
Mentre tutti fuggono alla ricerca di un improbabile luogo dove potersi salvare da una imminente esplosione solare, una donna decide di restare nel paese dov'è nata, e di guardarsi dentro. Racconta a se stessa e al mondo che scompare ciò che ha visto e chi ha incontrato, le cose che ha vissuto e quelle che ha sognato. E canta per esorcizzare il buio. O per accogliere quel buio con straziante dolcezza. Giorgio Faletti si congeda, assieme alla sua protagonista, nel segno di una commovente tenerezza per le cose umane.
Francesco Salvador, architetto di successo, ha tutto: una bella moglie, due splendidi figli, un loft gigantesco, il Suv, un'amante giovane. Ma per avere tutto ha dovuto sacrificare qualcosa: i terreni sull'argine del fiume, che suo padre gli ha lasciato in punto di morte. Francesco li ha venduti alle persone sbagliate e adesso, nei luoghi dove giocava da bambino, i camion portano via quintali e quintali di ghiaia.
Una domenica in gita alle isole della laguna veneta, interrotta dagli squilli del cellulare e dall'affiorare dei ricordi, diventerà per Francesco l'occasione di sbrogliare i fili della sua vita. Sarà il suo ultimo giorno felice.
Disperso durante un'inondazione Rankstrail, il Re bastardo degli uomini, concepito sulle frontiere dalle violenze degli orchi, viene trovato solo, senza insegne e mezzo annegato, da un gruppo di nemici, che non lo riconoscono e lo catturano: uno dei tanti schiavi, uno dei tanti uomini rubati alla loro vita perché con la loro forza e il loro dolore costruiscano il mondo degli orchi. Il cuore di Rankstrail è pieno di odio. La sua anima attende solo il momento in cui potrà saldare i conti, ma il dolore è troppo, la disperazione è troppa e lo travolge. L'unica cosa che ancora riesce ad attendere è la morte, nella speranza che non sia troppo dolorosa. La sua anima si disperde nelle tenebre e in questa notte infinita che lo circonda da tutti i lati giunge fino a lui grazie all'antico incantesimo dei "Maghi del Fuoco", la fiamma delle candele, le migliaia di candele con cui il suo popolo piange la sua scomparsa. Quella luce dolcissima e potente gli permette di ricordarsi che lui è il Capitano, il comandante che non lascia mai nessuno indietro, il Re bastardo degli uomini, nel cui sangue scorre il sangue degli orchi: anche gli orchi sono il suo popolo. Lui dovrà assumersi la responsabilità di liberare la loro anima, di liberarla dalla ferocia e dalla barbarie perché gli orchi esistono e possono essere salvati.
La Napoli romantica e ambigua degli anni Trenta a cui fa da contrappunto la voce dei protagonisti della città, che arricchisce i noir di Maurizio de Giovanni del sapore partenopeo più verace e autentico; le originali rivisitazioni di episodi di cronaca che hanno sconvolto l'Italia; i fantasmi tristi e poetici che riempiono le storie del commissario Ricciardi, il protagonista dei gialli più appassionanti e intensi dell'autore, un personaggio unico, malinconico come la sua terra, condannato a vedere i morti ammazzati negli ultimi attimi di vita. Una scrittura limpida che infonde a tutte le storie di questo libro il passo lieve di chi si accosta all'esistenza con occhi che sanno osservarne la bellezza ma anche la disperata deformità. Una raccolta in cui ritrovare tutti i racconti di de Giovanni, e il meglio della sua scrittura, ricca di mistero e fascino.
I barbari sono un pericolo sempre più pressante alle frontiere, ma sono anche le nuove reclute che ingrossano le file dell’esercito imperiale. Il Cristianesimo si dimostra capace di superare ogni ostacolo, perfino sanguinose persecuzioni, fino a diventare la più autorevole tra le religioni. Quando Diocleziano lascia il trono, si scatenano feroci lotte per la successione. Tra i protagonisti di queste trasformazioni c’è Costantino, figlio bastardo di uno degli imperatori tra cui Diocleziano ha diviso il potere: è il più spregiudicato e determinato tra coloro che si contendono il trono, e punta con ogni mezzo a ottenere quel potere dal quale è stato escluso. La sua irresistibile ascesa si incrocia con la vicenda di una donna fragile e ingenua, ma allo stesso tempo fortemente passionale, Minervina, e con quella di Sesto Martiniano, un pretoriano deciso a difendere i valori di una società e di una tradizione che si stanno sgretolando. Tra i due nascerà una storia d’amore intensa, epica e tormentata quanto l’epoca in cui vivono, fino all’epilogo nella fatidica battaglia di Ponte Milvio: il passaggio di testimone tra la Roma antica e quella medievale, tra gli dèi tradizionali e il Dio dei cristiani.
