
Partendo dal tema dell’io e della soggettività, nell’incrocio tra domanda di felicità e offerte del mercato globale, il libro di Adriano Pessina affronta il tema dell’insoddisfazione come emerge nella società dell’efficienza e del benessere. In questa prospettiva, vengono discussi sia i temi legati all’uso quotidiano delle tecnologie informatiche, sia alcune delle più recenti proposte di miglioramento, di sé e delle future generazioni, ottenibili grazie a interventi di stampo medico o farmaceutico. L’io, consumatore di immagini, perennemente collegato con una solitudine affollata in cerca di relazioni, partecipa di una continua trasformazione delle sue esperienze. La rete gli permette di condividere emozioni e parole senza la mediazione del corpo, del luogo e del tempo; medicina, biologia, farmacologia gli prospettano l’avvento di quella grande salute che non è solo liberazione dalla malattia e dalla sofferenza, ma dal fardello di una finitezza che non è mai all’altezza del desiderio. Di che cosa, o di chi, l’io è dunque insoddisfatto? Il dislivello permanente tra desiderio umano e mondo dei possibili, offerto dalla tecnologia e dal suo mercato, traccia un nuovo volto della perfezione: un ideale che sembra a portata di mano e che è sorretto da teorie che prospettano il futuro di una nuova umanità. Uscendo dall’alternativa tra bioconservatori e post-umanisti, si apre allora di nuovo la domanda sullo specchio nel quale l’io potrà ritrovare il suo autentico volto. Tra Prometeo e Dio, la questione dell’io non trova facili risposte e richiede la pratica di un tempo per pensare.
In questo scritto, la "questione della tecnica", che potremmo definire il grande argomento che dalla seconda metà del Novecento ha agitato il pensiero filosofico, è posta come interrogazione del senso - significato e direzione - delle trasformazioni che le nuove tecnologie informatiche imprimono ad alcune nostre personali, individuali, esperienze umane. Viviamo in un'epoca di addomesticamento tecnologico. Le macchine ci sono diventate familiari, ci seguono ovunque, le portiamo con noi, ne dipendiamo sempre di più per il nostro lavoro, i nostri svaghi e i nostri affetti. Al di là di utopie e distopie, questo saggio assume, perciò, come prospettiva, quella del fruitore dei nuovi artefatti tecnologici e tenta di indagarne alcune esperienze. La categoria dell'essere altrove definisce uno degli aspetti più rilevanti e, forse, meno indagati della nostra esperienza segnata dai rapporti con e attraverso le macchine. L'ambiente digitale rende presente ciò che è assente, permette di trascendere tempi e luoghi, trasforma le dimensioni del potere e delle relazioni, ci fornisce un'esperienza disincarnata sempre più esposta alle dimensioni simulative ed emulative dell'intelligenza artificiale.
«Pensare è come riflettere in se stessi, attraverso il cammino delle domande e delle risposte, la voce di un altro. La riflessione ha origine nella parola rivolta ad altri e che altri rivolge a noi». Questo libro, incrociando alcuni percorsi filosofici del '900, ci presenta l'esperienza del pensiero come riappropriazione del discorso interiore e domanda sul senso dell'umano. Imparare a pensare costituisce così un esercizio del bene che supera il «primato della conoscenza».
Emmanuel Lévinas è un ebreo lituano che diventa allievo di Martin Heidegger nella Germania dell'ascesa hitleriana, si trasferisce in Francia e porta con sé il lessico drammatico dell'esistenzialismo tedesco. Si riavvicina gradualmente alle sue radici, ripercorre la ricchissima tradizione della teologia ebraica fino ad arrischiare una toccante, radicale, personalissima rivisitazione della tradizione ebreo-orientale dei lettori e commentatori della Torah. Si trova a lavorare al confine tra due mondi e tra due linguaggi. Tra due sapienze, come le definisce Silvano Petrosino. Da un lato c'è l'invenzione greca della filosofia, della scienza dell'essere, del sapere come ricerca della verità, della tecnica e dell'economia come estrema realizzazione di quella ricerca e di quella vocazione antica. Dall'altro c'è l'invenzione ebraica del monoteismo, la fede inaudita di un popolo in un Dio che promette, che giudica, che consegna all'uomo una parola decisiva ed enigmatica. L'Europa di oggi, con le sue contraddizioni e le sue ricchezze, con le sue aperture irrinunciabili e le sue chiusure catastrofiche, è la terra dilaniata in cui greci ed ebrei continuano questo loro millenario e sorprendente dialogo. Con un'ipotesi interpretativa che coglie il filo rosso dell'intera opera di Lévinas, Silvano Petrosino, uno dei massimi specialisti del suo pensiero a livello internazionale, ci accompagna con appassionata chiarezza nel laboratorio vertiginoso di questo grande classico contemporaneo.
