
Lo studio delle strutture fondamentali della conoscenza ha caratterizzato tutta la ricerca teoretica di Cassirer. Nell'imponente opera qui presentata il campo delle sue riflessioni si sposta dal mondo della scienza a quello dell'uomo. In entrambi i casi è fondamentale la funzione del linguaggio che, oltre a essere uno strumento di comunicazione, fa da tramite fra l'ambito delle impressioni e quello dell'oggettivazione. Questo passaggio avviene grazie all'espressione simbolica. Cassirer concepisce anche il mito, il linguaggio, la religione, l'arte come forme simboliche per mezzo delle quali lo spirito dà un senso al reale. Un'opera, che, mostrando la moltitudine di possibilità e i limiti della conoscenza e rifiutando ogni forma di dogmatismo acritico, incarna la crisi delle certezze che permea lo spirito del XX secolo.
Pubblicato a Roma nel 1535, il "Democrates" di Sepulveda ha ispirato la rinascita dello stoicismo moderno. Testo polemico rivolto contro Erasmo e Machiavelli, il dialogo rispose alle inquietudini del tempo trattando del problema della guerra e della sua legittimità morale per i cristiani. Si poteva esercitare serenamente il mestiere delle armi tenendo conto dei precetti del Vangelo? Si poteva accordare l'etica antica e mondana della gloria con quella della pietà? Richiamandosi a Cicerone e ad Aristotele, Sepulveda respinse il pacifismo erasmiano, esaltò la potenza spagnola e replicò alle pagine corrosive di Machiavelli sul rapporto tra cristianesimo, decadenza politica e virtù militare. Il "Democrates", inoltre, costituì il primo momento in cui Sepulveda elaborò una dottrina della guerra umanitaria che servì come base per la legittimazione dell'imperialismo coloniale europeo.
I "Quaderni neri" presentano una forma che, secondo le sue caratteristiche, risulta oltremodo singolare non solo per Heidegger, bensì in generale per la filosofia del XX secolo. Tra i generi testuali di cui solitamente si fa uso i Quaderni sarebbero anzitutto da paragonare a quello del "diario filosofico". In essi gli eventi del tempo vengono sottoposti a considerazioni critiche e messi continuamente in relazione con la "storia dell'Essere". Il presente testo è il primo dei tre volumi in cui saranno pubblicate le "Riflessioni". Il primo quaderno di questo volume incomincia nell'autunno del 1931, l'ultimo, con le "Riflessioni VI," si conclude nel giugno del 1938. Le "Riflessioni" non corrispondono ad "aforismi" da intendersi come "massime di saggezza". Ciò che è "decisivo non è", "che cosa si rappresenti e che cosa venga riunito a formare una costruzione rappresentativa", "bensì solo come si ponga la domanda e assolutamente il fatto che si domandi dell'essere". Dal "tentativo" di Heidegger di riconoscere la "storia dell'Essere" nei suoi segni quotidiani nasce un manoscritto che, dall'inizio degli anni trenta fino all'inizio degli anni settanta, interpreta anche i due decenni più oscuri della storia tedesca e l'eco che ne seguì.
Anthony Collins (1676-1729), illuminista radicale e personaggio chiave dei Free-thinkers inglesi, con A Philosophical Inquiry concerning Human Liberty (1717) dà una collocazione sistematica al determinismo che già filtrava dai suoi scritti precedenti. L’opera ha un carattere dinamico e coerente, che fa il punto delle principali linee guida della posizione determinista, costituendo un vero e proprio “trattatello” sul tema. La linearità di queste dimostrazioni non è però innocua: il determinismo collinsiano, con la sua dominante componente materialistica, è in grado di scardinare il sistema della filosofia tradizionale e, cosa ancor più importante, di proporne una valida ed efficace alternativa. Jacopo Agnesina Ph.D, si è dedicato allo studio dell’Illuminismo radicale. Riguardo il pensiero di Anthony Collins ha pubblicato articoli su riviste italiane e internazionali. Di prossima uscita, per l’editore parigino Honoré Champion, una monografia dal titolo The Philosophy of Anthony Collins: Free-thought and Atheism.
