
"Natura umana e condotta" rappresenta un testo fondamentale nel dibattito sui rapporti tra individuo e ambiente e sulla funzione trasformativa delle pratiche sociali. La premessa di Dewey è che la condotta umana non è determinata esclusivamente da tratti intrinseci e fissi ma è plasmata dalla continua interazione fra le tendenze innate e il contesto sociale. Gli individui non sono prodotti passivi del loro corredo genetico ma agenti attivi che interagiscono con l’ambiente circostante. Le applicazioni pedagogiche di tale teoria sono molteplici poiché è proprio nel momento educativo che Dewey riconosce il fulcro per la trasformazione sociale, intesa come cambiamento dei paradigmi di pensiero. Gli adulti hanno per Dewey il compito di predisporre un ambiente sufficientemente flessibile e plastico su cui la generazione successiva possa esercitare un’azione creativa, improntata alla ricostruzione continua del patrimonio ereditato e non alla sua passiva conservazione.
La scienza dell'educazione fa convergere il meglio delle scienze umane - psicologia, sociologia, antropologia prime fra tutte - sull'oggetto della pedagogia, quell'esperienza educativa che per Dewey rappresenta il fulcro di ogni teoria e di ogni pratica di formazione e di insegnamento. Per l'educazione saranno scientifici solo quei metodi messi alla prova dei fatti. Questo breve e illuminante testo, pubblicato nel 1929, mette in chiaro quanto ogni insegnante e ogni educatore sia sempre anche un ricercatore sul campo che, grazie alle sue conoscenze e alla sua osservazione, permette a ogni scienza di rimanere attiva, legata alla vita e alla sua materia, aprendo di continuo la spirale del conoscere a inesauribili ricostruzioni dell'esperienza e dei suoi significati per la società, per l'etica e per la politica.
Come educare i giovani a quell'habitus mentale che consente l'agire deliberato e non abitudinario? Come stimolare la creatività, l'immaginazione e la passione per la conoscenza? In questo testo classico John Dewey, il grande filosofo americano, descrive in modo puntuale il funzionamento di un certo modo di pensare - il "pensare riflessivo" - da lui ritenuto quella forma di pensiero "intelligente" che consente di liberarsi dall'abitudine e dall'agire inconsapevole, sviluppando la curiosità, l'immaginazione, l'indagine. Una lettura importante per chi crede nella formazione mentale come finalità primaria dell'educazione e pensa alla scuola come "laboratorio" del pensiero e palestra per stimolare l'osservazione, l'amore per la ricerca e l'indagine che sono propri dell'atteggiamento scientifico. Un pensiero che coltivi il dubbio e riduca il rischio di accettare inconsapevolmente idee stereotipate e dogmatiche.
Crisi economica e crisi della democrazia: processi dei quali non si intravede la fine, ulteriormente complicati dalla diffusione di internet e dei social, che rende sempre più urgente un ripensamento dei fondamenti della partecipazione democratica. Eppure già nel 1939, in un discorso tenuto per i suoi ottant’anni, Dewey aveva tratto spunto dagli strascichi del ’29 e dal successo dei totalitarismi nella vecchia Europa per avanzare una nuova idea: la democrazia “creativa”, che non si limita alla semplice partecipazione del cittadino, ma che si radica negli atteggiamenti e nelle esperienze quotidiane dell’individuo; una democrazia fatta di fiducia nell’uomo, nella sua capacità di confronto aritario con gli altri, dove la differenza – e la sua libera espressione – diventa occasione di arricchimento per tutti. Una proposta, quella del filosofo americano, che si rivela ancora attuale.
JOHN DEWEY (Burlington, 1859 – New York, 1952)
Pedagogista e filosofo statunitense, si è formato tra l’Università del Vermont e la Johns Hopkins di Baltimora. Ha quindi insegnato nelle università del Middle West, a Chicago e, dal 1904 al 1929, alla Columbia University di New York. Il suo pensiero in ambito sociale e politico ha avuto grande fortuna tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, al punto da renderlo il leader dei liberal americani. Le sue scoperte in ambito pedagogico e gli studi sul rapporto tra democrazia e processi educativi hanno esercitato un forte influsso in tutto il mondo.
