
Figli dello stesso padre, ma di due donne diverse, Germano ed Emilio si rivedono dopo un lungo silenzio. Sono diversissimi, accomunati unicamente dall'amore insoddisfatto per il padre Giovanni, una figura possente, passionale ed egocentrica, che ha abbandonato la madre di Germano perché la sua nuova donna aspettava un figlio, Emilio, per poi abbandonare poco dopo anche lei come tutte le altre donne della sua vita. Germano, pur essendo sempre stato il preferito del padre, non ha mai perdonato al fratello minore di essere la causa del divorzio dei genitori. Emilio, cresciuto sapendo di essere il figlio non voluto, ha sempre cercato, invano, l'affetto del padre e del fratello. Nei pochi giorni che trascorreranno insieme, le antiche rabbie e il richiamo del sangue riemergeranno furiosi.
Ormai varcata la soglia dell'età adulta, i figli cresciuti si raccontano ai genitori, per dare voce al travaglio emotivo che ha accompagnato il processo della loro emancipazione. I guasti prodotti dall'incomprensione e dalla latitanza degli adulti, così come gli effetti positivi della loro adeguatezza di educatori, vengono analizzati e descritti attraverso il filtro delle parole di quei figli, ormai cresciuti, che hanno sviluppato un'autonomia di giudizio e, talvolta, sono giunti a formulare un'impietosa condanna. Ivana Castoldi, psicologa e psicoterapeuta, ha operato per diversi anni presso il Centro per lo studio e la terapia della famiglia dell'Ospedale Niguarda-Cà Granda. Attualmente esercita la libera professione.
Bellano è in gran subbuglio. Agostino Meccia, podestà della cittadina affacciata sul lago, ha deciso di perseguire un progetto ambizioso: una linea di idrovolanti che collegherà Como, Bellano e Lugano, darà lustro alla sua amministrazione e attirerà frotte di turisti, facendo schiattare d'invidia i colleghi dei comuni limitrofi. Tutto sembra filare liscio. Andrea Vitali, nato nel 1956 a Bellano dove esercita la professione di medico di base, racconta un altro episodio della vita della sua città, una storia di comicità contagiosa ambientata nella fascistissima Italietta d'inizio anni Trenta.
«La mia è una storia antica, scritta nelle ossa. Sono antiche le ceneri di cui sono figlia, ceneri da cui, troppe volte, sono rinata. E a tratti è un sollievo sapere che prima o poi la mia mente mi tradirà, che i ricordi sembreranno illusioni, racconti appartenenti a qualcun altro e non a me. È quasi un sollievo sapere che è giunto il momento di darmi una risposta, e darla soprattutto a chi ne ha più bisogno. Perché i miei giorni da commissario stanno per terminare. Eppure, nessun sollievo mi è concesso. Oggi il presente torna a scivolare verso il passato, come un piano inclinato che mi costringe a rotolare dentro un buco nero. Oggi capirò di dovere a me stessa, alla mia squadra, un ultimo atto, un ultimo scontro con la ferocia della verità. Perché oggi ascolterò un assassino, e l'assassino parlerà di me.» Dopo "Fiori sopra l'inferno" e "Ninfa Dormiente", torna il commissario Teresa Battaglia in una storia intrisa di spietatezza e compassione, di crudeltà e lealtà, di menzogna e gentilezza. L'indagine più pericolosa per Teresa, il caso che segna la fine di un'epoca.
Giovanni ha nove anni quando si accorge che gli amici di suo padre, alla Pasticceria Francese, possono ottenere tutto con uno schiocco delle dita. Anche un televisore a colori, che nel 1977 è pura magia. Ma il prezzo da pagare è molto alto. Tanto alto che alcune persone muoiono. Siamo a Palermo, alla vigilia di una vera e propria guerra che culminerà molti anni dopo con la strage di Capaci: negli occhi di Giovanni, spaventati e curiosi, scorrono ogni giorno le immagini di un lungo telefilm troppo realistico. E se Fonzie non sempre riesce a saltare dieci bidoni con la moto, gli elicotteri della Polizia fanno più rumore fuori che dentro il televisore.
II desiderio più semplice e naturale per una donna: diventare madre e costruire una famiglia. Ma un progetto tanto normale può diventare una sfida ardua, come quella che metterà alla prova la forza e la profondità dell'amore di Francesca e Andrea, i due protagonisti di questo romanzo. La loro storia vacilla, entra in una crisi che mai, prima, avrebbero potuto immaginare, e li pone di fronte a decisioni sempre più drammatiche. Può una donna rinunciare ad avere un figlio? E dovrebbe porre dei limiti alla propria volontà di procreare, quando le opportunità di fecondazione assistita le fanno sperare di esaudire il suo desiderio?
«Avati sembra a volte l’erede di Piero Chiara, il narratore nato che fra ricordi e invenzioni scrive beato come un rubinetto aperto. Ho lavorato con Chiara, conosco Pupi e posso assicurare che si assomigliano. Ho frequentato molto Fellini e di nuovo posso garantire che le affinità elettive ci sono e come.»
