
Inizio del Duecento, una schiera di fanciulli si avvia alla volta della Terra Santa per liberare il sepolcro di Cristo. È una follia collettiva che guida gli innocenti verso la guerra e il sangue.
I due protagonisti, Ugo e Agnes, vivranno vicende piene di imprevisti e incontreranno personaggi singolari che li aiuteranno a costruire il loro viatico dall’odio all’amore, dall’intolleranza alla fratellanza, portando allo scoperto l’assurdità di una religione che, come un arma potente, è usata per colpire e uccidere.
Ne Il ballo della sposa, Santucci riflette con grande forza sul vero messaggio delle religioni e, in particolare, del cristianesimo, una parola di riappacificazione e rispetto che ancora stenta a essere compresa.
L'Autore
Luigi Santucci nacque a Milano nel 1918. Oppositore del regime fascista, partecipò alla Resistenza collaborando, tra gli altri, con David Maria Turoldo. Di professione insegnante, incontrò successi fulminanti già con le sue opere giovanili che meritarono numerose pubblicazioni in Italia e all’estero: tra queste richiamiamo In Australia con mio nonno (1947), Lo zio prete (1951) e Il velocifero (1963). Nel 1967 ottenne il Premio campiello con il romanzo Orfeo in paradiso. I suoi numerosissimi scritti affrontano spesso temi cari alle religioni a partire da un punto di vista acuto e disincantato. Il ballo della sposa, pubblicato per la prima volta nel 1985, è un perfetto esempio di questa leggera ma profonda capacità di riflessione.
1407. È solo un bambino, il principe Marcus II di Saxia, quando nel cortile del castello di famiglia assiste impotente al massacro dei suoi cari, trucidati per ordine di Ojsternig, signore del regno vicino. La strage, in cui tutti lo credono morto, è la prima mossa dell'usurpatore Ojsternig per farsi riconoscere dall'imperatore come legittimo erede della terra di Raühnvahl. Ma qualcosa va storto, perché Marcus sopravvive a quella violenza sanguinaria grazie all'aiuto della piccola Eloisa, figlia della levatrice del villaggio. Così quel giorno ritornerà ogni notte nei suoi incubi come l'ultimo della sua agiata vita da nobile e il primo di quella da pezzente. Accolto nella casa della levatrice Agnete. Marcus perderà il suo nome - nessuno deve sapere che l'erede del principe della Raühnvahl è vivo - e diventerà Mikael. Ma soprattutto imparerà a vivere come un animale, forgiato dagli stenti e dalla fatica della vita da contadino, e a combattere come un guerriero, senza mai dimenticarsi chi è e cosa gli spetta di diritto. Non può immaginare, Mikael, che la sua nuova esistenza è destinata a fare di lui un eroe che conoscerà la forza inarrestabile dell'amore. E cambierà per sempre le sorti dell'Impero.
Marek ha nove anni e sa che la mamma gli nasconde molte cose. A Varsavia ci sono i nazisti, non si va più a scuola, la madre è ebrea, anche se nessuno lo sa. Il padre, medico, diventa anche insegnante per le lezioni clandestine che Marek e altri bambini polacchi continuano a seguire. Tra di loro c'è Lavinia, la bambina che gli piace (e che sarà uccisa a sangue freddo durante una recita clandestina). Quando il padre di Marek viene arrestato, anche l'ultima parvenza di normalità crolla. Durante l'ennesima deportazione dal ghetto ai campi di concentramento, la famiglia viene fatta uscire di casa e incolonnata. Su ordine della mamma, suo malgrado, nel tragitto Marek scappa. Sarà lei, gli dice, a tornare a prenderlo. Nel ghetto, i rimasti organizzano una sorta di disperata resistenza. Tutti partecipano a quelle che diventeranno le famose ventotto giornate di lotta. Marek avrebbe più volte la possibilità di non rientrare nel ghetto, ma non vuole neppure sentirne parlare: sua madre non gli ha forse detto di restare lì? Altrimenti come farà a ritrovarlo?
