
"Foravìa", ovvero "fuori mano", "deviazione", "lontano', "strano". Tutto ciò che scarta dalla quotidianità e che trasforma le eccezioni in sorprese. Per tre volte il narratore si trova a "deviare". Per andare a un appuntamento sulle colline fuori città, sbaglia strada e passa una singolarissima notte in macchina. Si trova in casa una creatura spaventosa e se ne fa carico, instaurando con lei una curiosa relazione. Sul corso incontra Elisabeth, che sta male, ha bisogno di aiuto - e la città notturna si svela in una peregrinazione fra ospedali e case, un mondo che esiste appena poco più in là, con tutta la sua urgenza e il suo fascino.
Inverno 1981. Alex, ventun anni, deve lasciare precipitosamente la sua stanza in affìtto a Neukölln, quartiere povero di Berlino Ovest. In mano una borsa con tutti i suoi averi, a tracolla una chitarra. Erede di una famiglia ricca dal passato oscuro, Alex se n'è andato di casa a sedici anni e da allora vive come può. Chissà se troverà un posto per dormire, stanotte. E chissà se un giorno, mentre suona per strada, qualcuno lo noterà. Primavera 1982. Mia, diciassette anni, nella sua bella casa di Torino guarda dei videoclip con l'amica Chiara. E intanto si chiede perché non gliene importi niente di cantanti e attori, e perché con i coetanei si senta così spesso a disagio, quasi diversa da loro... poi parte il video di Wallness, il successo del momento. La canta Alex, che Mia finora non aveva mai visto. Adesso lo guarda. Lo guarda. Non smetterebbe mai. Estate 1982. S036, storico locale di Kreuzberg. Alex si prepara a salire sul palco e a dimenticare, per un po', i paparazzi, il music business e tutte le conseguenze spiacevoli della celebrità. Anche Mia si sta preparando al concerto: è in vacanza a Berlino con Chiara, e l'idea di vedere e ascoltare Alex dal vivo la riempie di timori: e se lui la deludesse? Accaldata e ansiosa, Mia esce sul retro del locale in cerca d'aria. E trova Alex.
Il primo omicidio letterario in terra di mafia della seconda repubblica - un omicidio eccellente seguito da un altro, secondo il decorso cui hanno abituato le cronache della criminalità organizzata - ha la forma dell'acqua (""Che fai?" gli domandai. E lui, a sua volta, mi fece una domanda. "Qual è la forma dell'acqua?". "Ma l'acqua non ha forma!" dissi ridendo: "Piglia la forma che le viene data"). Prende la forma del recipiente che lo contiene. E la morte dell'ingegnere Luparello si spande tra gli alambicchi ritorti e i vasi inopinatamente comunicanti del comitato affaristico politico-mafioso che domina la cittadina di Vigàta, anche dopo il crollo apparente del vecchio ceto dirigente. Questa è la sua forma. Ma la sua sostanza (il colpevole, il movente, le circostanze dell'assassinio) è più antica, più resistente, forse di maggior pessimismo: più appassionante per un perfetto racconto poliziesco. L'autore del quale, Andrea Camilleri, è uno scrittore e uno sceneggiatore che pratica il giallo e l'intreccio con una facilità e una felicità d'inventiva, un'ironia e un'intelligenza di scrittura che - oltre il divertimento severo del genere giallo - appartengono all'arte del raccontare. Cioè all'ingegno paradossale di far vedere all'occhio del lettore ciò che si racconta, e di contemporaneamente stringere con la sua mente la rete delle sottili intese.