Tullio Kezich, «Corriere della Sera»
Il figlio più piccolo ruota intorno alla figura di un «faccendiere», un personaggio chiave della nostra moderna commedia dell’arte. Luciano Baietti è un imbroglione cinico e senza scrupoli ma dalla simpatia irresistibile. Scaltro e attivissimo, megalomane e gran seduttore, è un uomo di successo che vive sempre sull’orlo del fallimento: con le donne, negli affari, nei rapporti con i media e con la politica... Quando tutto sembra perduto, grazie anche ai suggerimenti del suo diabolico consigliere e al clan dei suoi complici, riesce sempre a tirarsi fuori da guai. Uno come lui si salva sempre, a qualunque costo: magari coinvolgendo nei suoi traffici il figlio più piccolo, un ragazzo di vent’anni che ha abbandonato a una madre ingenua e protettiva...
Da decenni Pupi Avati guarda l’Italia – quella di oggi e quella di ieri – con il lucido distacco dell’intelligenza ma anche con la partecipazione affettuosa di chi nel nostro paese ha le radici e gli affetti. Da questo paese ora buffo ora tragico, Avati ritaglia personaggi e storie che divertono e al tempo stesso ci fanno capire meglio chi siamo davvero.
Potremmo incontrare gli eroi casalinghi del Figlio più piccolo al bar sotto casa o all’uscita di scuola, e ritrovarli il giorno dopo sui rotocalchi o al telegiornale, come protagonisti del gossip o di un fatto di cronaca. Le loro vicende regalano una parabola esemplare sull’Italia di questi anni: sgangherata, divertente e feroce, improbabile e vera.
"Non so perché, ho una grand'ansia di sbrigarmi" scriveva Luigi Pirandello al figlio, prigioniero a Mauthausen, in una delle lettere della corrispondenza che forma la più gran parte di questo libro. Era l'agosto del 1916. Sei mesi prima, assistendo a una recita di Angelo Musco, aveva scoperto che il teatro, più che le novelle e i romanzi, poteva diventare adesso forma perfetta della sua fantasia. Stefano era stato il figlio a lui più vicino. Fin da quand'era bambino Luigi aveva preso il suo primogenito a confidente delle proprie pene nel rapporto con la moglie Antonietta, la cui malattia mentale s'aggravava. Questo rapporto di straordinaria intimità è testimoniato da un carteggio che durerà decenni e metterà più di un segno nella vita e nell'arte di entrambi.
Durante una cena estiva, dopo aver bevuto un po', otto scrittori cominciano a confessarsi le peggiori figuracce della loro vita. Cose che il giorno dopo, da sobrio, vorresti non solo non aver raccontato, ma soprattutto mai aver vissuto. E invece dopo qualche tempo Niccolò Ammaniti li chiama e dice: avete il coraggio di scriverle? Da qui nasce un'antologia divertente, autodelatoria e un po' folle. Sono storie di lavoro, d'amore, di incontri sbagliati in cui viene fuori che le figuracce sono svolte esistenziali e come le cicatrici ci ricordano chi eravamo e cosa siamo diventati. Autori: Niccolò Ammaniti, Diego De Silva, Paolo Giordano, Antonio Pascale, Francesco Piccolo, Christian Raimo, Elena Stancanelli, Emanuele Trevi.
"Nel 1980 - racconta Andrea Camilleri - Livio Garzanti volle pubblicare questo mio romanzo risolvendo le perplessità di alcuni suoi eminenti collaboratori. Mi domandò però, quasi a guardarsi le spalle, un glossario. Comprendendo le sue taciute ragioni, principiai a compilarlo di malavoglia: poi, a poco a poco ci pigliai gusto e me la scialai. Il romanzo viene ora ristampato a distanza di diciassette anni e il glossario, nel frattempo, è diventato superfluo. Se ora lo ripubblichiamo è perché la cosa sottilmente ci diverte. Lo spunto di 'Un filo di fumo' me lo diede un volantino anonimo, trovato tra le carte di mio nonno, che metteva in guardia contro i maneggi di un commerciante di zolfo disonesto. Per il resto, nomi e situazioni sono da addebitare alla mia fantasia. Allora, quando uscì, il romanzo piacque a mia madre: lo dedico alla sua memoria".
Odorico da Pordenone fu, come Marco Polo, un grande viaggiatore. Nato, pare, lo stesso anno di Dante, entrò nel convento dei Frati Minori di Udine nel 1280. La sua grande avventura fu un viaggio in Estremo Oriente, cominciato forse nel 1314, che lo portò a incontrare il Gran Khan. Sulla scorta delle scarse notizie fornite dalla storia e dai "Commentari" che Odorico dettò al suo ritorno, Sgorlon racconta tutta la vita di questo uomo singolare, rievocando il suo straordinario slancio missionario, la sua animosa curiosità di "viaggiatore di Dio", il suo grande sogno che l'Asia e il Catai potessero un giorno rivolgersi al cristianesimo.