
"Terrantica. Volti, miti e immagini della terra nel mondo antico", che resterà aperta al pubblico dal 23 aprile all'11 ottobre 2015, si pone nell'alveo delle tematiche affrontate da Expo 2015, con una riflessione sulla forza della madre Terra, tra umano e divino, raccontata attraverso 75 opere tra antichi reperti (statue, vasi, rilievi), e fotografie contemporanee che evocano, insieme alla sua lunga storia, paesaggi naturali che parlano dell'antichità, della sacralità e della magia della Terra.
"La mostra 'Giotto, l'Italia' conclude il programma che Palazzo Reale ha ideato in occasione di Expo 2015 e che ha riscosso un notevole apprezzamento sia della comunità scientifica che di pubblico. La straordinarietà di questa mostra, curata da Serena Romano e da Pietro Petraroia, consiste, innanzitutto, nel fatto che, per la prima volta in assoluto, è stato possibile raccogliere, in un unico luogo, un numero così alto di opere autografe di Giotto, provenienti da contesti certi e documentati. Cosa ha reso possibile il raggiungimento di questo obbiettivo che, all'inizio, sembrava utopistico? Sicuramente - e prima di tutto - la feconda collaborazione interistituzionale tra il Comune di Milano e il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Questa sinergia ha consentito il decisivo coinvolgimento dell'Opificio delle Pietre Dure e di numerose Soprintendenze e Direzioni di Musei che hanno lavorato, in una ammirevole comunità di intenti, con Palazzo Reale, i curatori e il prestigiosissimo comitato scientifico, presieduto da Antonio Paolucci. Gli straordinari prestiti, in alcuni casi - si pensi al Polittico Stefaneschi dei Musei Vaticani - mai spostati dalla loro storica collocazione, sono stati resi possibile in virtù di un serio e rigoroso controllo scientifico sulle condizioni di conservazione delle opere, talvolta accompagnato da indagini diagnostiche preventive e da interventi di restauro." (Dal testo di Domenico Piraina, direttore di Palazzo Reale)
ROMA, 8 OTTOBRE 2015 - 31 GENNAIO 2016
"Così intorno a un possente torso di Ciclope si costruisce ad esempio un discorso sulla nascita dell'estetica del frammento viva fin nelle fascinose ed enigmatiche sperimentazioni del contemporaneo. In numerosi saggi si affrontano le rovine degli antichi in sé e nella riscoperta della pittura moderna con un focus su Piranesi e sulle straniarti contaminazioni del Novecento. In contrasto con le elegiache vedute, la sezione dedicata alla devastazione del paesaggio con fotografie di opere non finite, di archeologia industriale fino a uno straordinario repertorio di catastrofi contemporanee (il terremoto de L'Aquila, la distruzione di Beirut...) dalla tragica forza narrativa. Una profonda riflessione investe infine i destini dello scavo archeologico stesso che crea nuove rovine da restaurare, conservare, comunicare."
In un tempo come il nostro, in cui l’immagine è ovunque ma spesso svuotata di significato, riscoprire la forza del simbolo è più che mai necessario. Questo volume nasce dal desiderio di restituire profondità al linguaggio visivo della fede cristiana, ripercorrendo la storia millenaria dei segni e delle immagini che, fin dalle origini, hanno veicolato il mistero del Vangelo. Dalle catacombe paleocristiane agli affreschi rinascimentali, attraverso la pittura, l’epigrafia, l’arte musiva e l’architettura, il lettore è accompagnato in un viaggio che non è solo artistico, ma spirituale e culturale. La croce, l’acqua, il fuoco, l’eucaristia e la risurrezione vengono analizzati nella loro valenza simbolica, con uno sguardo attento sia alle opere più celebri sia a quelle meno note, ma non per questo meno eloquenti.
