
Alle soglie del nuovo millennio, la meditazione di Nietzsche sull'uomo appare sempre più quella di un veggente, capace di diagnosticare per primo la solitudine dell'individuo di fronte al crollo della metafisica e della morale. "Al di là del bene e del male" è il testo in cui la filosofia del nichilismo si addentra nella maniera più inquietante nel groviglio di contraddizioni in cui "la morte di Dio" ha precipitato l'esistenza. Il risultato è un grande "romanzo" sui due mali del mondo contemporaneo: l'alienazione e la nevrosi.
Tre motivi per leggerlo: perché è una lettera illuminante scritta da un filosofo più di tre secoli fa e ancora oggi essenziale. Perché è un manifesto contro la malinconia e l'eccesso di serietà. Perché è un inno alla leggerezza che è l'anticamera della libertà.
Quattro compagni di treno occasionali parlano di stregoneria e scienza, della verità, della differenza tra credere, sapere ed essere certi di qualcosa, dei valori morali e del loro ruolo nelle nostre decisioni, e di molte altre cose. Soprattutto - è questo il filo dell'intero dialogo - parlano del relativismo, di cui uno di loro, Zac, è un convinto difensore. Secondo Zac, in caso di dissenso ("io ho ragione, tu sbagli") è sempre questione di punti di vista: ciascuno dei contendenti può aver ragione dal proprio punto di vista. Se il relativismo uscirà malconcio dalla discussione, persino nei casi in cui sembrerebbe a prima vista del tutto plausibile, quella che emerge con forza è l'utilità della filosofia nella vita delle persone.
Nella situazione filosofica contemporanea si danno le condizioni per una nuova attenzione alla "tradizione", contro la quale si è svolta una linea ben determinata del pensiero moderno. Recuperato il concetto di "tradizione", il pensiero tradizionale sviluppa, confrontandosi con la modernità, una visione dell'uomo - nel suo rapporto essenziale con la Trascendenza, in un orizzonte di mistero, e nella sua situazione di peccato - alternativa a quella del pensiero moderno, che tende a definirlo unicamente per il suo rapporto con il mondo, ora esaltandone le capacità di dominio ora riassorbendolo in esso (il pensiero forte e il pensiero debole). Il testo affronta gli aspetti fondamentali del pensiero tradizionale (il nesso verità-libertà, il problema sociopolitico e il rapporto fra persona, corpo e natura) svolti sulla base della sua definizione dell'uomo.
Pubblicato in forma anonima nel 1764, "Dei delitti e delle pene" di Cesare Beccaria rappresenta una tappa essenziale nell'evoluzione del diritto sostanziale e processuale penale, tanto da far considerare il suo autore uno dei fondatori della scienza della legislazione. Seguita in questa edizione dal famoso Commento di Voltaire, l'opera viene presentata da Roberto Rampioni, noto avvocato penalista italiano. Il merito di Beccaria consiste nell'aver condensato in modo organico e completo in questo piccolo rivoluzionario opuscolo tutte le critiche maturate nell'alveo del pensiero illuminista contro gli eccessi e gli orrori del pensiero inquisitorio del tempo, in particolare la tortura e la pena di morte. Le cronache giudiziarie dei nostri giorni ci rendono consapevoli della straordinaria attualità dell'insegnamento autenticamente "liberale" di Beccaria.
Questo volume ha uno scopo ben preciso, ch'è quello d'introdurre alla comprensione diretta della «dialettica» marxistica com'essa si trova nelle sue fonti che sono Hegel, Feuerbach e Marx per attingere il significato originario e cogliere i momenti cruciali della sua problematica; ecco perché l'A. ha scelto testi fortemente teoretici ma meno conosciuti, soprattutto del primo Marx. L'antologia di testi scelti e tradotti da Fabro è preceduta da una profonda introduzione di oltre cento pagine dove l'A. mostra la convinzione – e dà volentieri atto a Feuerbach e a Marx –, che l'esito nel senso di conclusione essenziale o essenzializzazione del principio moderno della coscienza è, e non può essere, che l'ateismo.