Leo ha sette anni e tanti piccoli desideri: leggere "Topolino", ascoltare la canzone de "La storia infinita" e avere dei genitori come quelli dei suoi compagni di classe, che sgridano, danno castighi, guardano la partita o spettegolano al telefono con le amiche. Ma la sua famiglia è diversa: la domenica si scende tutti in piazza a manifestare contro la guerra, qualche volta si rimane dai nonni perché papà e mamma sono in giro per l'Italia con una mostra itinerante sui prigionieri politici; e poi ci sono quei maledetti adesivi che ritraggono sei uomini di spalle e che lei ritrova appiccicati ovunque, anche in camera sua. Quelle sagome ossessioneranno la sua infanzia, fino a quando, a vent'anni, Leo deciderà di capire chi erano veramente quelle persone, i sei di Sharpeville, e volerà in Sudafrica. Qui avrà la possibilità di conoscerli di persona: cinque uomini e una donna, accusati ingiustamente di omicidio dopo aver partecipato a una manifestazione in cui un console aveva perso la vita. Grazie a quell'incontro Leo farà una grande scoperta: gli eroi raccontati da suo padre non esistono, ci sono solo persone che fanno delle scelte e che sanno essere coraggiose, persone che se potessero tornare indietro forse quel giorno sarebbero rimaste a casa. Non ci saranno verità universali con cui tornare dai suoi, solo una storia dolorosa di soprusi e violenze nel Sudafrica dell'apartheid.
La voce al telefono dice che Livio Jarussi, il bambino scomparso da due anni, è vivo e sta bene. Aspetta soltanto di essere riportato a casa, dai suoi genitori. Quando la polizia arriva nel luogo indicato dalla voce anonima, una discarica alla periferia di Foggia, trova una scena sconcertante. Qualcuno ha allestito un terribile quadro rituale. Sepolto malamente tra i rifiuti c'è il corpo di Livio. Sulla misera tomba, come un lugubre ornamento, si alza una croce di legno e ferro. Per Renzo Bruni, alto funzionario del Servizio Centrale Operativo, questo ritrovamento significa tornare a occuparsi di un caso che più di ogni altro l'ha tormentato in passato, come poliziotto e come uomo, di un caso dove ritrova un suo fiero avversario, Zio Teddy, in una partita a due, giocata con gli strumenti del male.
Questa è una storia che comincia da lontano, privata e corale al tempo stesso. Comincia da una bambina cagionevole che nell'immaginazione ha la sua forza, dai sentimenti puliti dell'età in cui tutto è nuovo e si impara a misurare se stessi. La Seconda guerra mondiale è finita, dietro le spalle la paura e la fame. E tutto può ricominciare. C'è una famiglia benestante e protettiva, c'è l'Italia che scorre davanti agli occhi. Ci sono tre sorelle e un fratello, le cuoche e le cameriere, le governanti e le insegnanti, e poi gli amici inseparabili, un disco che gira sul grammofono, i giochi, gli affetti, i segreti. Ci sono le gite in montagna, le estati irripetibili e arroventate con le scorribande sulle colline del Monferrato, i bagni nel Po. Le ore passate a fingere di studiare il pianoforte con le avventure delle tigri di Mompracem al posto dello spartito, gonne di taffetà sul corpo che cambia, un tavolo da ping pong che fa il suo ingresso in casa relegando le bambole in soffitta e scatenando pomeriggi di battaglie furibonde. Poi, dal bozzolo della fanciulla "bene", spunta un'adolescente determinata e curiosa: di nuovi luoghi, di persone dalle storie affascinanti e nebulose. E nascono anche i primi "incantamenti", a partire da quel ragazzo piú grande che assomiglia a Gregory Peck fino a quel giovane alto e squattrinato che legge Marx e la fa sentire bellissima. D'improvviso, gli appuntamenti di nascosto, le bugie al padre amatissimo, l'emozione del corpo. È da qui che comincia la vita adulta.
Questo libro è il diario di un viaggio fatto nell'Africa dimenticata, quella delle bidonville sommerse dai rifiuti, dell'epidemia di Aids, della violenza indiscriminata, dell'infanzia distrutta dalla malnutrizione, delle malattie e delle droghe. Una testimonianza indignata e sgomenta di un viaggio all'inferno: un inferno senza redenzione, se non fosse per l'opera di volontari, laici e religiosi, missionari e membri di associazioni non governative, che tengono viva, contro ogni logica, la luce della speranza. Questo libro è insieme un tributo a quella speranza e agli uomini e alle donne che l'alimentano e una riflessione politica sulle storture della globalizzazione e le responsabilità dell'Occidente.