Molto tempo prima che venisse coniato il semplicistico termine di «globalizzazione», Carl Schmitt aveva visto, con lucidità profetica, come «l'universalismo dell'egemonia anglo-americana» fosse destinato a cancellare ogni distinzione e pluralità spaziale in un «mondo unitario» totalmente amministrato dalla tecnica e dalle strategie economiche transnazionali, e soggetto a una sorta di «polizia internazionale». Un mondo spazialmente neutro, senza partizioni e senza contrasti – dunque senza politica. Per Schmitt non il migliore, ma il peggiore dei mondi possibili, sradicato dai suoi fondamenti tellurici. Fedele alla justissima tellus, Schmitt persegue invece l'idea che non possa esservi Ordnung (ordinamento) mondiale senza Ortung (localizzazione), cioè senza un'adeguata, differenziata suddivisione dello spazio terrestre. Una suddivisione che superi però l'angustia territoriale dei vecchi Stati nazionali chiusi, per approdare al «principio dei grandi spazi»: l'unico in grado di creare un nuovo jus gentium, al cui centro ideale dovrebbe tornare a porsi l'antica terra d'Europa, autentico katechon di fronte all'Anticristo dell'uniformazione planetaria nel segno di un unico «signore del mondo». Certo è che la prospettiva di Schmitt, già delineata ottant'anni fa, appare oggi più attuale che mai, e il suo pensiero si conferma come essenziale per la lettura della nostra epoca. Lo testimonia eloquentemente questa ampia raccolta di saggi, che, scritti nell'arco di un cinquantennio – da Il concetto del politico (1927) a La rivoluzione legale mondiale (1978) –, compongono una vera e propria summa della sua speculazione sulla politica e il diritto internazionale.
La nostra epoca ha profondamente bisogno di una rinnovata filosofia dei valori. Non di una retorica sui valori, che associa la nozione di valore a quelle di tradizione, passato, memoria, religione o ideologia. C'è bisogno di pensiero vivo che faccia luce su un dato essenziale della nostra esperienza: i valori, come li incontriamo, attraverso la gamma della nostra vita emotiva e affettiva nei beni e nei mali di cui son fatte le nostre giornate, con le nostre decisioni, i comportamenti privati e pubblici. La filosofia, nata con Socrate per tradurre questa esperienza viva in conosenza vera, ha dato le dimissioni da questo suo compito. Eppure la sua anima migliore si era trasferita nel corpo di documenti e istituzioni che hanno cambiato la storia del mondo: dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo fino al sogno ragionevole di un'Europa unita in pace, libertà e giustizia. Ma dove lo spirito le abbandona, le istituzioni umane vanno in rovina. Questo libro interroga tutti noi, educatori e ricercatori, sulle cause di questo male dilagante. E conduce i llettore sulle tracce di una nuova cognizione del valore.
I contributi di questa raccolta nascono dalla necessità e dal desiderio di cogliere i varchi e i rimedi offerti dal pensiero estetico, politico, spirituale di Simone Weil di fronte ai mali che stanno alla base della nostra convivenza.
Attraverso le letture della città che le autrici e gli autori danni, sotto diverse angolazioni, pur ispirandosi tutti in misura minore o maggiore all'opera di Simone Weil, si mette in rilievo il processo di lenta fermentazione delle sue nozioni di bellezza, di giustizia, di bene nei diversi ambiti del pensare e del vivere.
La sfida che essi lanciano riguarda una questione ineludibile: è possibile recepire i modi creativi di abitare la vita e di abitare la storia, porre al centro dell'attenzione le relazioni umane, dare spazio alle interazioni costruttive presenti all'interno delle comunità?
In altre parole, è possibile scardinare il sistema di pensiero, gli assetti mentali, le posture aderenti alla logica del potere e del prestigio sociale, così da ripensare ex novo la città, «un ambiente umano del quale non si ha maggior coscienza che dell'aria che si respira»?
La disuguaglianza economica è una delle questioni più dibattute del nostro tempo. Ma pochi sarebbero pronti a sostenere che la disuguaglianza è un male peggiore della povertà. I poveri soffrono perché non hanno abbastanza, non perché altri hanno di più, né perché qualcuno ha decisamente troppo. Allora per quale ragione tanti si preoccupano più dei ricchi che dei poveri? In questo saggio provocatorio, Harry G. Frankfurt, uno dei più influenti filosofi contemporanei, contrappone argomenti stringenti a chiunque sostenga che la giustizia sociale consiste nel raggiungere l'uguaglianza economica o nel ridurre la disuguaglianza: il nostro dovere morale è quello di eliminare la povertà, mentre stabilire l'uguaglianza economica non è di per sé un obiettivo moralmente rilevante. Anzi, può distrarre dal compito davvero importante, che è quello di assicurare a ciascuno la quantità di risorse necessarie per vivere una vita soddisfacente. In questo quadro l'eliminazione delle disuguaglianze non è più un obiettivo primario, ma semmai un effetto collaterale degli sforzi per eliminare la povertà. Presentandosi come una sfida a opinioni consolidate tanto a destra come a sinistra, "Sulla disuguaglianza" promette di avere un profondo impatto sul dibattito politico attuale. Come scrive il professor Gideon A. Rosen della Princeton University, è un libro piacevole da leggere, persuasivo nell'argomentazione, "uno di quei saggi filosofici che dovrebbero avere maggiore diffusione".
