
Attraverso quali tappe e quali autori si è giunti a ritenere il cinema documentario una delle forme più sintomatiche della contemporaneità? Perché esso si pone come un dispositivo filmico fondamentale per l'interpretazione delle svolte geopolitiche, sociali ed economiche che caratterizzano il nostro presente storico? Il volume, colmando un vuoto editoriale, illustra teorie, linguaggi e percorsi del cinema documentario dalle origini sino ai nostri giorni. Grazie a una serie di saggi redatti da qualificati esperti del settore, si rivolge sia a studenti al loro primo incontro con orizzonti filmici affascinanti e spesso inesplorati, sia a giovani studiosi e appassionati cinefili. Grazie a un approccio globale e trasversale, viene proposto un viaggio internazionale tra autori, generi e paesi di una storia multiforme, rivendicandone la centralità per l'intera avventura del cinema.
Il volume è un'agile panoramica sul cinema di Gillo Pontecorvo, dagli esordi sino all'impegno degli ultimi anni sul fronte istituzionale e nel campo del documentarismo, dal quale il regista pisano era proprio partito nel lontano 1953 e al quale ritorna dopo aver realizzato soltanto cinque lungometraggi a soggetto. Attraverso lo studio dei documenti e un'attenta analisi delle opere si mette in luce l'attualità di un regista che si è immediatamente svincolato dal provincialismo nazionale per realizzare film di ampio respiro, di grande impegno sociale e di importante ruolo politico. Film profondamente necessari e portati avanti con ostinata caparbietà. Per Pontecorvo il cinema è una necessità e non un'industria vincolata ad uscite cadenzate e a produzioni di impatto commerciale. Autore, dunque, molto attuale per la sua presa sul mondo, per la sua prospettiva storica e internazionalista e per il suo impatto sulla lettura politica di determinati snodi della storia del Novecento (dalla Shoah ai movimenti terroristici ed eversivi).
Il cinema documentario è finito. Siamo entrati nell'era postdocumentaria. Se il campo del cinema a soggetto è riuscito bene o male a mantenere inalterato il proprio principio di fascinazione narrativa e di identificazione attore-spettatore tipica del suo dispositivo, il documentario è entrato in una fase di superamento totale delle proprie strutture, sino a trasformarsi in qualcosa di altro che come "documentario" non è più definibile. Un prodotto così profondamente soggetto ad interventi esterni, di azionisti pubblicitari, di attivisti, di semplici utenti, di contaminazioni transmediali vede totalmente compromesso il concetto di unità dell'opera d'arte, di integrità e di rispetto dell'autore, dal punto di vista creativo e legale. Il documentario è finito perché è scivolato in un maëlstrom di linguaggi impossibili da districare, sedotto dal linguaggio televisivo e dalla finta democrazia emanata dalla Rete, impoverito nel linguaggio e sempre al traino di una cronaca fittizia. Il resto è solo resistenza.

