
In questo romanzo Niccolò Ammaniti va al cuore della sua narrativa, con una storia tesa e dal ritmo serrato, un congegno a orologeria che si carica fino a una conclusione sorprendente: e mette in scena la paura stessa. Michele Amitrano, nove anni, si trova di colpo a fare i conti con un segreto cosi grande e terribile da non poterlo nemmeno raccontare. E per affrontarlo dovrà trovare la forza proprio nelle sue fantasie di bambino, mentre il lettore assiste a una doppia storia: quella vista con gli occhi di Michele e quella, tragica, che coinvolge i grandi di Acqua Traverse, misera frazione dispersa tra i campi di grano. Il risultato è un racconto potente e di assoluta felicità narrativa, dove si respirano atmosfere che vanno da Clive Barker alle Avventure di Tom Sawyer, alle Fiabe italiane di Calvino. La storia è ambientata nell'estate torrida del 1978 nella campagna di un Sud dell'Italia non identificato, ma evocato con rara forza descrittiva. In questo paesaggio dominato dal contrasto tra la luce abbagliante del sole e il buio della notte, Ammaniti alterna, a colpi di scena sapienti, la commedia, il mondo dei rapporti infantili, la lingua e la buffa saggezza dei bambini, la loro tenacia, la forza dell'amicizia e il dramma del tradimento.
In questo romanzo Niccolò Ammaniti va al cuore della sua narrativa, con una storia tesa e dal ritmo serrato, un congegno a orologeria che si carica fino a una conclusione sorprendente: e mette in scena la paura stessa. Michele Amitrano, nove anni, si trova di colpo a fare i conti con un segreto cosi grande e terribile da non poterlo nemmeno raccontare. E per affrontarlo dovrà trovare la forza proprio nelle sue fantasie di bambino, mentre il lettore assiste a una doppia storia: quella vista con gli occhi di Michele e quella, tragica, che coinvolge i grandi di Acqua Traverse, misera frazione dispersa tra i campi di grano. Il risultato è un racconto potente e di assoluta felicità narrativa, dove si respirano atmosfere che vanno da Clive Barker alle Avventure di Tom Sawyer, alle Fiabe italiane di Calvino. La storia è ambientata nell'estate torrida del 1978 nella campagna di un Sud dell'Italia non identificato, ma evocato con rara forza descrittiva. In questo paesaggio dominato dal contrasto tra la luce abbagliante del sole e il buio della notte, Ammaniti alterna, a colpi di scena sapienti, la commedia, il mondo dei rapporti infantili, la lingua e la buffa saggezza dei bambini, la loro tenacia, la forza dell'amicizia e il dramma del tradimento.
A Lido di Magra, un paesino di poche anime e una manciata di case a qualche chilometro dalla Versilia, il mare c'è, ma solo d'estate. Perché la vita da queste parti dura il tempo di una stagione. Fabio Arricò, figlio di un cavatore appena licenziato dalle derive della crisi, è un ragazzo normale. Ma a diciassette anni, essere normali significa fare quello che fanno gli altri, adeguarsi alle scelte del gruppo anche se capisci che sono sbagliate. Il gruppo, però, ha un punto debole e si chiama Caterina Valenti. Lei è tormentata, agguerrita e irriverente. Troppo bella e irriguardosa per non innescare un ambiguo corto circuito. Sorda al sentimento che Fabio si rifiuta di confessarle, ma che neppure riesce a nascondere. Di più. C'è qualcosa nel suo sguardo che svela uno strano piacere nell'umiliarlo e farlo soffrire. Come se avesse qualcosa da fargli pagare. Gli adulti, un campionario di figure umane comiche e inconcludenti, arrivano sempre tardi. In questo piccolo mondo nel quale sonnecchiano esistenze comuni, si soffre, si ama, si lotta ma sempre nel modo sbagliato. Prima ferendo, poi nascondendo la faccia. E il risultato, un congegno a orologeria che si carica con la frustrazione, è l'odio più incontrollato, quello che trascina a fondo. Quello che ti obbliga a ideare una notte di violenza inaudita ai danni di chi non può difendersi.