Qual è l'essenza dell'umanesimo di cui si parla con rinnovato interesse? Una piena considerazione della persona umana nelle sue possibilità di autorealizzazione che ha avuto singolare espressione alle origini dell'età moderna, in quel prodigioso fermento culturale noto con il nome di Rinascimento. L'autore, da storico, fa luce su quel movimento di fioritura che affonda nell'Italia del Quattrocento propagandosi per tutta l'Europa nel secolo successivo, e ne riprende alcune delle figure più decisive (Ficino, Pico della Mirandola, Leon Battista Alberti...) e delle idee grandiose, perlopiù appartenenti alla tradizione classico-cristiana, che queste hanno veicolato: dignità dell'uomo e divinità dell'anima, eccellenza e armonia... Ad emergere attraverso l'analisi storica di quel felice contesto è una concezione dell'umano, tramandata nei secoli e ancora attuale: un paradigma antropologico che nel clima di pessimismo diffuso in un certo Medioevo ha saputo rovesciare la storia, valorizzando il soggetto nella sua libertà di elevarsi e realizzarsi.
Esiste il libero arbitrio? Secondo molti scienziati e filosofi, le nostre decisioni sono determinate nel cervello prima di affiorare alla coscienza, e per questo sfuggono al nostro controllo. Analogamente, secondo parecchi psicologi sociali, le situazioni in cui ci troviamo predeterminano in modo meccanico le nostre scelte. Ma la scienza ha davvero confutato il libero arbitrio? Secondo Alfred R. Mele - noto filosofo americano con grandi competenze di psicologia e neuroscienze -, in realtà, le prove scientifiche non sono affatto così univoche. In questo breve libro, che si rivolge soprattutto ai non specialisti, Mele spiega perché non c'è ragione di pensare che il libero arbitrio sia soltanto un'illusione.
Il delirio di gelosia mette a nudo un soggetto ferito, che ha perso il controllo di sé e del mondo che lo circonda. A tale fenomeno patologico è dedicato questo scritto di Jaspers, pubblicato qui per la prima volta in italiano. Concentrando la propria attenzione sulla vita dei pazienti, attraverso analisi lunghe e minuziose, Jaspers ci consente di entrare nella vita di soggetti deliranti, uomini e donne presi in scacco dalla propria ossessione. La domanda che attraversa il saggio riguarda la possibilità o meno di "comprendere" questi mondi, queste vite, questi deliri. Cercando di distinguere tra la gelosia generata nello sviluppo della personalità e quella connessa a un mutamento fisiologico del cervello, obiettivo di Jaspers è capire fin dove, quando è vittima di spettri spaventosi che ne offuscano la ragione, l'uomo agisce ancora come soggetto libero e dove diventa mera espressione di un corpo malato.
"Sviluppo sostenibile": è una formula in cui il sostantivo e l'aggettivo sono in lotta tra loro. Lo sviluppo infatti è inteso come figlio di una crescita illimitata, la quale però diventa sostenibile solo se viene limitata per rispettare i vincoli posti dalla natura. La contraddizione tra economia ed ecologia resta irrisolta. Per sciogliere il nodo non bastano rimedi tecnici, occorre che siano ripensati il modello di economia e la forma della convivenza sociale. In tale ottica questo libro propone un'idea integrale di sostenibilità e la correla con quella di democrazia.
Si delinea così il progetto di una società sostenibile, che è tale quando il suo ordinamento non offende la natura e non stravolge gli esseri umani. Per giungere a questa meta è imprescindibile l'impegno a costruire un'economia differente, concepita non più secondo il paradigma della produzione e del consumo in vista dell'accumulazione di capitale, bensì secondo il paradigma della cura del bene comune. Un'economia è davvero sostenibile quando sostiene equamente l'umanità intera e tutela gli equilibri naturali. La sostenibilità integrale riunisce il versante ambientale e quello antropologico, il quale si attua allestendo condizioni di vita che non disumanizzano persone e comunità.
Il percorso del testo si apre evidenziando come l'economia vigente risulti insostenibile non solo sul piano ecologico, ma già agli occhi del giudizio etico. Ciò chiarisce quanto sia miope ostinarsi a riformare il sistema per farlo "ripartire", mantenendone intatti i presupposti. Invece esso va superato portando alla luce un'economia che sia espressione fedele della democrazia. Qui non si tratta solo della forma di governo, ma della forma di società. Una società è realmente democratica se la dignità delle persone e il bene comune vengono rispettati. Solo una simile forma di convivenza potrà integrare sostenibilità ambientale e sostenibilità antropologica. La vera alternativa alla tendenza oggi prevalente - la mercatizzazione che soffoca tutto sotto il predominio del denaro - è la democratizzazione. Essa costituisce quel processo di trasformazione storica che assume la dignità umana, il bene comune e l'armonia con la natura come principi capaci di ispirare logiche organizzative e regole specifiche per un'economia che non faccia vittime.
Roberto Mancini è ordinario di Filosofia teoretica all'Università di Macerata. Inoltre insegna Economia Umana e Sviluppo sostenibile nell'Accademia di Architettura dell'Università della Svizzera Italiana a Mendrisio. È autore di numerosi volumi ed è editorialista della rivista Altreconomia.