
La metafisica si distingue dalle scienze particolari anche per il legame speciale che mantiene nei confronti della propria tradizione. Questa non riveste, infatti, semplicemente un interesse storico-documentario, ma svolge un ruolo di primaria importanza nell'affrontare e risolvere questioni speculative. Allo stesso tempo, tuttavia, la metafisica è caratterizzata da un impulso antitradizionale che si esprime in quella tendenza, tipica di ogni filosofia prima, a "ricominciare da capo". A fronte di questa intima tensione, sorge la domanda che guida questo testo: qual è l'autentico significato metafisico della tradizione? Muovendo dall'analisi del ruolo che la tradizione assume nell'ambito del movimento neotomistico, il presente lavoro articola una risposta di carattere generale: la tradizione che determina la metafisica è la divina Tradizione. Essa assume, in particolare, un carattere che può essere definito come "profetico". In questo modo la metafisica si manifesta, da un lato come una disciplina che rinvia ad una fonte di sapere che la trascende e dall'altro come la depositaria, non tanto di una dottrina, ma di un principio che esige di essere continuamente riappropriato.
«E veramente nelle città di Italia tutto quello che può essere corrotto e che può corrompere altri si raccozza: i giovani sono oziosi, i vecchi lascivi, e ogni sesso e ogni età è piena di brutti costumi; a che le leggi buone, per essere da le cattive usanze guaste, non rimediano. Di qui nasce quella avarizia che si vede ne’ cittadini, e quello appetito, non di vera gloria, ma di vituperosi onori, dal quale dependono gli odi, le nimicizie, i dispareri, le sette; dalle quali nasce morti, esili, afflizioni de’ buoni, esaltazioni de’ tristi.»
Niccolò Machiavelli, Il Principe
Non sappiamo cosa fare alle prossime elezioni?
Non c’è nessun candidato che ci convince del tutto o almeno in buona misura?
Perché devo andare a votare?
Chiediamo un consiglio all’autorevole Machiavelli. Ascoltiamo questo consigliere d’eccezione che offre la sua saggezza senza chiedere nulla in cambio.
Andiamo a votare o no? E se andiamo a votare, come scegliamo i rappresentanti che avranno il potere di fare le leggi e di governarci? Per aiutarci a rispondere a queste domande possiamo avvalerci di un insolito esperto, Niccolò Machiavelli, che cinquecento anni fa esatti ha scritto Il Principe, e conosceva e capiva la politica come pochi altri. È vero che alcuni suoi contemporanei, come il grande Francesco Guicciardini, ritenevano che talune sue idee fossero troppo audaci per i tempi e le circostanze. Ma nessuno ha mai dubitato del suo ingegno per le questioni di stato.
Era poi d’impeccabile onestà, virtù essenziale per un buon consigliere. Ne dà prova la sua povertà. Dopo aver servito il governo popolare di Firenze guidato da Pier Soderini per quattordici anni, e aver maneggiato enormi somme di denaro, si ritrovò, quando perse il suo incarico, più povero di prima. Aveva la virtù di esprimere schiettamente i propri giudizi politici. Sappiamo poi per certo che amava la patria con tutto se stesso, e che per tutta la vita dedicò le sue migliori energie a difendere la libertà della sua Firenze e dell’Italia. Se sappiamo rivolgergli le domande giuste, e riflettere bene sulle sue parole, possiamo evitare errori che poi rimpiangeremo amaramente, come tante altre volte è avvenuto in passato, tipo votare per uomini potenti e ricchi; votare per chi fa favori; votare per chi cambia facilmente partito; votare per chi è da tanti anni al potere; votare per chi fa grandi promesse.
Che cos'è l'uomo? Che rapporto c'è tra uomo e mondo? Come si giustifica la pretesa di universalità della nostra conoscenza? Interpretare il mondo o cambiarlo? A queste domande - e a innumerevoli altre - da due millenni la filosofia cerca di dare una risposta. Questo volume ripercorre l'affascinante cammino di questa ricerca, snodandosi lungo la storia del pensiero filosofico, dalle sue origini nell'antica Grecia fino ai mutamenti della nostra epoca. Scritto con un linguaggio chiaro e semplice, rende accessibili anche le più intricate complessità dei sistemi di pensiero, e ci fa scoprire tutti i filosofi e tutte le informazioni fondamentali sui concetti chiave, le correnti, le scuole e i movimenti filosofici.
"L'immagine infranta" descrive la parabola del moderno attraverso una fitta trama di rapporti tra romanzieri e poeti (da Cervantes a Celan), filosofi (da Vico a Benjamin), pittori e scultori (da Manet a Fontana, a Pollock). Il filo conduttore è la crisi del linguaggio figurale: il mondo non offre più un'immagine stabile di sé, né il "pensiero" sembra capace di creare nuove immagini per dare ordine al mondo. La profondità di questa crisi, che ha raggiunto la stessa origine dell'esistenza umana, quell'"iconologia della mente" che ha segnato il passaggio da natura a storia, è testimoniata dalle decisioni estreme di due tra gli artisti più significativi del nostro tempo, Pollock e Celan, che non esitarono a "ripetere", per stanchezza, e disperazione, il gesto dell'Empedocle holderliniano - già compiuto, in altra forma, da Nietzsche. Tramonto o nuova alba? "L'immagine infranta" termina con questa domanda, che è anche una speranza: e se la crisi del linguaggio immaginale fosse il prezzo necessario per aprirsi alla possibilità di un linguaggio più umile, ma insieme più largo e profondo? Il linguaggio del corpo e della natura, il linguaggio che non "immagina", che non "fa-segno", ma è la cosa stessa: l'"essere-accanto" di uomini e cose, tra "pietre ed erbe".