Rocciatore, taglialegna, scalpellino, minatore, apicoltore: chi è Celio? "Un niente" risponde lui, un semplice signor nessuno di un paesino sulle Alpi che è terra di nascita dell'autore. È lui a far rivivere Celio, a strapparlo all'oblio per renderlo personaggio vero, sfuggente, pulsante di idiosincrasie e contraddizioni. Insofferente alle persone fino alla misantropia, il protagonista si rifugia in se stesso, nell'ermeticità del dialetto ladino e nell'abbraccio ambiguo dell'alcol, che lo stringerà per tutta la vita, fino al delirio e alla morte. In Celio, conosciuto durante la problematica infanzia e quarant'anni più vecchio di lui, l'autore troverà un inaspettato mentore, una protezione dalle violenze perpetrate dal padre, una via d'accesso privilegiata ai misteri e alla saggezza della natura, rivelatasi solamente per lui. Nel racconto, Mauro Corona si riscopre bambino, mettendo nero su bianco le parole - sempre misurate, mai lasciate al caso - dell'anziano amico e compagno di bevute, alla ricerca delle radici di un male di vivere sempre scacciato e mai sopito, nel duro e apparentemente impenetrabile cuore da montanaro. Una scrittura aspra, nervosa e autentica al pari del protagonista di questo romanzo, dietro le cui vicissitudini si legge in controluce l'autobiografia dell'autore, vero alter ego di Celio e solo testimone di un'esistenza che si fa simbolo di una terra sospesa nel tempo, in cui la solitudine, portata su di sé come una croce, sembra l'unico rimedio al contagio della miseria e del dolore. Le uniche leggi e autorità riconosciute sono quelle della natura, al contempo madre e matrigna. Come il vecchio accendino a benzina, ereditato dal maestro, l'allievo tiene viva la fiamma del ricordo e fa luce sul potere dell'amicizia, rara e inafferrabile ma capace di farsi salvifica nell'ostilità e nell'indifferenza del mondo.
Il capitano di un vecchio battello è al suo ultimo viaggio. Sottocoperta un carico di uomini, donne, bambini aspetta di arrivare alle coste italiane. Fra echi biblici e leggende di mare Erri De Luca narra una storia senza tempo calandola nelle vicende di oggi. Un testo scritto per il teatro che ha l'andamento di un racconto.
"Nel 1936 Guareschi arriva a Milano, una città moderna dove s'innalzano palazzoni, si asfaltano strade e le riviste di cinema e moda fanno sognare segretarie e sartine. Mentre si consolida il potere fascista, le riviste satiriche come 'Bertoldo', dove lavora Giovannino, fanno tirature da capogiro. I tre romanzi raccolti in questo terzo volume delle opere di Guareschi nascono tra la fine degli anni Trenta e i primi anni della seconda Guerra Mondiale. 'La scoperta di Milano' esce nel 1941, è la testimonianza autobiografica, ingenua e sognante, divertita e malinconica, di quegli anni di scoperte. In questi racconti usciti sul 'Bertoldo', Giovannino narra le sue passeggiate a Milano, tra la stazione e la Galleria, dove osserva le vedovone milanesi sedute ai tavolini dei caffè. 'Il destino si chiama Clotilde' è un capolavoro della narrativa umoristica del Novecento. Nato anch'esso sulle pagine del 'Bertoldo', uscito riscritto in volume nel 1942, ha come protagonista la bellissima 'ricca, eccentrica' Clotilde. Come Pippi Calzelunghe, Clotilde irrompe nella nostra narrativa con tutta la sua carica stravagante. A cinque anni per protesta vuole una mucca con lei sul tetto. A dieci parla come un uomo dei bassifondi, in un romanesco di borgata. Infine fa rapire Filimario Dublè, l'unico uomo non innamorato di lei, per cui ha perso la testa.. 'Il marito in collegio' nasce tra il 1942 e il 1943 come feuilleton sull'Illustrazione del popolo'." (Guido Conti)
Regno di Danimarca, XVI secolo. Jep sa che la vita non sarà clemente con lui. Al villaggio i ragazzi lo maltrattano, gli adulti lo evitano, tutti temono la sua deformità. Poi, un mattino una nave porta sull'isola l'astronomo più rinomato d'Europa. Il suo nome è Tycho Brahe, re Federico II gli ha dato in feudo l'isola di Hven perché possa costruirvi un osservatorio. Jep il gobbo è contento dell'arrivo di quel signore severo che scruta sempre la notte, lo segue ovunque, diventerà il suo giullare. Di giorno, ai piedi del suo tavolo, prende gli avanzi di cibo e diverte gli ospiti; la notte, col permesso di Tycho, impara a leggere e scrivere, studia il latino, apprende la matematica. Perché solo guardando le stelle Jep dimentica la propria immagine riflessa nell'acqua del pozzo, le donne che non amerà, i figli che non potrà mai avere. Ma un giorno infausto, il re muore e appare subito chiaro che Tycho non gode del favore del suo successore, e anche il destino di Jep sarà segnato.
