
Il volume raccoglie l'intera opera teatrale di Racine: undici tragedie e una commedia, "Les Plaideurs", tutte tradotte da poeti italiani contemporanei: Giovanni Raboni, Mario Luzi, Luciano Erba, Maurizio Cucchi, Riccardo Held e Milo De Angelis. Il testo francese proposto a fronte è quello dell'edizione del 1697, l'ultima pubblicata in vita dall'autore. La curatela è affidata al francesista Alberto Beretta Anguissola, già autore (insieme a Daria Gelateria) dell'innovativa annotazione "Alla ricerca del tempo perduto" di Proust. L'introduzione è firmata da Rene Girard, filosofo e critico di fama mondiale, che dall'ermeneutica del testo letterario sfocia nella riflessione antropologica sul problema del sacro e del mito.
L'ambiguità, la ferocia, la banalità, il dolore, la solitudine. Il teatro di Vitaliano Trevisan dà voce a personaggi forse perversi, talvolta paranoici, ossessionati da una presenza che scompagina la vita (come quella del figlio non voluto in "Oscillazioni") oppure soggiogati da un'assenza traumatica (come quella del compagno suicida in "Solo RPT"). Ma in gioco, in definitiva, ci sono la presenza e l'assenza di sé, il ritrovarsi o il perdersi nelle proprie autorappresentazioni, consolatorie o masochiste che siano. La vena dell'autore è intimamente tragica, ma di un tragico scarnificato, essenziale, senza alcuna enfasi. Con dei finali sospesi, in entrambi i casi, che lasciano aperte delle porte, anzi delle finestre, da cui i personaggi (e gli spettatori metaforicamente) si possono buttare oppure no.
Da qualche decennio l’arte romanica è alla moda. La si osserva archeologicamente, la si studia con moderni metodi filologici, la si visita persino nei viaggi organizzati. Piace la sua austerità imponente, la sua essenzialità percepita come segno di una forte religiosità, la sua facies nuda, spoglia, sobria. Ma la basilica di Ripoll o il Fondaco dei Turchi a Venezia sono veramente edifici romanici? Le cupole della cattedrale di Périgueux o la facciata di quella di Le Puy sono davvero medievali? Le statue lignee raffiguranti la Madonna e Cristo con il volto nero erano proprio così brutte e scarnificate? Ma l’arte romanica che oggi abbiamo davanti ai nostri occhi corrisponde davvero a quella medievale? In questo libro si mette in discussione il concetto stesso di romanico e di arte romanica, ne si indagano le origini, e soprattutto si contestualizza la sua genesi storiografica nel particolare contesto culturale della prima metà dell’Ottocento, quando in tutta Europa per la prima volta si scoprì, come d’improvviso, la produzione artistica anteriore all’avvento di quella maniera di costruire che Vasari definì come tedesca o portata dai Goti. In quei decenni segnati dalle campagne napoleoniche e dal Congresso di Vienna, tra Neoclassicismo e Romanticismo, i paesi dell’Europa decisero di riappropriarsi del proprio passato nazionale, catalogando, restaurando, studiando e anche ricostruendo l’arte costitutiva di ciascuna nazione: il romanico. Il libro analizza l’elaborazione storiografica e nazionalistica dell’idea di romanico, e ne decostruisce le invenzioni e gli errori, ponendo l’accento su alcune questioni controverse, come la popolarità degli artisti, il ruolo della donna nell’universo artistico misogino dell’epoca o la ricca policromia degli edifici. Ma nello stesso tempo svela la vera personalità del Medioevo romanico, dalla Francia all’Italia, dall’Inghilterra alla Catalogna, mettendo a confronto idee e modelli architettonici e figurativi, in un dialogo che dové essere in quei secoli molto più vivace e vitale di quel che oggi abitualmente pensiamo.
Nel 550° anniversario dalla morte (1455) dell’artista la mostra dei Musei Capitolini sarà la più grande mai dedicata al Beato Angelico in Italia dopo la irripetibile monografica in Vaticano e a Firenze nel 1955 (anche in quel caso celebrativa di un centenario). La mostra documenterà tutte le fasi della produzione dell’artista e il suo versatile operato come pittore (tavole, tabernacoli, scomparti di pale e di polittici, tele), disegnatore, miniatore. Unica altra personale sull’Angelico di dimensioni paragonabili è stata la rassegna Fra Angelico tenutasi al Metropolitan Museum di New York nel 2005.
Il volume prende in esame gli immensi depositi dei Musei Vaticani, dove grazie all'illuminata disponibilità del direttore, Antonio Paolucci, e all'iniziativa di Tommaso Strinati, sono tornati sotto i riflettori e con gli onori di una monografia strutturata i dipinti murali staccati alla metà del XIX secolo dalla basilica di Sant'Agnese fuori le mura sulla via Nomentana, raffiguranti storie della vita di santa Caterina e di san Benedetto e datati a cavallo tra il XIII e il XIV secolo. Sono undici pezzi, di autori diversi, di qualità discontinua arrivati fino a noi in condizioni precarie, lacunosi e frammentari in più punti, e quindi restaurati e collocati su nuovi supporti. Questo volume per la prima volta riunisce tutti assieme i frammenti dei cicli di Sant'Agnese attraverso una campagna fotografica che, grazie a numerosi particolari realizzati ex novo, ne restituisce una visione ravvicinata finora possibile solo soggiornando a lungo nei depositi dei Musei Vaticani.