Costruito attorno al rapporto che per più di trent'anni ha visto coinvolti, tra obiezioni e critiche talvolta severe ma soprattutto attraverso una sorprendente solidarietà, Derrida e Lévinas, il presente lavoro si concentra sul soggetto umano della cui esperienza si propone di evidenziare i tratti essenziali. Evitando da una parte il tono apocalittico di molto anti-umanesimo contemporaneo che spesso si è compiaciuto di celebrare l'era delle fini (morte di Dio, fine della verità, della storia, del soggetto ecc.), ma d'altra parte prendendo anche le distanze da quella facile retorica umanistica che spesso si è accontentata di ripetere le parole d'ordine dell'Anima, dello Spirito, della Persona, il testo di Petrosino arriva a delineare un'originale antropologia filosofica all'interno della quale la scena umana emerge come quella di un dramma irriducibile tra la pulsione a distruggere e la chiamata ad accogliere.
È possibile addentrarsi nei fatti della cronaca quotidiana, quelli che ogni giorno rimbalzano sulle nostre teste e sui nostri occhi dalla carta stampata, da tv e computer, senza farci schiacciare dal peso a volte ingombrante delle notizie per filtrarne la logica e il senso? È quanto ha voluto fare Silvano Petrosino nei testi riuniti in questo volume. Che si tratti della crisi economica o dei premi agli studenti meritevoli, del legame tra marketing e politica o del senso della vera povertà, l'autore offre sempre uno sguardo che penetra in profondità e rompe il conformismo dilagante dei luoghi comuni che spesso plasmano la nostra mentalità e quindi anche la nostra vita. Scriveva Blanchot: "'Non accade nulla', questo è il quotidiano. Ma qual è il senso di questo movimento immobile? A quale livello si colloca questo 'non accadere nulla'? Per chi 'non accade nulla', visto che per me necessariamente accade sempre qualcosa? Domande fondamentali! Bisogna fare di tutto per non dimenticarle!". Questo libro ci aiuta appunto a non dimenticarle.
"Ciò che bisogna opporre alla deriva distruttiva del business non è la 'gratuità', e neppure un''etica degli affari' o un''economia del dono', ma l''economia', semplicemente l'economia, anche se deve essere un'economia all'altezza del suo stesso nome. Quest'ultima, per essere tale, è come obbligata a rispondere a un doppio imperativo: essa deve misurare e calcolare (non può mai procede a caso: necessita di una ratio), ma al tempo stesso deve anche riconoscere che il suo calcolo (la sua ratio) è destinato per delle ragioni essenziali a misurarsi con l'incalcolabile. Uno stimolante saggio filosofico che, partendo da un'analisi approfondita delle radici antropologiche dell'abitare umano, arriva a denunciare la perversione di molta 'finanza creativa' e l'ingenuità delle diverse 'etiche degli affari'."
Uno dei maggiori filosofi italiani riflette sul desiderio, tema molto in voga nella recente saggistica italiana. Questo fondamentale tratto antropologico viene letto paradossalmente nella sua valenza positiva, come segno di una mancanza radicale dell'essere umano. È lo spazio dove si manifesta l'alterità a cui è costitutivamente aperto l'uomo, la cui identità dipende dall'altro da sé (come nel bisogno del cibo, ma anche e soprattutto nella relazione). Questa mancanza non può mai essere saturata, come vorrebbe l'inganno della società dei consumi, che infatti si ingegna a contornare le merci di un'aura di desiderabilità estetica sempre nuova. Questa mancanza è piuttosto la radice di un'identità sempre aperta e in movimento, dove l'altro non rappresenta una minaccia, ma la sorprendente possibilità della libertà di realizzare se stessa attraverso l'esperienza. Il saggio termina con un'efficace è inusuale riflessione sul rapporto tra desiderio umano e Dio. Dio non è il compimento del desiderio, a modo di un tappabuchi: sarebbe come una proiezione dell'uomo. Dio è invece la fonte del desiderio, che dilata lo spirito umano nell'incessante è felice rapporto con l'oltre della realtà.
Il giudizio sulla figura dell'idolo e sulla pratica dell'idolatria è unanime e costante: si tratta, sempre e per tutti, di qualcosa di negativo, di pericoloso, di una realtà con la quale è bene non avere nulla a che fare. La parola d'ordine è dunque sempre la stessa: gli idoli devono essere distrutti. Eppure gli uomini, della nostra come di ogni altra epoca, siano essi credenti o non credenti, ricchi o poveri, colti o ignoranti, non smettono un istante di fabbricarli e adorarli. Come spiegare l'universalità di tale legge? Perché "il bisogno di comunione nell'adorazione è il più grande tormento di ogni uomo singolo, come dell'intera umanità, fin dal principio dei secoli" (F. Dostoevskij)? Perché "vi sono nel mondo più idoli che realtà" (F. Nietzsche)? Il volume cerca di rispondere a queste domande elaborando una teoria che pone la figura dell'idolo e la pratica dell'idolatria non in relazione con una determinata scelta del soggetto, ma più essenzialmente con il suo stesso modo d'essere. Nell'ultima parte dello studio si propone un'originale interpretazione della società dei consumi la cui natura più profonda viene individuata nell'essere ultimamente "una comoda idolatria per le masse a basso costo". Una stimolante opera filosofica alimentata dal costante e fecondo dialogo con la psicoanalisi, l'esegesi biblica e la letteratura.