Benché presente nel mondo naturale, dai vegetali ai minerali e agli animali, il rosa è stato prodotto dagli esseri umani in epoca relativamente tarda. In Europa prima del XIV secolo lo si incontra raramente, sia nella cultura materiale sia nell'arte, mentre appare con una certa frequenza nell'abbigliamento alla fine del Medioevo grazie a una tintura importata inizialmente dalle Indie e poi dal Nuovo Mondo, il legno di brasile. La moda del rosa raggiunge il suo apice attorno alla metà del XVIII secolo, quando questo colore viene associato al romanticismo e alla femminilità e diviene simbolo di dolcezza, piacere e felicità. Nello stesso periodo, i floricultori riescono a produrre delle rose rosa, e con un successo tale che il nome del fiore finisce per designare il colore che fino a quel momento era stato confinato nella gamma dei gialli o dei rossi. Oggi il rosa è meno presente nella vita quotidiana rispetto all'epoca romantica, e si caratterizza per una certa ambivalenza: se secondo alcuni è di cattivo gusto, secondo altri è un colore emblematico della modernità, e lo troviamo nella pop art o nella cosiddetta pink culture, ma anche in due fenomeni di grande successo: il rosa Barbie e la Pantera rosa.
Il volume definitivo per comprendere come la musica ha formato il mondo, con la sua capacità di evocare l'intero spettro delle emozioni, indipendentemente da Paese, cultura o gruppo di appartenenza. Una panoramica approfondita in cui storia e musica si intrecciano sia da un punto di vista cronologico che in una prospettiva globale: dagli strumenti più antichi fatti di guscio e osso al sofisticato pianoforte, al liuto o alla chitarra elettrica; dal primo violoncello all'armonica di Stevie Wonder e alle chitarre usate da Bob Dylan. La narrazione esplora le radici di tutti i generi, dai canti medievali fino ai ritmi moderni del blues, jazz, hip-hop e pop. Le immagini mostrano famiglie di strumenti provenienti da tutto il mondo e le biografie di icone, tra cui Mozart, George Gershwin, Elvis Presley e David Bowie, raccontano la vita e le opere dei musicisti più innovativi.
Pubblicati a Venezia nel 1570 ma attesi e lavorati per un ingente numero di anni, "I quattro libri dell'architettura" rappresentano la summa architettonica del Rinascimento tardo e il purissimo distillato della sapienza di Palladio: sapienza empirica, costruttiva, ma ciò nondimeno raffinata; lungamente ricercata e modellata sul fondamentale exemplum di due illustri predecessori: Marco Vitruvio Pollione e Leon Battista Alberti. In nessun modo tuttavia Palladio può essere considerato semplice imitatore: la materia architettonica trattata - quadripartita in dottrina classica degli ordini, edifici dei privati cittadini, costruzioni di pubblica utilità, architettura religiosa antica - pur prendendo avvio dall'attenta lettura e dal rilievo del patrimonio monumentale dei Romani, si è trasformata in invenzione originale. Il "nuovo" classico di Palladio è lontano da ogni neoclassicismo di maniera: ciò che vive nella sua architettura - e ne fa un organismo unico, "uno intiero e ben finito corpo" - è un sistema di relazioni necessarie, perfettamente calcolate benché non manifestate apertamente: proporzionalità in cui geometria e musica si armonizzano. Difficilmente sopravvalutabili nella vastità della portata, "I quattro libri" di Palladio - per quanto spesso semplificati o equivocati - hanno influenzato l'architettura occidentale per i successivi quattro secoli, modificandola in modo irreversibile.
In questo saggio che diventa un romanzo, Caroli dialoga con un'amica di lunga data accompagnandola per quindici weekend e mezzo alla scoperta di grandi artisti, monumenti universalmente noti e gioielli nascosti (scelti dopo una oculatissima scrematura) nei luoghi nevralgici dell'arte italiana. Passeggiando per le vie dei centri storici o raggiungendo musei fuoriporta, ci presenta in un racconto ricco di immagini protagonisti come Andrea Mantegna, che si può incontrare nella basilica di Sant'Andrea, a Mantova, non solo attraverso le sue opere ma anche sotto forma di un busto scolpito posto nella Cappella funeraria, e promette: "Si innamorerà dello sguardo lontano di chi vede la grandezza del passato, e subito dopo ne percepisce la caducità e la cenere, e non può che rifugiarsi nella melanconia, e