"Buttato sulla sabbia, accecato dal fulgore di un paradiso perduto, le palpebre incollate dal sale. Riapro gli occhi. La mia mente è vuota: nessun ricordo, nessuna parola. Una tabula rasa. Non posso formulare un pensiero. Non so più distinguere i miei sentimenti, dare ordine alle mie percezioni. Qualcosa che non conosco ha annientato la mia vita. È un sogno a salvarmi: il viso luminoso di una donna. Impossibile per me riconoscerla, o ricordare il suo nome. Ma quel sorriso mi riscuote dall'oblio, diventa l'unica ragione per sopravvivere e fuggire. A guidarmi è un libro, trascinato sulla spiaggia dalla mareggiata di un tifone. Tra le sue pagine distrutte si è salvata solo una misteriosa poesia. E sembra parlare di me. Attraverserò il mondo per sapere chi sei. Vestirò nuove identità per ritrovarti. Cavalcherò un'onda paurosa per scoprire cosa nasconde il suo cono d'ombra: il nostro ultimo segreto, cancellato dall'amnesia. E alla fine sapremo solo una cosa, la più grande. Forte come quest'onda che nessuno può cavalcare fino in fondo."
"La forza della ragione" voleva essere solo un post-scriptum intitolato "Due anni dopo", cioè una breve appendice a "La rabbia e l'orgoglio". Ma quando ebbe concluso il lavoro, Oriana Fallaci si rese conto di aver scritto un altro libro. L'autrice parte stavolta dalle minacce di morte ricevute per "La rabbia e l'orgoglio" e, identificandosi in tal Mastro Cecco che a causa di un libro venne bruciato vivo dall'Inquisizione, si presenta come una Mastra Cecca che, eretica irriducibile e recidiva, sette secoli dopo fa la stessa fine. Tra il primo e il secondo rogo, l'analisi di ciò che chiama l'Incendio di Troia, ossia di un'Europa che a suo giudizio non è più Europa, ma Eurabia, colonia dell'Islam.
Stavolta non mi appello alla rabbia, all’orgoglio, alla passione. Mi appello alla Ragione.” La pubblicazione de La Rabbia e l’Orgoglio, dopo il crollo delle due Torri l’Undici Settembre 2001 a New York, genera un dibattito senza precedenti nel mondo intero. In risposta agli attacchi e alle minacce ricevuti per aver espresso il proprio punto di vista in assoluta libertà e senza condizionamenti, Oriana Fallaci decide di lavorare a un post-scriptum intitolato “Due anni dopo”. Pagine ricche di fatti, notizie, riferimenti, da cui nasce questo nuovo saggio, La Forza della Ragione, un’analisi rigorosa e serrata della storia dell’Europa in chiave filosofica, morale e politica, un approfondimento del rapporto tra Occidente e Islam. “Scriverlo era mio dovere.” Identificandosi in un tal Mastro Cecco che nel 1328 viene bruciato vivo dall’Inquisizione a causa di un libro, la Fallaci si presenta come una Mastra Cecca eretica, irriducibile e recidiva che sette secoli dopo fa la stessa fine. Ma non senza battersi per difendere i valori in cui crede e in cui è cresciuta. “Se un’ortica m’invade, se un’edera mi soffoca, se un insetto mi avvelena, se un leone mi morde, se un essere umano mi attacca, io combatto. Accetto la guerra, faccio la guerra. La faccio con l’arma che m’appartiene, che porto sempre con me, che uso senza riserve e senza timidezze, è vero. Ossia l’arma incruenta dei pensieri espressi attraverso la parola scritta, attraverso le idee e i principi che ci distinguono dagli animali e dai vegetali.” Nell’Appendice di questa nuova edizione BUR de La Forza della Ragione sono riprodotti documenti autografi inediti relativi alla versione americana del testo.