Il volume, dedicato al tema dell'abitare tra cielo e acqua, affronta diversi settori disciplinari: in primo luogo nautica e yacht design, ma anche interior design e arredamento nautico. Questa ricerca prende in considerazione il desiderio primario di abitare a contatto con l'acqua e osserva come la contemporaneità ne affronti le istanze sconfinando sempre più dalla nautica all'architettura, coinvolgendo non solo progettisti affermati nel settore nautico, ma anche i protagonisti della scena architettonica internazionale. L'approccio critico degli autori evidenzia i limiti della progettazione d'interni nautici se svincolati dalle competenze necessarie per rendere armonico il progetto interno ed esterno delle imbarcazioni, e pone in risalto la rivoluzione che negli ultimi anni sta investendo il settore nautico, impegnato nel rendere sempre più equilibrato il dialogo tra le parti. Il volume si compone di quattro sezioni: una ricognizione storica che esemplifica alcuni casi emblematici dell'iconografia navale, dell'architettura acquatica, dell'arredo nautico, un'analisi del panorama contemporaneo attraverso indagini sui principali temi e questioni progettuali nel settore dell'Interior Yacht Design; una selezione dei maggiori progetti di Interior Yacht Design e infine, una sezione tecnica di apparati dedicati ai materiali da costruzione e agli oggetti di design civile adatti alle esigenze nautiche, che offrano strumenti utili alla progettazione, ma anche alla comprensione del progetto.
Timothy Verdon Storico dell'arte di fama mondiale, docente presso la Stanford University di Firenze nel nuovo testo Il Catechismo della carne, analizza come l'arte abbia trasmesso il messaggio evangelico attraverso la corporeità.
Le tre sezioni - Il corpo, la carne ; Il corpo nella storia; Il corpo nel cosmo, decifrano i linguaggi corporei nella storia dell'opera d'arte.
L'autore spiega il perché abbia senso parlare di un catechismo della carne di fronte all'affermazione di Gesù che Dio è Spirito.
Questo testo risponde ai molti interrogativi che si può porre tanto il credente quanto il non credente sull'opportunità di circondare di forme e di colori la semplicità dello spirito.
Viene affrontato il luogo comune secondo cui la fede cristiana sia nemica della corporeità, mostrando invece come il corpo sia un luogo di conoscenza spirituale.
Nessuna grande fede attribuisce infatti tanta importanza al corpo umano come il Cristianesimo.
Dato che nell'Eucaristia il corpo di Gesù è il nucleo di tutta la liturgia, non bisogna stupirsi che il Cristianesimo abbia voluto enfatizzarlo attraverso le arti del canto, della poesia e della pittura quasi come fosse un vero e proprio "catechismo".
Nel V - VI secolo assistiamo ad una spiritualizzazione del "corpo naturale" dell'esperienza grecoromana; tra il Due e il Trecento il corpo naturale venne, specialmente in ambito francescano, non solo riabilitato, ma anche esaltato come veicolo per l'esperienza spirituale.
Nel saggio viene sviluppata l'intuizione paolina del nesso tra l'esperienza morale e il "travaglio" fisico del creato: un' "antropologia teologica" che riflette sul rapporto del corpo umano con il cosmo.
Sul Sacromonte di Varallo i corpi realistici di centinaia di personaggi in terracotta policroma narrano i misteri della della fede in mezzo ai boschi della Valsesia, dove la natura si fa teatro di accoglienza per il rito.
"Lungi da essere ostile al corpo, il cristianesimo ha comunicato la sua fede in un Dio spirituale mediante immagini della carne umana. Secolo dopo secolo, pur nel variare di orientamenti teologici e di linguaggi stilistici, l'arte cristiana ha infatti esaltato il corpo come luogo di conoscenza spirituale, ridefinendo - soprattutto nel periodo che va da Giotto a Michelangelo - la stessa idea occidentale della dignità della persona".
Un grande maestro del cinema italiano racconta il suo cinema. A Monicelli non interessa tanto narrare le gesta, gli aneddoti, gli incontri di una storia personale fuori dall'ordinario; nel racconto veste piuttosto i panni di un artigiano, pronto a svelare le tecniche e i segreti di quel mestiere complesso e magico a cui ha dedicato una vita intera. La testimonianza del creatore della commedia all'italiana si trasforma in una lezione di cinema, in cui vengono ripercorsi i momenti fondamentali che hanno dato vita a tanti capolavori. Una lunga scuola che coincide con gli anni d'oro del cinema italiano, con l'invenzione di una "stagione italiana" di cui Monicelli è insieme figlio e creatore. Tanti gli incontri decisivi: Rossellini, De Sica, Antonioni, Totò, i grandi sceneggiatori (Age e Scarpelli, Benvenuti, De Bernardi, Suso Cecchi D'Amico), e poi la scoperta, in ruoli inediti, di Alberto Sordi e Vittorio Gassman. Sceneggiatura, accorta preparazione delle riprese, lavoro con gli attori, montaggio, doppiaggio (il maestro infatti non è mai passato a registrare il suono in presa diretta) sono tutti momenti cruciali che Monicelli racconta chiarendo le precise ragioni di scelte tecniche e artistiche dietro a cui non è difficile scorgere una pratica di lavoro che si trasforma in un vero e proprio metodo. Una carrellata lungo settant'anni di cinema italiano, in cui affiorano la forza e il segreto del genio di Monicelli.
