
Un filosofo che fu vescovo anche se non credeva alla risurrezione ed era sposato; un papa professore di teologia che non riuscì a riformare la Chiesa; una donna che diventò diacono di Costantinopoli; un dottore della Chiesa «saraceno di testa»; un monaco che spiegò come l’irascibilità sia un dono; un affarista senza scrupoli cui dobbiamo la riscoperta patristica; un mistico che non riusciva ad aver paura dell’inferno; una donna che con una sola frase cancellò una dottrina secolare: sono solo alcuni degli esempi delle storie della Chiesa che possono avere ancora molto da dire.
Persone che hanno retto il peso e la bellezza dell’essere uomini e donne del proprio tempo, restando fedeli al Vangelo. Possiamo farcela anche noi, oggi.
La teologia ha bisogno di trovare alcune nuove «categorie generatrici», non come contenuti da aggiungere a un quadro carente, ma come punti di vista a partire dai quali ripensare l'intera forma cristiana. Per molto tempo la teologia ha utilizzato le categorie che reggevano un intero quadro di riferimento attingendo a quelle generate dalla filosofia per applicarle poi alla riflessione teologica. Ora è giunto il momento di allargare il campo ad altre scienze umane nate in tempi relativamente recenti, ad esempio i Cultural Studies, per guardare alla teologia da un punto di vista «culturale». Il volume abbozza una «messa in scena» della questione, cioè mette a fuoco alcune categorie teologiche ed extrateologiche che possono aiutare a riflettere e a praticare la vita credente. La scelta di tali categorie extrateologiche è dovuta alla convinzione che sia un'illusione ottica ragionare sulla vita di fede immaginando teologia e cultura come due campi separabili. Non si dà una teologia che non sia culturalmente connotata, né si scrive una sceneggiatura teologica fuori dalla tensione dello scenario culturale.