dar vita, con quella, agli unici antidoti concessi agli umani, che sono l'arte e la bellezza". A Venezia, dopo una sosta allo storico Harry's Bar, ci propone l'incontro con Giovanni Bellini alle Gallerie dell'Accademia: "La linea belliniana incontra la linea introspettiva dell'arte occidentale, con una carta in più, risolutiva: la luce come elemento realistico, drammatico e drammatizzante". Ai grandi artisti e alle loro imprescindibili opere affianca aneddoti poco noti, come l'importanza della Cascina Pozzobonelli di Milano, senza la quale il Castello Sforzesco non sarebbe come lo vediamo oggi. Un graffito presente nel portico mostra infatti l'aspetto originario del castello, con la Torre del Filarete, crollata nel 1521: fu su questa immagine che l'architetto Luca Beltrami si basò per ricostruire la torre fra il 1892 e il 1905. Un percorso nella storia dell'arte che si fa via via racconto personale: "Ricordi quando io ero poco più che un ragazzo, e tu mi sgridavi perché - a tuo dire - perdevo tempo con gli artisti, invece di occuparmi di te?". Oggi le opere di alcuni di quegli artisti, gli avanguardisti degli anni Sessanta appartenenti alla corrente dell'Arte Povera, sono raccolte al Castello di Rivoli, cui dedicare un ultimo, mezzo weekend: "Incontrerai le grandi metafore insite nell'occupazione dello spazio: metafore legate al naufragio della civiltà classica in fannis Kounellis; metafore della socialità in Luciano Fabro; metafore dell'infinita ambiguità dei linguaggi che generano l'immagine figurativa in Giulio Paolini". La felice penna di Flavio Caroli ci indica la via per comprendere appieno il patrimonio artistico italiano, nella convinzione che i capolavori sono il riassunto dei pensieri più profondi di un'epoca storica, e costituiscono "l'apertura visionaria verso il tempo che verrà".
Durante una memorabile lezione all'università, il grande maestro Roberto Longhi mise nel proiettore due diapositive, l'"Adamo ed Eva" di Van Eyck e l'"Adamo ed Eva" di Masaccio. Le mostrò un paio di volte agli studenti, poi sentenziò: «L'arte europea comincia così...», senza aggiungere altro. Contemporanee eppure diametralmente opposte, quelle due immagini rivelano la nascita del «pensiero in figura» nel Vecchio Continente nei suoi due ceppi, quello fiammingo, il cui destino è prima di tutto luce, e quello latino, votato alla corporeità e al peso della figura. Da questo ricordo personale, Flavio Caroli prende le mosse per raccontare i capisaldi dell'arte europea. Lo stile è quello di sempre, appassionato e poetico, e a parlare sono le opere stesse, che si inseguono e susseguono in un dialogo ininterrotto, o meglio in una corsa, dove le diverse nazioni sembrano contendersi il primato. Così, dopo aver tenuto saldamente la testa della corsa, grazie ad artisti come Bruegel, Rubens e Rembrandt, alle soglie del mondo moderno osserviamo fiamminghi e olandesi lasciare il passo alla grande ritrattistica inglese di Gainsborough e Hogarth. Mentre poi Goya corre fuori dagli schemi e inglesi e tedeschi si contendono il Romanticismo, ecco i francesi andare in fuga: dalla rappresentazione romantica dell'uomo-eroe che si staglia contro la natura nei quadri di Delacroix, fino al ciclone parigino e alla grande stagione impressionista e postimpressionista, pronta a sbaragliare le file artistiche europee con le «ombre colorate» di Monet, la «verità dello sguardo» di Degas o le tele di Cézanne. Ma già è tempo di una nuova sfida, tutta novecentesca, lungo il crinale che divide la figurazione dall'astrazione, con Kandinskij, e oltre. Tra sorpassi, grandi volate e leggendari fuoriclasse, il racconto prende vita attraverso opere straordinarie ospitate oggi nei musei e nelle collezioni di tutto il mondo. Un viaggio sorprendente che trova la sua conclusione perfetta ai giorni nostri, nell'opera di Kiefer, l'artista che più di altri raccoglie i tratti vincenti dell'arte europea: la potenza tedesca, il futurismo russo, l'eleganza francese, la sapienza italiana. In un'epoca di totale obsolescenza e precarietà, "La grande corsa dell'arte europea" ci ricorda il nostro dovere di gratitudine verso capolavori imprescindibili, che ci fanno sentire un po' eterni e che «a noi destinati a identificare il senso della vita con la poesia e con la bellezza» regalano gioia e appagamento durevoli.