Muovendo dall'analisi del rapporto tra storia ideale eterna e lingua eroica, che nella "Scienza Nuova" rinnova la tensione del "De antiquissima" tra infinito e finito, Vitiello mostra come Vico seppe vedere, dietro la storia spirituale dell'umanità, una più antica storia, naturale e sacra insieme, valendosi, nel narrarla, di tutte le risorse della sua straordinaria lingua barocca: la storia della nascita della "iconologia della mente" dal grido animale e dal terrore destato dal fulmine di Giove che apre il Ciclo e fa tremare la Terra. Legata profondamente alla tradizione platonica e neoplatonica, la genealogia vichiana della mente non solo anticipa molti temi della filosofia successiva, da Kant a Hegel, a Nicetzsche in particolare, e a Husserl e Heidegger, sino a certo naturalismo e biologismo contemporaneo, ma ne e, per molti versi, anche una critica "avant la lettre".
Le teorie sociali, filosofiche e scientifiche rappresentano, soltanto, i modi attraverso cui il pensiero umano ha cercato di comprendere e trasformare l'esistente, non sono certo espressione di una "natura intrinseca della cose". Credere, invece, in una verità oggettiva ha pericolose conseguenze su concetti quali la libertà, la responsabilità, e, in campo pratico, su attività quali quelle esplicate dalle scienze mediche.
Il volume raccoglie tre ampi saggi di Eric Voegelin pubblicati in diverse fasi della sua ricerca filosofica e della sua carriera accademica americana e inediti nella nostra lingua. I titoli sono: Il liberalismo e la sua storia, Genesi intellettuale de Il principe di Machiavelli e Note su tempo e memoria in sant'Agostino, tre temi apparentemente assai distanti ma ai quali è sottesa la medesima prospettiva critica della modernità del grande filosofo della storia e della politica tedesco-americano. Prefazione di Daniele Fazio.
Dopo il primo volume, dedicato a Israele e a come prese forma in simboli la sua esperienza sullo sfondo degli imperi cosmologici del vicino Oriente Antico, il secondo volume di Ordine e storia, un grande classico della filosofia politica, si rivolge all'area greca. Anche qui si attuò una rottura con la prospettiva cosmologica, grazie a un "salto nell'essere" in cui il mito fu oltrepassato nell'ordine trascendente-divino. Si trattò di un passaggio graduale, scandito dalla transizione dal mito alla filosofia. Esso prese avvio nell'epica omerica, con la creazione del mito olimpico e il risveglio della coscienza di un comune ordine egeo che poggiava su un passato minoico-miceneo. Proseguì con la Teogonia esiodea, in cui il materiale mitico, soprattutto omerico, venne riplasmato secondo un'intenzione speculativa. Approdò infine mediante l'anello intermedio dei "filosofi mistici" Senofane, Parmenide ed Eraclito - alla metafisica di Platone e Aristotele. Il termine di questa transizione trova espressione nella formula "Dio misura invisibile dell'uomo". Questo lungo percorso viene scandito da Voegelin in due volumi: il primo dei quali (quello presente) inizia dal remoto passato minoico e termina con i rivolgimenti dell'età della Sofistica.
In concomitanza con le numerose crisi degli ultimi anni, gli appelli alla "solidarietà" nella sfera pubblica si sono moltiplicati e il valore dell'aiuto reciproco e della condivisione di risorse e rischi è stato ampiamente riscoperto e riattualizzato, anche con relativo successo. Eppure, l'idea di solidarietà risulta ancora ostaggio di una cattiva retorica che rende il suo richiamo innocuo e generico. Sorta nel lessico giuridico latino, sostituto moderno degli antichi legami di fraternità ed erede della Rivoluzione francese e di quella industriale, essa è sin dall'inizio concepita come risposta concreta - fondata essenzialmente sul riconoscimento di un'interdipendenza - a contraddizioni e palesi ingiustizie, così come ai problemi di integrazione sociale. Il libro ripercorre le principali tappe storico-filosofiche di un concetto in parte sottostimato e dimenticato dalla più ampia riflessione sulla giustizia, contribuendo a riscoprirne i caratteri più distintivi (primi fra tutti: reciprocità e orizzontalità) e la sua importanza decisiva sul piano politico e morale. Il testo si misura anche con le sfide e i problemi che riguardano la solidarietà europea e le prospettive di mutuo supporto su scala globale.
La proverbiale difficoltà del linguaggio di Heidegger e la vertiginosa altezza delle questioni da lui affrontate rendono particolarmente ardua la comprensione del suo pensiero, tanto più che esso si inerpica per sentieri non praticati dal senso comune. L'unico vero modo per superare questo ostacolo è quello di affrontare la lettura diretta delle sue opere, seguendolo passo per passo nel suo cammino di pensiero. Mai come per Heidegger appare indispensabile una guida adeguata che aiuti a penetrare nei recessi talvolta oscuri del suo meditare.