Rodolfo Siviero ha ventisette anni quando, nel 1938, viene spedito in Germania: lo mandano a fare la spia. La sua destinazione è Erfurt, una cittadina educata e pulita, al centro della nazione tedesca. Scoprirà cosa c'è dietro lo splendore della nuova Germania nazista, i suoi attori senza trucco e cerone e l'orrore che si nasconde a pochi chilometri dalla piccola capitale della Turingia. Lì conoscerà una donna bellissima e pericolosa, uno strano professore e il piano di Hitler e dei suoi gerarchi di impadronirsi di tutta l'arte europea per trasferirla nel cuore del nuovo impero. Firenze, con il suo Rinascimento custodito nella Galleria degli Uffizi, è tra le prede più importanti. Nei mesi cupi della guerra Siviero combatterà, nella sua città, con un pugno di uomini che si opporranno all'esercito tedesco e alla brutalità della potenza del Reich. Per provare a batterli sarà violento, doppiogiochista, astuto e spregiudicato, e per difendere l'arte italiana pagherà un prezzo altissimo. Ispirato a una storia vera, il romanzo di un grande eroe italiano.
L'uomo che trema racconta. Guarda la sua malattia come se fosse un corpo estraneo, lo viviseziona, cerca di capire qualcosa d'importante, e di farcelo capire. È in gioco il senso di tutto, per lui, che sa che più si è depressi «più le cose si fissano nell'attesa di farsi ghiaccio», come scriveva Cioran. E, in un certo senso, la sua cronaca è di ghiaccio. Proprio per questo emoziona nel profondo. Le reazioni del corpo e della psiche alle aggressioni chimiche dei farmaci, la paura, i vari incontri con gli psichiatri, il rapporto con la compagna e con il figlio costretti a convivere con i tumulti della malattia. Le corse per le vie di Roma, le passeggiate nei luoghi di Giuseppe Berto, autore de Il male oscuro. E, al culmine della sofferenza, l'appuntamento che riporta in vita un antico fantasma di famiglia, il padre ripudiato. Uno spiraglio di luce, la possibilità di pronunciare, forse, la parola «guarigione». Leggere questo libro significa immergersi nel mondo di un altro fino a sentirlo completamente tuo. Significa seguire passo dopo passo, con i sensi in allerta, il percorso da una condizione di dolore assoluto a una condizione nuova e possibile. Significa, letteralmente, essere rapiti. Perché a conquistarvi sarà la temperatura di ogni riga, la pasta della scrittura, l'intelligenza febbricitante, la qualità dello sguardo. In una parola: la voce dell'uomo che trema.
L'"uomo con il sole in tasca" è uomo che, pur avendo dominato l'immaginazione del nostro Paese, è diventato solo raramente un personaggio letterario a tutto tondo. Cosa che invece accade in questo romanzo di Cesare De Marchi. Ed è come se l'immaginazione disegnasse uno dei molti possibili esiti della vicenda umana e politica di tanto protagonista. Il presidente del Consiglio viene rapito dalle Nuove Brigate Rosse. Luigi Leandri, vecchio commissario di pubblica sicurezza a Milano ora trasferito alla Direzione centrale della polizia di prevenzione, si occupa del caso. Il presidente, nella sua angusta cella tra strette pareti insonorizzate, passa dalla crisi di claustrofobia alla lucidità analitica, dalla paura della morte all'impazienza. I tre sequestratori discutono animatamente: Cecilia, impulsiva e violenta, vorrebbe processare subito il rapito e ucciderlo; il giovane Mario sembra indeciso; Luca, il capo del gruppo, impone la calma. Si parla di democrazia, di mafia, di realtà virtuale e televisione, e il presidente risponde puntiglioso, a volte scherzoso. Anzi, dopo aver dato prova di abilità dialettica, il presidente è rincuorato, si sente sicuro e affronta l'interrogatorio con una sorta di leggerezza accademica, quasi salottiera, e si convince sempre più di potersi salvare. A Luca promette un diverso avvenire. Leandri è ormai vicino a scoprire il covo dei sequestratori, proprio quando fra questi ultimi si inaspriscono i conflitti. Che futuro ha l'uomo con il sole in tasca?