Medea ordisce una vendetta tremenda contro il marito che l'ha abbandonata, uccidendo i propri figli e negandogli così l'autorità paterna istituzionalmente riconosciuta. Il genio di Euripide ci presenta un'eroina tragica totalmente nuova per la cultura greca del tempo, una donna appassionata e lucida, in cui l'impulso emotivo si unisce a un estremo controllo intellettuale.
Tutti, almeno una volta nella vita, davanti a un'opera d'arte contemporanea abbiamo pensato: "Questo lo potevo fare anch'io!". Eppure i critici ci assicurano che si tratta di capolavori, mentre i collezionisti spendono cifre da capogiro per quadri che sembrano tele imbrattate e sculture che appaiono come ammassi di rottami. Come è possibile che una tela strappata possa chiamarsi "arte"? Gli artisti contemporanei sempre più spesso occupano le pagine dei giornali, mentre il loro lavoro è circondato da un'aura di mistero che ne fa un prodigio alla cui comprensione sembrano ammessi solo pochi eletti. Eppure tutte le grandi capitali del mondo occidentale hanno ospitato esposizioni sempre più grandi e costose, producendo un giro di affari di tutto rispetto. Francesco Bonami sfida il lettore ad "assaggiare" le opere senza pregiudizi, aiuta a capire cosa distingue un grande da un pessimo artista, cosa ha fatto sì che Marcel Duchamp o Andy Warhol abbiano superato la prova del tempo e perché invece tanta parte del lavoro di un pittore come Renato Guttuso o di uno scultore come Arnaldo Pomodoro siano sopravvalutati. Spiega perchè Anish Kapoor piace a tutti al primo sguardo e ci svela cosa si nasconde dietro il clamore e lo scandalo delle opere di Maurizio Cattelan. E se è vero che nell'ultimo secolo l'arte si è evoluta al punto da essere quasi irriconoscibile, Bonami ci fa capire una volta per tutte perché non è vero che potevamo farlo anche noi.
Urbino non fu solo la città natale di Raffaello, ma determinò in modo significativo la sua formazione, restando per tutta la sua vita un punto di riferimento essenziale. Partendo da questo presupposto, la grande mostra di Palazzo Ducale a Urbino intende recuperare e valorizzare proprio questa stretta connessione tra Raffaello e la sua città natale. Esaminando il contesto urbinate, dalla fine degli anni Settanta a tutti gli anni Ottanta del Quattrocento, viene ricostruito l'ambito artistico-culturale in cui si formerà il giovane Raffaello e nel quale opera il padre, Giovanni Santi, pittore dei duchi e letterato, che è a capo di una ricca e fiorente bottega, oltre che autore della famosa Cronaca nella quale esprime importanti giudizi sui pittori a lui contemporanei. Una sezione della mostra è inoltre dedicata al rapporto dell'opera di Raffaello con la più importante produzione del ducato di Urbino, la maiolica, basata sulle immagini raffaellesche, di cui sono esposti esemplari antichi. Sarà visibile, per la prima volta, un pezzo mai esposto, derivato direttamente da un disegno originale e non da un'incisione di Raffaello, assieme a numerosi esempi fra i più preziosi di questa produzione.
Fin dai primi secoli la Chiesa ha creato mezzi e configurato costumanze al fine di esprimere la propria missione. Ha perciò favorito le arti per nobilitare tanto il vissuto ecclesiale quanto quello civile. Un immenso patrimonio storico e artistico si è così originato fondandosi sulla matrice spirituale e divenendo segno delle aspirazioni religiose dei singoli e delle collettività, così da costituire un bene ecclesiale di primaria importanza. Per Mons. Carlo Chenis, Segretario della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e autore del volume, "il patrimonio cristiano non rappresenta la memoria di una civiltà scomparsa, ma l'insegna di una civiltà persistente: è dunque strumento vivo e necessario, non reperto, ormai muto, sclerotizzato, immobile". I testi di Mons. Mauro Piacenza, Presidente della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, e di Mauro Del Corso, Presidente della Federazione Italiana Amici dei Musei, introducono il saggio di Carlo Chenis: I beni culturali della Chiesa. L'anti-museo per il meta-vissuto dove, con efficace sintesi, sono affrontati i temi dell'attuale peculiarità dei beni culturali, il loro contesto cristiano, la loro unità ecclesiale; la nobilitazione culturale del vissuto quotidiano; la formazione estetica attraverso il patrimonio artistico; il valore umanistico del turismo culturale.