Lasciandosi alle spalle i confini fissati dalla tradizione, si interrogano in modo inedito poeti e artisti del nostro Rinascimento, si inseguono ipotesi che prendono via via corpo e tessono una trama insospettata fra letteratura e arti, tra eros e inquietudini religiose, tra Venezia, le corti italiane, e la raffinata stagione artistica dei Paesi Bassi. Punto di partenza sono i «ragionamenti d'amore» che Pietro Bembo colloca ad Asolo, in una festa di nozze celebrata da Caterina Cornaro, la regina di Cipro che ha dovuto rinunciare al suo regno. Offrono un autoritratto dell'autore sotto maschere diverse e insieme un ritratto a tutto tondo della poesia, dell'amore, della corte, dell'amicizia. Ma dalle pieghe del testo vengono suggerite prospettive divergenti: il ritratto si incrina, si raddoppia, si racconta collocandosi su piani diversi. Proprio come i ritratti doppi, con rovescio o con coperchio, che tra Quattro e Cinquecento vengono realizzati per esempio da Piero della Francesca, Leonardo da Vinci, Raffaello, Lotto, Tiziano.
«Quello che mi sembrava interessante non era riproporre, sia pure in termini diversi, il contenzioso della superiorità, o della precedenza, fra Rinascimento italiano e cultura del Nord e nemmeno l'antica disputa della gerarchia fra parole e immagini. Davanti a me vedevo aprirsi l'invito a esplorare un territorio in cui esperienze diverse via via si intrecciavano, in cui era possibile analizzare da vicino opere profondamente segnate dalla personalità dell'autore e insieme rintracciarvi i modi in cui questioni, miti, topoi senza tempo prendevano forma nuova [...]. Credevo di star lavorando a saggiare i rapporti fra i primi dialoghi in volgare sull'amore, gli Asolani, appunto, la lirica e la grande tradizione del ritratto, in particolare del ritratto doppio, inseguendo le fila di una rete che da Pietro Bembo andava indietro nel tempo, alla Firenze di Leonardo da Vinci e di Ginevra de' Benci, e si dilatava nello spazio, fino a Cipro e ai Paesi del Nord. Ma, al di là del quadro storico, c'era un tema che via via stava venendo in primo piano e riguardava il modo in cui poeti e artisti avevano dato forma al mito (e al bisogno) della trasparenza, di una corrispondenza tra volto e cuore, fra esteriorità e interiorità, fra linguaggio e sentimenti. Il cuore di cristallo, in cui lo sguardo può penetrare senza ostacoli, diventa, in questa prospettiva, l'equivalente di un altro topos, quello della finestra aperta sul cuore, col vantaggio di eliminare l'idea stessa di qualcosa che si interpone fra l'interiorità e lo spettatore, la finestra, appunto, sia pure aperta a mostrare i segreti del cuore».
In questo volume si raccoglie una selezione di interviste e colloqui con Luciano Berio, uno dei maggiori protagonisti della musica del Novecento. Le modalità del dialogo e il carattere informale del genere intervista aprono prospettive mobili, immediate e talvolta inattese sulle vicende artistiche e biografiche del compositore, restituendone un profilo al contempo affine e complementare a quello che emerge dai suoi testi teorici. Il corpo centrale della raccolta - 51 colloqui tra interviste, conversazioni e inchieste, condotti in lingue e Paesi diversi - traccia un percorso cronologico che va dal principio degli anni Sessanta fino a pochi mesi prima della scomparsa di Berio nel 2003. È la parabola di un musicista immerso nella contemporaneità, che qui si intreccia con quella dei suoi interlocutori, tra cui spiccano firme di rilievo della pubblicistica italiana e internazionale, nonché i nomi di compagni di vita quali Umberto Eco e Renzo Piano. I temi centrali dell'orizzonte creativo di Berio - dal teatro alla ricerca elettroacustica, dalla voce al linguaggio, dalle tradizioni popolari all'impegno del musicista nella società - si snodano attraverso le interviste con la chiarezza di un linguaggio che, senza mai rinunciare all'approfondimento e all'acume critico, mira a raggiungere un bacino di lettori largo e variegato. Molteplici i riferimenti alle opere più note di Berio, da Thema (Omaggio a Joyce) a Laborintus II, da Sinfonia alle Sequenze, da Coro a Stanar, o ai lavori di teatro musicale da Passaggio a Cronaca del Luogo; e ancora a progetti, incarichi e istituzioni che videro il compositore e l'uomo di cultura coinvolto come ideatore o collaboratore sempre attento alla funzione educativa della musica e alla sua capacità di costituirsi critica attiva della realtà.