Esattamente nell’anno in cui io sono nato venne pubblicata la prima e unica traduzione in italiano dell’opera di John Dewey The sources of a science of education, la cui edizione originale, in lingua inglese, risale al 1929. Il lettore che mi conoscesse di persona potrebbe sapere, o facilmente intuire, quanto “datata” possa apparire oggi quella traduzione.
Vuoi sperando, forse, in qualche magico effetto collaterale di rivitalizzazione su di me, vuoi per altre ragioni, più serie per la loro connotazione storico-culturale, ho ritenuto che valesse la pena dare alle stampe una nuova traduzione di questa operetta di Dewey il cui numero di pagine è inversamente proporzionale al valore e all’influenza che ha avuto per il mondo dell’educazione per decine e decine di anni. Ho utilizzato come fonte l’edizione della Southern Illinois University Press (The Later Works, 1925-1953, Volume 5: 1929-1930) confrontandola anche con il testo della prima edizione dell’opera, quella di Horace Liverghit del 1929.
Il saggio, del 1925, costituisce un'agile ed esaustiva introduzione ai temi dell'estetica di John Dewey, che troveranno sviluppo in "Arte come esperienza" (1934). I temi fondamentali dell'estetica di Dewey sono: il recupero dell'esperienza nell'arte; l'esteticità diffusa dell'esperienza ordinaria; il valore "vitale" dell'estetico; la relazione tra dimensione cognitiva e dimensione estetica dell'esperienza. Il saggio non offre solo un accesso immediato all'estetica di Dewey - oltre a essere l'unico suo saggio di estetica non disponibile in italiano: una prima traduzione degli anni '70 è da tempo fuori catalogo - ma è anche il saggio in cui Dewey pone maggiormente l'accento sull'intreccio tra strumentalità dell'agire umano e godimento estetico: ne emerge l'immagine di un soggetto che, mentre trae piacere dall'esperienza che fa, seleziona le competenze necessarie a una più stretta interazione con l'ambiente; parallelamente l'attività artistica è pensata come momento di apprendimento e di costruzione di modelli di conoscenza.
In questa sintesi del suo pensiero, John Dewey, il più importante filosofo dell'educazione del Novecento, contrappone la sua posizione a quella dei conservatori, che criticavano le "scuole nuove" ispirate dal suo credo e auspicavano il ritorno alla tradizione e al principio di autorità come fondamento pedagogico. Secondo Dewey, l'esperienza è il banco di prova di ogni teoria pedagogica e, allo stesso tempo, è ciò che permette di educare ogni uomo alla responsabilità, alla partecipazione, alla soluzione di "problemi di tutti" in una società fondata sull'integrazione e non sull'esclusione. Già nella forma polemica, oltre che nel contenuto, "Esperienza e educazione", che brilla per chiarezza, sintesi e profondità, è di grande attualità e riesce ancora oggi, nella confusione del dibattito sulla scuola, a mettere a nudo le differenze fondamentali tra chi vuole un'educazione autoritaria e chi immagina e vuole mettere in pratica una comunità educante.
Una società più giusta e più stabile secondo Dewey si fonda su un individualismo capace di sviluppare le singole personalità. Una distratta superficialità e il rapido cambiamento dei riferimenti simbolici sociali indotti dalla comunicazione di massa hanno inibito lo sviluppo dei valori morali e sminuito la capacità dei singoli di comunicare e collaborare. Questi saggi furono scritti da John Dewey nel 1929, mentre incalzava la più grave crisi economica americana, e sono ancora profondamente attuali, per le numerose analogie con l'odierna crisi dell'economia occidentale. Il pensiero di Dewey si adatta assai bene all'urgenza dei nostri tempi; alterna amarezza e speranza e indaga sulle opportunità da cogliere per una nuova prospettiva morale e sociale: un nuovo individualismo, che infonda una responsabilità sociale pienamente consapevole della forza dei propri valori e della propria autonomia.