Prendere la decisione, perché altre non ce ne sono: sabotare il treno, impedirne in qualsiasi modo la ripartita, poiché non esiste un loro, un suo, un mio: soltanto un nostro.
Il casellante Giovanni Tini è tra i vincitori del concorso da capostazione, dopo essersi finalmente iscritto al pnf. Un'adesione tardiva, provocata più dal desiderio di migliorare lo stipendio che di condividere ideali. Ma l'avanzamento ottenuto ha il sapore della beffa, come l'uomo comprende nell'istante in cui giunge alla stazione di Fornello, nel giugno 1935, insieme alla moglie incinta e a un cane d'incerta razza; perché attorno ai binari e all'edificio che sarà biglietteria e casa non c'è nulla. Mulattiere, montagne, torrenti, castagneti e rari edifici di arenaria sperduti in quella valle appenninica: questo è ciò che il destino ha in serbo per lui. Tre mesi più tardi, in quella stessa stazione, nasce Romeo, l'unico figlio di Giovanni e Lucia, e quel luogo che ai coniugi Tini pareva così sperduto e solitario si riempie di vita. Romeo cresce così, gli orari scanditi dai radi passaggi dei convogli, i ritmi immutabili delle stagioni, i giochi con il cane Pipito, l'antica lentezza di un paese che il mondo e le nuove leggi che lo governano sembrano aver dimenticato. Una sera del dicembre 1943, però, tutto cambia, e la vita che Giovanni, Lucia e Romeo hanno conosciuto e amato viene spazzata via. Quando un convoglio diverso dagli altri cancella l'isolamento. Trasporta uomini, donne, bambini, ed è diretto in Germania. Per Giovanni è lo scontro con le scelte che ha fatto, forse con troppa leggerezza, le cui conseguenze non ha mai voluto guardare da vicino. Per Romeo è l'incontro con una realtà di cui non è in grado di concepire l'esistenza. Per entrambi, quell'unico treno tra i molti che hanno visto passare segnerà un punto di non ritorno.
Nel 1644 Budrio è un antico castello della città di Bologna con belle mura cinte da un fossato e, intorno, una campagna ricca di acque. Dentro al castello, si erge, solenne, la chiesa di San Lorenzo, con un alto campanile e il convento accanto, provvisto di chiostro e di torre dell'orologio. Il convento ospita diciassette frati, tra i quali padre Giovanni Battista Mezzetti. Noto come "l'unto del Signore" per il suo titolo di teologo conseguito grazie a un breve papale, il frate ha poco più di trent'anni ed è un uomo alto, con lo sguardo sicuro, i capelli fluenti e la voce suadente e imperiosa. Tra le duemila anime ospitate nel castello e fuori le mura, ha eletto a suo confidente, in virtù della disposizione che spinge l'uno verso l'altro i contrari, il medico di Budrio, Alberto Carradori. Al "povero uomo di scienza", come Carradori definisce se stesso, confida non soltanto i suoi disturbi, i suoi scatti d'ira improvvisi e il fuoco interiore che lo consuma, ma anche le sue angustie, i suoi slanci e il suo fervore di maestro del convento, addetto a insegnare la grammatica, la lingua italiana e quella latina ai ragazzi di Budrio. Svela, soprattutto, di coltivare vasti progetti per l'avvenire di un suo allievo: Giacomo Modanesi, un bambino di intelligenza e memoria prodigiose. Il ragazzo appartiene a una famiglia povera proveniente dal Po, da luoghi pieni di miasmi dove l'acqua facilmente s'impaluda. Sua madre è morta di febbri maligne e suo padre è un garzaiolo...