Sono passati solo due anni, e di tutto ciò che è stata non è rimasto nulla. Lena era brillante, determinata, brava a detta di tutti, curata, buona. Poi nella sua vita era entrato Saverio, e tutto era stato stravolto. Quel ragazzo più giovane, che viveva per essere contro qualsiasi regola, pregiudizio, conformità, l'aveva trasformata. E non erano solo i vestiti, i capelli, le parole. Era lei, le sue sicurezze, il suo amor proprio. Tutto calpestato in nome di un amore che agli occhi di tutti gli altri era solo nella sua testa. Il giorno in cui lui era finito in Arno, dato per disperso prima e per morto poi, qualcosa in Lena si era spento definitivamente. Sono passati due anni, e di Saverio le resta il cane Argo, che ancora la vive come un'usurpatrice, e un senso di vuoto dolente e indistruttibile. La sera in cui trova nella cassetta della posta un cellulare, Lena pensa che si tratti di uno scherzo, oppure di uno sbaglio. Ma bastano pochi minuti per rendersi conto che quell'oggetto può cambiare la sua vita. Perché i messaggi che arrivano, e a cui lei non può rispondere, parlano di cose che solo Saverio può sapere. E quindi è vivo. È tornato. Così, senza che Lena se ne accorga, quell'oggetto diventa l'unica linfa vitale a cui abbeverarsi, e non importa che i messaggi siano sempre più impositivi e le ordinino di commettere atti di cui mai si sarebbe pensata capace. Perché se lei farà la brava, lui rientrerà nella sua vita. O questo è ciò che pensa. Almeno fino a quando le persone che le stanno intorno cominciano a morire. E il gioco si fa sempre più crudele. E la prossima vittima prescelta potrebbe essere lei.
La prima bomba scoppia davanti a una scuola elementare, mentre i bambini entrano. La seconda bomba scoppia poco dopo, quando arrivano le ambulanze e i soccorsi. Dopo, qualcuno nota un segno sul muro. Una lettera greca. Alfa. E solo l'inizio. Paolo è un giornalista, uno cinico, uno curioso, uno spregiudicato e vuole cercare e capire. Francesca è un chirurgo, una madre a cui muore una figlia, a cui muore il marito e non può non odiare e fuggire. Gualtiero, è un politico, un uomo serio, sincero, isolato, uno che ha paura di quello che sente. Perché non finirà. Gli attentati continuano, sempre più crudeli e assurdi. Senza mai una rivendicazione. Solo uomini vestiti di nero e irriconoscibili. E quella lettera. Alfa.
La vita straordinaria di Gaio Giulio Cesare diventa un'autobiografia. Nel suo turbinare di scelte imponderabili e di strategie politiche, di relazioni difficili con donne dalla personalità forte ma anche pronte al sacrificio di se stesse, nel rutilante susseguirsi di battaglie e campagne militari, la trama della sua esistenza compone i tratti di una figura complessa e sfaccettata. Capace di arrivare dalla sua Suburra alle cariche più alte dello Stato e a ineguagliabili trionfi, il suo temperamento - sempre in bilico tra freddezza lucida e sincera generosità, l'amore per la grande tradizione dei padri e una visione alessandrina del mondo - lo ha reso un simbolo ineguagliabile, destinato post mortem a diventare un dio. Dall'esilio volontario per sfuggire alla mano di Silla all'inizio della sua carriera politica e al pontificato, dalla congiura di Catilina alla campagna in Gallia, dal passaggio del Rubicone alla campagna africana e agli attimi precedenti il tragico epilogo delle Idi di marzo: nel memoriale che scrive a Gaio Ottavio - futuro Cesare Augusto - e in cui lo nomina suo erede, Giulio Cesare ripercorre in prima persona i momenti cruciali di un vivere al galoppo, in sella alla sua celeberrima Fortuna, nella consapevolezza che la vita è un lancio di dadi e la vittoria una dea con le ali.
Brigitte arriva alla stazione Termini un giorno di fine gennaio. Addosso ha dei vestiti leggeri, ha freddo, fame, non sa nemmeno bene in che Paese si trova. È fuggita precipitosamente dal Congo, scaricata poi come un pacco ingombrante. La stazione di Roma diventa il suo dormitorio, la spazzatura la sua cena. Eppure era un'infermiera, madre di quattro figli che ora non sa nemmeno se sono ancora vivi. Quando è ormai totalmente alla deriva l'avvicina un uomo, le rivolge la parola, le scarabocchia sul tovagliolo un indirizzo: è quello del Centro Astalli, lì troverà un pasto, calore umano e tutto l'aiuto che le serve. Di fatto è un nuovo inizio, ma è anche l'inizio di una nuova odissea. "Io sono con te" è un libro raro e necessario per molte ragioni: è la storia di un incontro e di un riconoscimento, di un calvario e una rinascita, la descrizione di un'Italia insieme inospitale e accoglientissima, politicamente inadeguata e piena di realtà e persone miracolose. Melania Mazzucco si è messa in gioco a ogni pagina come essere umano e come scrittrice, scegliendo una forma flessibile e nuova, esatta, personale, carica di un'emozione trattenuta e dirompente. Se in "Vita" aveva narrato l'epopea dell'emigrazione italiana, ora ribalta la prospettiva: guardando negli occhi questi uomini e queste donne, specchiandoci nelle loro storie, non potremo non riconoscere l'energia disperata che ci accomuna tutti, quando la vita ci ha travolti e tentiamo di rimetterci in piedi.
