassume in sé i grandi classici delle esperienze della gioventù del '900: dalla ribellione contro la società borghese, al desiderio di essere eterni adolescenti, senza doveri e responsabilità. Eppure è anche la storia di un'utopia: di essere salvati dalla scrittura. Quella che si infila nelle crepe della vita"