"Ho attraversato questa storia sotto tensione fino all'ultima pagina. Poi non ho smesso di tornarci col pensiero. Ho pensato che ci sono due vie per attraversare la vita. E non è possibile sceglierle, perché le decide il destino. La prima, la più diffusa, è quella delle esperienze universali che bussano alla nostra porta. Arriva la nascita, arriva l'amore, arriva la morte. Da uno vanno vestite di blu, da un altro di rosso. Le esperienze fondamentali sono le stesse per tutti, anche se succedono in mille maniere diverse. A qualcuno invece è dato in sorte tutt'altro. Ci sono persone a cui l'universale si presenta completamente stravolto, irriconoscibile. Forse non è più l'universale, ma un'altra cosa ancora, incomprensibile, inaudita, che non ha nemmeno nome. Il male si installa dove ci dovrebbe essere la tenerezza, la sicurezza più fiduciosa. L'orrore sboccia nel più inaspettato dei luoghi. "Il bambino indaco" si inoltra in quel luogo impossibile, dove le cose primarie crollano, la vita si sfonda precipitando, e la più pacifica delle condizioni, l'amore per il proprio figlio, va conquistata con la più astuta e feroce delle guerre." (Tiziano Scarpa)
Manuel ha cinque anni e un grande cuore indomito. Un giorno, quando si squarcia il velo sui misteri più reconditi della sua giovanissima vita, risponde al richiamo che la natura intorno al suo villaggio gli lancia e fugge tra i boschi del Cile. In molti probabilmente sapevano perché non aveva una mamma, e perché vivesse insieme a un uomo che chiamava nonno ma in realtà era un estraneo. Un uomo che nascondeva un segreto sconvolgente sul passato di quel bambino e di sua madre, un segreto di cui Manuel aveva perso ogni ricordo. Quando la verità riemerge dall'oblio, Manuel decide che la sua famiglia sarebbero stati gli alberi, i ruscelli, i cespugli di frutti selvatici che tante volte lo avevano sfamato. Se il mondo degli uomini lo escludeva e lo maltrattava, la natura sembrava accoglierlo, gli uccelli cantavano la forza della vita, le fronde stormivano e i prati lo accarezzavano come nessuno aveva mai fatto. Se casa è un posto dove sentirsi protetti, lì era casa sua. Per molti mesi, anni, Manuel vive da solo nel bosco, in silenzio, mangiando frutti selvatici, imparando a cacciare dai gatti, a costruirsi una fionda, a pescare a mani nude. Un piccolo ragazzo selvaggio che coltiva dentro di sé la libertà. Niente lo avrebbe convinto a tornare nella prigione di prima, nemmeno l'inverno, nemmeno il vento gelido. Fino a quando il destino non inizia il suo lungo viaggio in cerca del bambino invisibile...
Massimo e Barbara, insieme al piccolo Leone, decollano alla volta del Kenya per andare a conoscere il nuovo membro della famiglia: Baby Tom. Li attende una permanenza di nove mesi, come richiede la procedura di adozione. Un tempo durante il quale si perderanno nella bellezza di una natura primordiale, ma dovranno anche confrontarsi con tutte le fatiche che l'Africa impone. Un tempo in cui Massimo si ritroverà a fare i conti con una paura imprevista e sconcertante: che questa avventura, anziché allargare la famiglia, possa finire per sfasciarla. "Il bambino promesso" è il romanzo di una crisi, l'autobiografia di un viaggio che - sulle tracce di autori come Emmanuel Carrère, Paul Collins e Lawrence Osborne - si fa racconto universale. Un memoir pudico e spietatamente sincero, un manuale di autoaiuto per chi s'imbarca in un'adozione internazionale e, più in generale, un gesto d'incoraggiamento rivolto a tutti i genitori: perché, alla fine, la fragilità di quattro persone che si cercano diventa la forza di una famiglia.