Una teoria generale del Significato nella scienza, nell'arte, nel mito, nella religione. Michael Polanyi è l'audace teorico della conoscenza scientifica come "conoscenza personale". In Significato (Meaning), l'ultima sua opera pubblicata nel 1975, realizzata con l'aiuto di Harry Prosch, allarga il suo precedente disegno teorico traducendolo in una teoria generale del significato. Non solo i territori della scienza, ma anche quelli dell'arte, del mito, della religione, l'intero universo degli esseri viventi, sono visti come inesauribili riserve di senso entro le quali l'uomo, attraverso la forza dell'immaginazione, realizza la sua vocazione più autentica, quella di essere creatore e portatore di significati. L'ampia e dettagliata Introduzione di Carlo Vinti ne illustra analiticamente i temi più rilevanti.
Kant scrisse i Prolegomeni (1783) con l'intento di chiarire le tematiche della prima edizione della Critica della ragion pura (1781) che erano risultate ostiche, quando non del tutto incomprensibili, a molti lettori. Si tratta dunque di un'esposizione "popolare", ma non certo di un'opera meramente divulgativa ed ancor meno di un semplice riassunto della Crìtica: i Prolegomeni sono un'opera autonoma - caratterizzata da una metodologia specifica e animata da un vivace spirito battagliero - e come tali vanno letti. Questa nuova traduzione si propone di conciliare una rigorosa adesione al testo originale con la massima leggibilità possibile ed è arricchita da un ampio apparato critico, che può essere utilizzato a diversi livelli, dal semplice chiarimento terminologico e concettuale agli approfondimenti, intesi a chiarire i rapporti dei Prolegomeni con le due edizioni della Critica della ragion pura, con i critici contemporanei di Kant e con alcuni sviluppi del suo pensiero.
Che cosa intendiamo con religione, se l'esperienza ci mette di fronte a tante religioni che sono così diverse? La religione è qualcosa su cui si può discutere razionalmente? La credenza in Dio è vera o falsa? Se esiste Dio perché allora esiste il male? La religione offre veramente una risposta alla domanda di senso dell'uomo? Esiste una religione vera? A tali domande cerca di rispondere questo libro, a partire dalla prospettiva della filosofia della religione e confrontando la tradizione di pensiero europea e quella anglo-americana. Ciò non significa aderire a un punto di vista confessionale (che è proprio del teologo), ma semplicemente prendere sul serio il tema della religione e offrire un'informazione di base assieme a una precisa chiave teorica per la loro interpretazione. Un libro che si rivolge principalmente agli studenti, ma che può essere utile anche ai docenti e a tutti coloro che hanno un interesse intellettuale per la religione.
Cosa significa agire eticamente? L'azione implica sempre una relazione tra un io e un tu, tra un noi e gli altri? L'autore ci conduce nei paradossi che le tradizioni filosofiche, continentali e analitiche, hanno prodotto nell'affrontare questi interrogativi e prova a declinarli in un nuovo paradigma: una filosofia della relazione, dove relazione non è la finalità ma appare la stessa condizione di possibilità della vita etica. In questa prospettiva si riformulano alcuni dei nodi più aporetici della morale: la divisione tra essere e dover essere (nell'essere stesso è in gioco il dover essere, il rispetto dell'altro); il concetto di "io" (lungi dal contrapporsi a ciò che gli è altro ne è costituito, nella relazione) etc. Di qui la peculiarità di alcune categorie indagate dalla filosofia - iniziare, invecchiare, tempo, azione: sono performative, determinano l'agire. Queste pagine introducono a una nuova filosofia morale ma sono anche, in se stesse, esercizio di pensiero come "coinvolgimento".
Non esiste ancora un'ipotesi capace di comprendere in modo unificato l'elementare "copia" di un gesto o di un suono e la potente tendenza mimetica manifesta in tutte le forme della vita sociale. Gianfranco Mormino propone un modello volto a spiegare sia gli aspetti più semplici sia quelli più complessi dell'imitazione, istituendo un legame tra le dinamiche fisiologiche, oggetto della ricerca sperimentale, e quelle culturali. La tesi fondamentale è che il vivente imiti innanzitutto se stesso e solo successivamente altri modelli. Se l'autoimitazione spiega il fissarsi di schemi comportamentali dettati dalle possibilità fisiologiche del soggetto, l'imitazione di modelli esterni, negli organismi dotati di cervelli più complessi, apre la strada a contaminazioni, spesso evolutivamente vantaggiose, con modalità d'azione differenti.
Una riflessione sull'esperienza del dolore in cerca dei luoghi comuni e topoi della tradizione greca e ebraico-cristiana dell'Occidente. Una ricerca sulle tensioni presenti nell'universo del dolore e sulle aporie del futuro. Un'occasione terapeutica di individuazione della giusta distanza per tener testa al proprio patire individuale.