Una madre e una figlia. La figlia tiene un diario e la madre lo legge. Alla storia di anaffettività, di sentimenti negati o traditi della giovane Mia, Giulia risponde con la propria storia segnata da quell'"essere di legno" che sembra la malattia, il tormento di entrambe. È come se madre e figlia si scrutassero da lontano, o si spiassero, immobilizzate da una troppo severa autocoscienza. Bisogna tornare indietro. E Giulia lo fa. Torna a riflettere sulla giovinezza ferita dall'egoismo e dalla prepotenza di una sorella falsamente perbenista, sul culto delle apparenze della madre e sul conforto che le viene da una giovane monaca peruviana, Sofia. Torna a rivivere i primi passi da medico, fra corsie e sale operatorie, il matrimonio con un primario, la lunga attesa di una maternità sofferta e desiderata. Più la storia di Giulia si snoda nel buio del passato, più affiorano misteri che chiedono di essere sciolti. E il legno si ammorbidisce. Ma per madre e figlia l'incontro può solo avvenire a costo di pagare il prezzo di una verità difficile, fuori da ogni finzione.
Una rilettura della parabola evangelica del padre buono e dei due fratelli: del figlio prodigo e del figlio devoto. Un'analisi profonda della fede, di quel mistero complesso e meraviglioso che è il cuore umano, della profondità del peccato e della scoperta del perdono. Io sono fango porta il lettore a misurarsi con la terra da cui è tratto, terra che diventa fango quando si cede ai compromessi della vita e agli istinti promossi dall'egoismo più bieco. Ma è proprio in quel fango che l'uomo ritrova Dio, quel Dio che si fa carne, lasciandosi plasmare di quella stessa terra da cui il primo uomo è stato tratto.
Un irrequieto adolescente fugge dalla madre, dagli obblighi quotidiani, dal villaggio povero e opprimente, e si mette alla ricerca del padre. In realtà insegue il suo passato, la comprensione del mistero della sua nascita, degli enigmi della sua infanzia, perché la madre è silente, forse non ricorda, o forse non vuole parlare. Solo il padre potrebbe fare il miracolo di restituirgli la memoria. Ma il padre non c'è più, ha abbandonato la famiglia. Il nome di quel ragazzo è Gesù, Maria e Giuseppe i genitori, Nazaret e la Galilea lo spazio delle sue avventure, del suo bisogno di amore, del dolore e della timidezza che sempre lo accompagnano. E il Gesù di Calaciura è un giovanissimo viandante in un cammino pieno di sorprese, passioni e tradimenti, dolcezza e violenza. Attorno a lui uomini e donne che sono figli di una terra con leggi spietate, il feroce dominio romano con la sua inarrivabile macchina bellica e governati va, l'autorità religiosa e morale dei sacerdoti, l'arroganza e lo sfarzo dei ricchi, la brutalità di chi si pone al di fuori della società e depreda i più deboli, la disperazione di chi non trova nemmeno un'oliva per nutrirsi o una pozza per dissetarsi. È un tempo inquieto, stravolto da cambiamenti profondi, il nuovo e il vecchio, l'antico e il moderno collidono e si sgretolano, nessuno più di un ragazzo tormentato dal desiderio e dall'ansia del futuro è capace di avvertire il battito sotterraneo di una rivoluzione in arrivo. Di cui, senza davvero volerlo, sarà protagonista.
Il primo protagonista seriale uscito dalla penna di Giancarlo De Cataldo.
Magistrato in Roma, melomane incallito, Manrico Spinori della Rocca risolve i casi ascoltando l'opera lirica. Perché non esiste esperienza umana che il melodramma non abbia già raccontato. Delitto incluso.
Roma, 1976. Un anno prima che tutto accada. Il Libanese freme. Il Libanese ha tre amici, Dandi, il Bufalo, Scrocchiazeppi. Passa con loro da un colpetto all'altro, tiene le armi delle altre bande. Il Terribile, che aspira a diventare il capo dei capi, tratta lui e gli altri pischelli come miserabili. Ma il Libanese non è uno dei tanti. Il Libanese ha un sogno. Un sogno ancora troppo grande per lui. Poi, una sera, il Libanese incontra Giada. Lei è bella, ricca, inquieta. Lei vuole cambiare le cose. Lei vuole fare la rivoluzione. Giada appartiene a un altro mondo. Il Libanese ne è stregato. E nello stesso tempo comincia a intuire che proprio da quel mondo potrà venire l'idea che gli permetterà di rendere il suo sogno una realtà. È grazie a lei, inconsapevole guida, che il Libanese penetra nel mondo dei ricchi, prima come pusher di un grande artista schiavo dell'eroina, e poi organizzando, con i suoi compari, un primo sequestro di persona (preludio di quello che segnerà, appena pochi mesi dopo, la nascita della Banda): il sequestro di un ricchissimo palazzinaro, padre di Sandro, l'amico del cuore di Giada...