C'è un incontro quotidiano che scandisce e rende più bella la nostra vita, che ci sa sorprendere creando connessioni inattese e meravigliose. L'incontro con il cibo. E anche il destino del protagonista di questo libro è intrecciato con le pietanze "saporitòse" di cui si nutre, dalla nascita in Calabria alla maturità nel Nord. Il cibo è identità e qui diventa motore del racconto: un'appassionata storia di formazione attraverso i sapori e le fragranze che rinsaldano il legame con le origini, accompagnano il distacco dalla propria terra, annunciano il brivido dell'ignoto. Ecco dunque le tredici cose buone del Natale, i piatti preparati con giorni di anticipo, che lasciavano intuire all'autore bambino il ritorno imminente del padre dalla Germania. E poi, nell'adolescenza, nuovi appetiti che troveranno soddisfazione nella letteratura: libri prelibati che trasformano l'autore in un lettore onnivoro. Quando toccherà a lui abbandonare il paese per un impiego in Germania, dove incontrerà la donna della sua vita e poi con lei deciderà di stabilirsi in Trentino - a metà strada tra i loro mondi d'origine -, sarà ancora un piatto a celebrare la nuova vita: la polenta con la 'nduja, sintesi perfetta di Nord e Sud. Carmine Abate racconta il legame con la terra - la fatica che comporta, ma pure le dolcezze, l'incanto - e poi gli affetti, i sogni e i successi di chi sperimenta luoghi e sapori lontani, scegliendo di vivere, sempre, per addizione.
La nascita della Repubblica milanese e del gran numero di Comuni lombardi che si costituirono dopo l'anno Mille è uno dei più importanti fenomeni di emancipazione civile ed economica dell'età medievale. Decisive sono state le loro battaglie contro Federico Barbarossa, feroce nemico della loro autonomia e dei loro ideali sociali e religiosi. Ed è proprio sul Barbarossa che Dario Fo punta il suo occhio critico e irriverente per portare alla luce, in questo romanzo inedito, un episodio esemplare, la singolarissima fondazione della città di Alessandria e la lotta che ha aperto la strada a un nuovo corso della storia d'Europa. Cancellando la cronaca ufficiale, forse troppo attenta a non gettare il ridicolo sul sovrano, l'autore fa spuntare dagli archivi un'altra verità e ricostruisce la vicenda di una «fantastica Alessandria galleggiante», capace di resistere per mesi all'esercito più potente del mondo occidentale, e di un imperatore con la tragicomica ossessione dell'acqua: una vicenda in cui l'ordinaria triste ingiustizia viene ribaltata e il tiranno, per una volta, sconfitto.
Il narratore ripercorre la lunga vicenda del fratello, Cosimo di Rondò, vissuto nella seconda metà del XVIII secolo a Ombrosa, in Liguria. Cosimo, per sfuggire a una punizione inflittagli dai suoi educatori, decide di salire su un albero per non ridiscendere mai più. Cosimo si costruisce un mondo aereo dove diversi personaggi della cultura e della politica (Napoleone compreso) lo vanno a trovare, testimoniandogli la loro ammirazione. Vive anche una tormentata storia d'amore con la volubile Viola. Cosimo muore vecchio, senza mai discendere in terra: ammalato, in punto di morte, si aggrappa alla fune di una mongolfiera e scompare mentre attraversa, così appeso, il mare. Postfazione di Cesare Cases.
Platone è un bassotto dal pelo lungo e la coda a pennello. Un cane da salotto, di quelli nati per fare compagnia agli uomini. A Yuri, per esempio, studente di filosofia "con gli occhiali sempre appannati". Ma durante le vacanze Yuri segue Ada su una nave da crociera, lasciando il bassotto alle cure del portiere. E proprio nella solitudine della notte di Natale avviene per Platone l'incontro che gli cambierà la vita. Nella cantina del palazzo, il Tatuato nasconde scatoloni pieni di animali di contrabbando: scimmie, iguane, serpenti a sonagli, una vecchia tartaruga leopardo di nome Leo, e lei, la Regina, un'elegante levriera afghana, giovanissima, "poco più che un gomitolo di neve". Per Platone è il colpo di fulmine. Ma il cuore della Regina è altezzoso, e neanche le canzoni che il bassotto intona giorno e notte per tenerle compagnia riescono a sedurla. A raccontarci questa storia tenera e profonda, dal suo osservatorio speciale tra le foglie di un albero, un pappagallo che conosce tutte le lingue del mondo, e tutte le pieghe dell'anima. Una favola per chi crede che niente è impossibile.